Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 3, 20 novembre 2018, n. 29849 - Caduta mortale dalla scala in alluminio: appalto pubblico


 

 

 

 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: GIANNITI PASQUALE Data pubblicazione: 20/11/2018

 

 

 

 

 

FattoDiritto

 

 

 

l. La Corte di Appello di Venezia con ordinanza n. 676/2017 ha dichiarato inammissibile l'appello proposto da OMISSIS, avverso la sentenza n. 2818/2016 del Tribunale di Verona, che aveva rigettato la domanda risarcitoria da questi ultimi proposta nei confronti della Provincia di Trento (quale stazione appaltante) e nei confronti dell'ing. G.U. (quale direttore dei lavori) in relazione all'incidente mortale occorso al loro congiunto R.B. (figlio della OMISSIS e fratello degli altri attori) in data 23 agosto 2002.
2.Era accaduto che, in detta data, in località Camoi del Comune di Siror (TN), si era verificato un incidente sul lavoro, a seguito del quale aveva perso la vita  R.B., mentre lavorava, quale operaio dipendente della s.r.l. Italcostruzioni, al completamento del depuratore delle acque urbane di San Martino di Castrozza (opera pubblica commissionata dalla Provincia Autonoma di Trento alla A.T.I. Idreco-Panelli, che, a tal fine, aveva costituito la società consortile Tridentina - fallita successivamente all'infortunio - la quale, a sua volta, aveva concesso in subappalto l’opera alla s.r.l Italcostruzioni - nel 2005 cancellatasi dal registro delle imprese).
Oltre un decennio dopo - e precisamente nel maggio 2014 - la madre ed i fratelli di  R.B. avevano convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Verona, la committente pubblica Provincia Autonoma di Trento (di seguito P.A.T.) e l'ing. G.U., quale direttore dei lavori, chiedendo che fosse accertata la responsabilità di entrambi i convenuti nella causazione dell'infortunio occorso al loro congiunto e che gli stessi fossero condannati al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti e subendi, oltre accessori, detratti gli acconti ricevuti da OMISSIS e con vittoria delle spese processuali.
Gli attori avevano dedotto che il loro congiunto, al momento del sinistro: si trovava in cima ad una scala di alluminio, non a norma e dell'altezza di circa 3 metri, posta su un solaio collocato, a sua volta, a 5 metri da terra; era privo dei dispositivi anticaduta, individuali e collettivi, ed era intento a controllare (secondo le mansioni comandategli dal direttore tecnico di cantiere Ing. C., dipendente della sub-committente Tridentina) il getto e la sistemazione del cemento all'interno di un pilastro in costruzione, a seguito della ricezione del carico di calcestruzzo, ordinato dallo stesso direttore tecnico del cantiere; era posizionato in piedi sull'ultimo piolo della scala e stava brandendo con le due mani il tubo flessibile del cemento e il vibratore, quando aveva perso l'equilibrio ed era caduto, decedendo in conseguenza di "trauma cranica con probabile frattura della base con conseguente emorragia celebrale”.
Tanto premesso, gli attori, nell'introdurre il giudizio di merito, avevano sostenuto la responsabilità dell'evento in capo alla P.A.T. sulla base delle seguenti argomentazioni:
-il loro congiunto era di fatto dipendente della Tridentina, che ne aveva utilizzato le energie lavorative in base ad un contratto vietato di fornitura di manodopera e ne aveva diretto le prestazioni a mezzo del direttore tecnico di cantiere, ing. C.;
-il direttore tecnico di cantiere ing. C. era a conoscenza della preparazione delle casseforme, nonché dell'arrivo della betoniera, che aveva fatto arrivare e il R.B. aveva operato eseguendo un suo ordine;
-la Provincia committente aveva violato i commi 30 e 40 dell'art. 3 e il comma 20 dell'art. 6 del DLgs. 494/1996, nonché il comma 3-bis dell'art. 7 del D.lgs. 626/1994, oltre che gli artt. 2087, 2049, 2051 cc., in quanto non aveva adempiuto agli obblighi ad essa derivanti, quale committente, dalla posizione di garanzia assunta;
-la Provincia committente non aveva vigilato affinché la società aggiudicataria dell'appalto avesse i mezzi sufficienti per realizzare l'opera in totale sicurezza per i lavoratori ed aveva affidato l'opera ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza determinare situazioni di pericolo;
-la totale mancanza dei presidi antinfortunistici di tipo collettivo era facilmente percepibile dal direttore lavori ing. G.U.;
-l'ordine di interdizione dell'accesso alla zona di denitrificazione dato dall'ing. M.G. il giorno prima dell'infortunio dimostrava il mantenimento in capo alla Provincia dei poteri ispettivi e disciplinari in relazione al cantiere;
-l'infortunio si era verificato per la mancata predisposizione di sistemi collettivi di sicurezza per la fase di lavoro relativa alla gettata del cemento nell'esecuzione dei pilastri.
Si erano costituiti in giudizio la Provincia Autonoma di Trento e l'ing. G.U., chiedendo: in via preliminare, che fosse dichiarata l'intervenuta prescrizione del diritto fatto valere dagli attori; nel merito, il rigetto di ogni loro domanda, in quanto illegittima e infondata in fatto e in diritto. In subordine, i convenuti avevano chiesto dichiararsi che l'infortunio si era verificato per fatto e colpa dello stesso  R.B. e del suo datore di lavoro e, per l'effetto, che fosse respinta ogni domanda svolta nei loro confronti. E, in via di estremo subordine, avevano chiesto di essere dichiarati tenuti negli stretti limiti risultanti di giustizia all'esito dell'istruttoria.
Nel merito, la P.A.T. aveva evidenziato di aver effettuato una offerta economica congrua, pari al 5% dell'importo dei lavori, e di aver effettuato il puntuale pagamento di tutti gli stati avanzamento lavori. Aveva altresì evidenziato che il procedimento penale, per l'infortunio oggetto di causa, nei confronti del direttore dei lavori Ing. G.U. era stato archiviato. Inoltre, i convenuti avevano rilevato che, il giorno dell'infortunio, il pilastro in corso di getto era il primo che veniva realizzato dalla Italcostruzioni Sri e che, il giorno precedente, l'Ing. M.G. (per conto di P.A.T., sostituendo ring. G.U. all'epoca in ferie) non era stato informato dell'intenzione di erigere i pilastri, né poteva prevedere tale intenzione dallo stato dei lavori, atteso che al momento della verifica non erano realizzati i casseri per la colata del cemento. In ogni caso l'Ing. M.G. il giorno antecedente l'infortunio aveva vietato l'accesso alla passerella, e se  R.B. - peraltro avente la qualifica di caposquadra (e quindi preposto ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. 626/94) - avesse rispettato tale divieto, l'infortunio mortale non si sarebbe verificato.
La P.A.T. aveva poi rilevato: a) per quanto attiene il profilo di asserita "culpa in eligendo", che, nell'individuazione dell'appaltatore, dovevano essere rispettati precisi criteri dettati dalla normativa vigente e che la società Tridentina corrispondeva a tali criteri; b) in ogni caso, non poteva venire in rilievo alcun profilo di "culpa in vigilando", atteso che il proprio personale (nella persona dell'Ing. M.G.) aveva vigilato con costanza sulla sicurezza del cantiere, intervenendo proprio il giorno prima dell'infortunio con l'enunciazione del divieto di accesso nell'area del cantiere, dove poi si era verificato l'infortunio.
Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 2818/2016, aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta dagli attori, condannandoli al pagamento delle spese processuali.
Avverso la sentenza del Tribunale di Verona avevano proposto appello gli attori, articolando i seguenti motivi:
-violazione dell'art. 3 comma 8 lett.a) del d. lgs. n. 494/1996 e del principio secondo il quale l'idoneità tecnico-organizzativa dell'impresa appaltatrice doveva essere monitorata dalla 
committente e dal direttore lavori non soltanto al momento della stipulazione del contratto ma anche nel corso dell'esecuzione;
-violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6 comma 2 del d. Lgs. n. 494/1996 e del principio secondo il quale la designazione del coordinatore per l'esecuzione non esonera il committente pubblico dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di garanzia a tutela della sicurezza dei lavoratori;
-omessa pronuncia in ordine alla responsabilità della committenza pubblica e del suo direttore lavori per culpa in vigilando (con specifico riferimento ai motivi di cui alle pagine 32-34 dell'atto di citazione) con violazione dell'art. 112 c.p.c.;
-omesso esame del fatto, decisivo e controverso, che il direttore dei lavori, al momento dell'infortunio, era in ferie; nonché violazione degli artt. 22 e 42 della legge provinciale Trento n. 26/1993 e degli artt. 123-127 del d.P.R. n. 554/1999.
I convenuti si erano costituiti anche nel giudizio di appello, eccependo l'inammissibilità e/o l'improcedibilità dell'appello, non avendo lo stesso una ragionevole probabilità di essere accolto, dal momento che non conteneva: né le parti della sentenza impugnata e le modifiche richieste alla costruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; né le circostanze dalle quali sarebbe emersa la violazione della legge e la loro rilevanza ai fini della decisione.
Ciò posto, gli appellati avevano eccepito la prescrizione quinquennale del diritto risarcitorio degli appellanti per inidoneità delle raccomandate asseritamente interruttive. E, nel merito avevano contestato la ricostruzione del fatto e la quantificazione del danno, e, nel censurare i singoli motivi di appello ex adverso proposti, avevano rilevato:
- con riferimento al primo motivo, che la culpa in eligendo riguarda l’errata scelta dell’impresa aggiudicataria con riferimento al momento della stipulazione del contratto (e non nella fase di esecuzione); 
- con riferimento al secondo, che non si configurava la culpa in vigilando poiché ring. M.G. per conto del Direttore Lavori - Ing. G.U. - proprio il giorno prima dell'infortunio aveva vietato l'accesso all'area ed aveva ordinato di apporre le transenne agli accessi alle passerelle e non poteva ulteriormente esplicitare tale divieto con riferimento all'imbocco delle casseruole, posto che quel giorno le casseruole non erano state ancora realizzate. Per evitare l'infortunio sarebbe stato sufficiente che il datore di lavoro del R.B. (e cioè la società Italcostruzioni) e la Tridentina avessero osservato il divieto imposto;
- con riferimento al terzo ed al quarto motivo, che la committente - PAT - non aveva poteri tecnico-organizzativi dei lavori; non aveva obblighi di garanzia nei confronti del lavoratore, obbligo che spettava al suo datore di lavoro e aveva, comunque, garantito la continuità di servizio dei suoi preposti; che, pertanto, non poteva invocarsi nei confronti della PAT né l'art. 2087 c.c. né l'art. 2049 c.c. né, infine, l'art. 2051 c.c..
Gli appellati, inoltre, avevano rilevato che anche il Tribunale di Brescia (adito dai sig.ri Ceccardo e Paola R.B., figli del sig.  R.B.) con sentenza n. 2339/2012 - poi confermata dalla Corte d'Appello di Brescia (con sentenza n. 668/2016) - aveva escluso la responsabilità della PAT e dell'Ing. G.U. (suo dipendente).
3. La Corte di Appello di Venezia con ordinanza n. 676/2017, come sopra rilevato, ha dichiarato inammissibile, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., l'appello proposto dai familiari del lavoratore deceduto, rilevando che "...I motivi di gravame prospettati dagli appellanti avverso la pronuncia impugnata non appaiono sufficienti a mettere in discussione la correttezza e congruità; non risulta, infatti, che date le modalità dell'infortunio sia ravvisabile una qualche responsabilità della Provincia di Trento per avere omesso di verificare durante la stipulazione del contratto e durante la sua esecuzione che l'impresa appaltatrice dei lavori avesse l'idoneità tecnica ed organizzativa, e nemmeno per avere omesso di verificare che le disposizioni sulla sicurezza del cantiere impartite dal proprio incaricato M.G., venissero rispettate, essendo l'infortunio avvenuto il giorno successivo all'imposizione di tale ordine di servizio e principalmente per avere l'infortunato agito in palese violazione ditale direttiva; in definitiva l'appello non ha una ragionevole probabilità di essere accolto".
4. I familiari di  R.B. ricorrono ora avverso la sentenza emessa dal giudice di primo grado (p. 26 e p. 58), e - allegando al ricorso, ai fini dell'autosufficienza dello stesso, la documentazione indicata a p. 60 (e, in particolare, le dichiarazioni rese dall'ing. M.G., dapprima, in sede di sommarie informazioni 11/2/2013 agli agenti Spisal e, poi, in sede di deposizione testimoniale resa all'udienza 15/9/2015 davanti al giudice di primo grado; nonché l'ordine dell'ing. M.G. annotato sul libro giornale in data 22/8/2002) - denunciano:
-in relazione all'art. 360 comma 1 numero 4 c.p.c.: con il primo motivo (pp. 26-30), la nullità della sentenza per motivazione apparente sull'adempimento dei doveri di sicurezza incombenti sulla provincia autonoma di Trento e sul suo Direttore dei Lavori, con violazione dell'art. III, 6 comma, Cost. e art. 132, 2 comma n. 4 c.p.c.; i ricorrenti sostengono che è "apparente" la motivazione della sentenza di primo grado, nella parte nella quale non distingue i compiti ed i doveri della committente PAT rispetto a quelli specifici del direttore lavori, nonché nella parte nella quale non spiega come l'apposizione del divieto di accesso in un'area di cantiere (da parte dell'ing. M.G.) doveva considerarsi misura idonea a prevenire l'infortunio. Inoltre, censurano la sentenza di primo grado in quanto essa non spiegava: che cosa significasse in termini concreti di tempo "immediatezza" e "ristretto lasso di tempo", perché quanto meno dal giorno prima al giorno dopo non fosse stato possibile esercitare un controllo sul rispetto di quel divieto da parte della appaltatrice e delle maestranze, perché misure più drastiche non sarebbero state rilevanti nella vicenda;
con il motivo secondo (pp. 30-31), la nullità della sentenza per motivazione apparente sulla mancanza di nesso di causa tra la condotta del direttore lavori e della P.A.T. (per aver omesso di verificare in cantiere il giorno dell'infortunio e sin dall'inizio dei lavori in mattinata che le prescrizioni date il giorno precedente fossero eseguite ed osservate) e il mortale infortunio, sempre con violazione dell'art. III, 6 comma, Cost. e art. 132, 2 comma n. 4 c.p.c.; ribadiscono che la sentenza di primo grado non spiegava "perché fosse ritenuto ristretto il lasso di tempo intercorrente tra il divieto posto il giorno prima dell'incidente e il controllo del rispetto del medesimo da farsi il giorno successivo";
-in relazione all'art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c.: con il terzo motivo (pp. 31-40): violazione del principio per cui il direttore dei lavori di un cantiere pubblico ha il dovere di presenziare in cantiere quotidianamente e a tempo pieno alla ripresa dei lavori anche tramite propri assistenti, soprattutto a seguito delle accertate situazioni di grave pericolo di caduta dall'alto e delle prescrizioni date al riguardo il giorno precedente (artt. 123-127 del d.P.R. n. 554/1999); si lamentano del fatto che ring. G.U., direttore dei lavori, al momento della ripresa dei lavori, era in ferie e la sua assenza non poteva dirsi superata con l'intervento dell'ing. M.G. (superiore gerarchico dell'ing. G.U.), in quanto questi era soggetto sconosciuto all'ing. C., direttore tecnico di cantiere dell'impresa aggiudicataria, ed alle maestranze che nel cantiere operavano;
con il quarto motivo (pp. 40-52): violazione e/o falsa applicazione del principio secondo il quale la designazione del coordinatore per l'esecuzione non esonera il committente pubblico dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di garanzia a tutela della sicurezza dei lavoratori; i ricorrenti sostengono che l'ordine di adeguamento del cantiere alle misure di sicurezza previste nel POS doveva accompagnarsi al controllo, da parte della committente e del direttore lavori, del rispetto del divieto di accesso all'area: la committente pubblica - una volta venuta a conoscenza (tramite il proprio incaricato ing. M.G., le cui dichiarazioni rese agli agenti Spisal e in sede di giudizio di primo grado vengono trascritte in ricorso) della situazione di grave pericolo del cantiere e delle prescrizioni date all'ing. C. (direttore di cantiere) - avrebbe dovuto verificare il giorno successivo che il divieto di accesso all'area fosse rispettato e l'ordine della messa in sicurezza fosse eseguito;
con il quinto ed ultimo motivo (pp. 52-57): violazione del principio secondo il quale l'idoneità tecnico-organizzativa dell'impresa appaltatrice deve essere monitorata dalla committente e dal direttore lavori non solo al momento della stipulazione del contratto ma anche nel corso dell'esecuzione dello stesso: sostengono che la PAT era a conoscenza del fatto che l'appaltatrice Tridentina non aveva l'idoneità, tecnico-organizzativa, per far fronte ai lavori non solo dal giorno prima dell'infortunio (a seguito dell'intervento in cantiere dell'ing. M.G., che aveva verificato che le squadre di operai stavano lavorando senza i presidi di sicurezza, individuali e collettivi), bensì da molto prima, in quanto dalle dichiarazioni rese dall'ing. M.G. era emerso che la Tridentina aveva previsto il futuro coinvolgimento nella gestione del cantiere proprio dell'ing. M.G. (in considerazione: sia del deterioramento dei rapporti dell'impresa con l'ìng. G.U.; sia del fatto che le maestranze non riconoscevano l'autorità del direttore tecnico di cantiere ing. C.; sia del fatto che quest'ultimo non era ascoltato dall'impresa appaltatrice, che non gli dava i mezzi per garantire la sicurezza); deducono che, a fronte della suddetta non idoneità, la PAT avrebbe dovuto disporre la chiusura del cantiere o, quanto meno, presidiare lo stesso per verificare il rispetto del divieto imposto.
5. Resiste con controricorso la sola Provincia, già convenuta. Nessuna attività difensiva viene svolta dall'ing. G.U..
In vista dell'odierna adunanza, i ricorrenti depositano memoria a sostegno del ricorso.
6. I motivi censurano tutti - sia pure con diversità di prospettazione e di argomenti - il medesimo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, per cui possono essere trattati congiuntamente.
Può essere utile premettere che nel nostro ordinamento l'appalto pubblico presenta elementi privatistici ed elementi pubblicistici: all'amministrazione viene imposto, con norme di contabilità pubblica, di scegliere il contraente secondo determinati criteri, ragion per cui l'autonomia negoziale dell'amministrazione è sottoposta a limitazioni esterne ed il contratto di appalto pubblico è sottoposto alla disciplina dei contratti ad evidenza pubblica (di cui al Codice dei contratti pubblici, approvato con il d. lgs. n. 163 del 2006, ed al relativo regolamento esecutivo, posto con d.P.R. n. 207 del 2010), nella quale sono rifluite molte disposizioni precedenti (e, in particolare, gli artt. 123-127 del d.P.R. n. 554/1999) Tuttavia, una volta esaurita la fase dell'aggiudicazione ed intervenuto il contratto tra la pubblica amministrazione e l'impresa vincitrice della gara, l'appalto pubblico è contratto di diritto privato e nella sua esecuzione si applicano le regole privatistiche, con la conseguenza che: le parti sono poste in una posizione di parità e, in caso di controversia, è competente il giudice ordinario.
In particolare, per quanto qui rileva, il committente pubblico può essere chiamato a rispondere, per violazione della normativa posta a tutela della sicurezza dei lavoratori, ai sensi del d. Igs. n. 81 del 2008 (nel quale sono rifluite molte delle disposizioni precedenti, tra le quali quelle di cui ai d.P.R. nn. 547/1955, 164 e 303/1956, 164/1959, 462/2001, 222/2003; ai d. lgs. nn.
277/1991, 626 e 758/1994, 493 e 494/1996, 151 e 231/2001, 195 e 276/2003, 187/2005, nonché alla legge n. 123/2007), negli stessi termini in cui può essere chiamato a risponderne il committente privato.
Tanto premesso, nel caso di specie, il Tribunale di Verona - dopo aver escluso la culpa in eligendo della P.A.T., in quanto gli attori non avevano provato che "al momento della stipulazione del contratto" vi erano elementi atti a dimostrare che la committente poteva conoscere l'inidoneità organizzativa o la mancanza di mezzi dell'impresa appaltatrice Tridentina, non potendo ritenersi tali l'eccessivo ribasso dell'offerta e il ricorso all'interposizione illecita di manodopera - ha correttamente rilevato che, in linea di principio, per affermare la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento; e, in questa prospettiva, ha dato centralità al fatto (incontroverso) che l'ing. M.G., quale sostituto del direttore dei lavori (nominato dalla P.A.T.), proprio il giorno prima dell'incidente, aveva disposto il divieto di accesso (con apposite transenne) alla zona del cantiere (in quanto priva delle necessarie misure di protezione), in cui per l'appunto è avvenuto il giorno successivo l'incidente, provvedendo anche ad annotare l'ordine di servizio sul giornale dei lavori.
Quindi, il Giudice di primo grado, con motivazione per nulla illogica e superiore al minimo costituzionale, ha ritenuto che:
a) detta circostanza denotava l'adempimento da parte dell'amministrazione convenuta e della sua direzione lavori dell'obbligo di controllo sulla sicurezza delle condizioni di lavoro nel cantiere; e, essendo di per sé idonea a prevenire infortuni (quanto meno con riferimento all'area in cui è avvenuto l'incidente e nell'immediato), escludeva in concreto il nesso eziologico tra 
l'operato della stazione committente e la condotta (violativa del divieto proveniente dalla committente), posta in essere, oltre che dal lavoratore deceduto, dell'appaltatore e dei suoi preposti;
b) tenuto conto del fatto che l'incidente si era verificato il giorno dopo l'adozione (con annotazione) dell'ordine di servizio, non era concretamente enucleabile una responsabilità per mancato controllo dell'esecuzione del suddetto ordine ovvero per il ritardo nell'adozione di misure ancora più drastiche da parte dell'amministrazione committente.
D'altra parte, la Corte territoriale - dopo aver dato atto che l'operaio  R.B., in palese violazione dell'ordine impartito il giorno precedente dalla stazione appaltante: aveva scavalcato il parapetto posto per assicurare il divieto di accesso; si era portato nell'area del cantiere interdetta ed era salito, per la realizzazione del getto di un pilastro, sulla passerella, priva di protezione, dalla quale era poi caduto a terra, rimanendo senza vita - ha precisato che altro procedimento (promosso dai fratelli della vittima) si era concluso con il riconoscimento del concorso di colpa dell'infortunato nella misura del 40% e, per il residuo 60%, dell'impresa esecutrice dei lavori (la Trindentina) e del direttore tecnico dell'impresa (l'ing. Davide C.) e ha dichiarato inammissibile l'appello, ritenendo corretta e congrua la decisione del giudice di primo grado, contro la quale lo stesso era diretto.
A fronte del complesso motivazionale che precede, occorre ricordare che la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti (privilegiandole alcune e disattendendone altre) è mancipio esclusivo del giudice di merito, sempre che questi dia contezza - con motivazione adeguata e congrua, superiore al minimo costituzionale - del criterio adottato, come per l'appunto si è verificato nel caso di specie.
Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.
7. Avuto riguardo alla vicenda umana sottesa al ricorso e al drammatico epilogo della stessa, si ravvisano gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione integrale delle spese relative al presente giudizio di legittimità. I ricorrenti vanno condannati, invece, al pagamento dell'importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte:
- rigetta il ricorso;
- dichiara integralmente compensate le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Roma, 13 settembre 2018.