Cassazione Civile, Sez. 3, 30 novembre 2018, n. 30997 - Infortunio mortale da schiacciamento. Esclusiva responsabilità del datore di lavoro


 

 

Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: GORGONI MARILENA Data pubblicazione: 30/11/2018

 

 

 

Fatto

 

 

M.M. ricorre per cassazione avverso la decisione n. 2063/2016 della Corte d'Appello di Bologna, depositata il 15 novembre 2016, deducendo la presenza di due vizi di legittimità.
Resistono F.P. e la Società Cattolica Assicurazioni coop. a r.l. Il primo propone altresì, ex art. 371 c.p.c., ricorso incidentale condizionato, fondato su due motivi.
Il 13/1/2002, a distanza di due giorni da un infortunio sul lavoro occorsogli a causa del ribaltamento del carrello che stava spingendo e sul quale era stato collocato un telaio del peso di circa due quintali, F.B., marito dell'attuale ricorrente, perdeva la vita per schiacciamento. La vedova conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rimini, la Società Ideal di F.P. & c. e F.P., che ne era il rappresentante legale, per ottenerne la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni derivanti dall'infortunio sul lavoro che aveva coinvolto il marito.
Autorizzata la chiamata in causa della Duomo Assicurazioni S.p.A., ora Società Cattolica Assicurazioni coop. a. r.l., il Tribunale adito ritenne che il datore di lavoro, il quale aveva patteggiato la pena di sei mesi di reclusione per il reato di omicidio colposo, fosse l'unico responsabile dell'incidente mortale e, accogliendo parzialmente la domanda dell'attuale ricorrente, le riconobbe, a titolo di risarcimento dei danni subiti, la somma di euro 641.222,61, posta a carico della Società Cattolica Assicurazioni.
La sentenza veniva impugnata da M.M. che lamentava il mancato riconoscimento del danno esistenziale e del danno patrimoniale da perdita del contributo economico alla vita familiare. In via incidentale, F.P. deduceva la esclusiva responsabilità della vittima nella causazione dell'incidente e lamentava che fosse stato, e -in misura arbitraria ed eccessiva, liquidato il danno parentale pure in assenza di prova della sua ricorrenza.
La Corte d'Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, rigettava tanto l'appello principale quanto quello incidentale e compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
 

 

Diritto

 


Ricorso principale
1. Con il primo motivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di legge (non specificamente individuate) ed insiste per il riconoscimento del diritto a percepire euro 225.924,98 a titolo di danno patrimoniale richiesto e provato in causa presuntivamente ed ex art. 115 c.p.c. Ad illustrazione del motivo la vedova F.B. adduce che la vittima, all'epoca dei fatti, lavorava già da tredici anni come operaio specializzato presso la società Ideal e percepiva annualmente un reddito di euro 18.000,00; perciò detratta la quota sibi, riteneva che presumibilmente le sarebbe stata destinata, in quanto coniuge, la metà del reddito prodotto; nessuno di tali fatti era stato specificamente contestato e, pertanto, essi, a suo avviso, dovevano considerarsi provati.
2. Il motivo risulta inammissibile.
2.1. Queste le ragioni.
2.2. Risulta assorbente la mancata censura dell'altra ratio decidendi con cui la Corte territoriale ha respinto la richiesta risarcitoria della ricorrente: trattandosi di danno differenziale, la sottrazione del danno percepito al medesimo titolo dall'Inail.
2.3. In aggiunta, quanto alla lamentata violazione dell'art. 115 c.p.c, il giudice a quo ha giustificato la decisione di non accogliere la richiesta risarcitoria con argomenti che risultano coerenti con la giurisprudenza di questa Corte e da cui non vi sono ragioni per discostarsi: a) la riforma dell'art. 115 c.p.c. è intervenuta dopo la conclusione della fase istruttoria di primo grado, per cui non era previsto un onere di contestazione specifica a carico di F.P. e della società Ideal, vigendo ratione temporis la regola secondo cui un fatto può essere considerato pacifico soltanto se esso è stato esplicitamente ammesso dalla controparte oppure quest'ultima ha impostato il proprio sistema difensivo su circostanze e argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento (Cass. 21/01/2015, n. 1045); b) il principio di contestazione specifica di cui all'art. 115 c.p.c. opera esclusivamente per i fatti noti alla parte e non per quelli ignoti — ad esempio, la quota di reddito destinata alla famiglia — od estranei alla sua sfera di conoscibilità diretta (Cass. 13.2.2013, n. 3576); c) la specificità della contestazione non risultava correlata alla specificità dei fatti allegati dalla controparte (Cass. 22/09/2017, n. 220559).
2.4. La censura relativa al ragionamento presuntivo investe l’accertamento relativo al raggiungimento o meno di una prova adeguata che è compito spettante al giudice di merito, il quale, nella specie, ha dato conto con adeguata motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto che la prova non fosse stata raggiunta (difettava l'allegazione dei fatti noti da cui partire per risalire al fatto da dimostrare: ad esempio caratteristiche e composizione del nucleo familiare, tenore di vita, redditi complessivi del nucleo familiare).
3. Con il secondo motivo, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e ribadisce la richiesta di liquidazione del danno esistenziale per euro 150.000,00.
3.1. Vanno fatte, in primo luogo, alcune precisazioni di carattere generale. Le cosiddette sentenze di San Martino — Cass. 11/11/2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975 — hanno imposto la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, ritenendolo una "categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate", specificando nel contempo che il danno non patrimoniale è destinato a compendiare tutte le componenti in cui può essere sotto articolato, ben potendo, però, a seconda della fattispecie o del tipo di interesse leso, assumere contenuto diverso con funzione descrittiva delle conseguenze negative verificatesi.
3.2. La giurisprudenza più recente ha poi ulteriormente specificato che il danno non patrimoniale è categoria unitaria dal punto di vista giuridico, nel senso che costituisce l'esito di un giudizio sintetico delle ripercussioni negative sul valore-uomo, ma non lo è dal punto di vista fenomenologico (Cass. 17/01/2018, n. 901; Cass. 27/03/2018, n. 7513), per quanto non sia corretto ridurlo a una sorta di contenitore di una pluralità di addendi disinvoltamente scindibili e riunibili all'atto della liquidazione.
3.3. La preoccupazione concordemente manifestata dai giudici di legittimità è quella di evitare inammissibili duplicazioni risarcitone, cioè il rischio di riconoscere alla vittima un ingiustificato arricchimento ascrivibile "direttamente" al riconoscimento di una liquidazione che sia il risultato della somma di poste risarcitone che riguardino il medesimo pregiudizio ovvero derivante "indirettamente" dalla sopravvalutazione delle conseguenze della lezione occorsa.
3.4. Il fatto che la liquidazione debba essere unitaria (Cass. 17/01/2018, n. 901 ha chiarito che unitarietà significa che la lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto avente carattere di inviolabilità produce un danno non patrimoniale) non è, tuttavia, lo schermo dietro cui celare liquidazioni astratte e non trasparenti, e men che mai può tradursi in una arbitraria ed immotivata contrazione del risarcimento. Ad impedire tale ultima eventualità vi è il fatto che oltre che unitario il danno non patrimoniale sia omnicomprensivo, cioè sia tale da garantire che la vittima ottenga l'integrale risarcimento del danno, venendo compensata di tutte le conseguenze pregiudizievoli cagionate dall'illecito.
3.5. Il perimetro di valutazione è contrassegnato da due limiti: il divieto di automatismi risarcitori e il divieto di duplicazioni. AU'interno si collocano l'integrale riparazione del danno e la esigenza di garantirne la personalizzazione, ove ve ne siano i presupposti. In concreto ciò significa che se le proiezioni negative patite non divergono da quelle subite da altre vittime nella medesima condizione il danneggiato non avrà diritto al riconoscimento di un quid pluris. 
3.6. La richiesta risarcitoria di poste ulteriori, come in questo caso, avrebbe potuto essere presa in considerazione, pertanto, ove fossero state soddisfatte due condizioni: 1) la posta risarcitoria pretesa non fosse stata già riconosciuta; 2) vi fosse la prova della ricorrenza di una situazione atta a giustificare la liquidazione di un quid pluris, a prescindere dalla etichetta nominalistica attribuitagli (in questo caso la ricorrente ha reclamato il risarcimento del danno esistenziale, inteso come turbamento d'animo e sofferenza interiore).
3.7. In merito alla prima condizione, occorre ribadire quanto questa Corte ha già avuto occasione di precisare e cioè che il danno liquidato alla vittima per la lesione del rapporto parentale già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, costituendone una componente intrinseca. Pertanto, è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e di danno esistenziale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale) (Cass. 10/01/2017, n. 238).
3.8. Né la vittima ha allegato — sì da integrare la seconda condizione — la ricorrenza di situazioni eccezionali atte a far ritenere che il pregiudizio sofferto fosse diverso e maggiore rispetto ai casi consimili (Cass. 27/03/2018, n. 7513; Cass. 18/11/2014, n. 24471).
3.9. Pertanto, questo Collegio ritiene che il giudice a quo con un percorso corretto e trasparente nonché immeritevole di censura abbia individuato il danno risarcito e spiegato con altrettanta correttezza e trasparenza le ragioni della mancata liquidazione di poste di danno ulteriori, consentendo di verificare la corrispondenza tra il quanto liquidato, il criterio adottato e il dovuto.
3.10. Il motivo va, dunque, rigettato, dovendosi ritenere che le pretese dell'attrice, per come formulate, tradiscano la invocazione di un mero automatismo risarcitorio, difettando della allegazione di quelle circostanze specifiche ed eccezionali — il giudice a quo ha sottolineato che della ricorrente e del defunto si conosce solo l'età, rispettivamente, 31 e 34 anni; non era stata fornita indicazione di alcun tipo relativa alla durata del matrimonio, ai progetti di vita della coppia, alla qualità e all'intensità della relazione affettiva con la vittima, alla composizione della situazione familiare, ecc. — che facciano apparire verosimile che il danno concreto sia stato più grave di quello liquidato e cioè che la ricorrente abbia subito un danno diverso e superiore rispetto a quello già riconosciutole.

Ricorso incidentale
4. F.P. ripropone — deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. c.c., dell'art. 168 del d.p.r. n. 547/1955, degli artt. 115 e 116 c.p.c. per erronea interpretazione delle risultanze probatorie e documentali — la tesi, già respinta dalla Corte territoriale, secondo cui F.B. avrebbe tenuto una condotta atipica ed eccezionale, idonea ad interrompere il nesso causale tra l'evento e la condotta tenuta dal datore di lavoro ed a configurarsi quale causa esclusiva dell'infortunio mortale occorsogli. In aggiunta, il controricorrente lamenta la violazione dell'art. 1226 c.c., ritenendo che il danno sia stato liquidato senza prova della sua ricorrenza.
4.1. La prima censura non è ammissibile, perché postula una diversa ed a sé favorevole valutazione delle risultanze probatorie, ricorrendo, per denunciarla a questa Corte, del tutto impropriamente al vizio dell'asserita violazione di legge, in assenza di specifiche censure mosse alla sentenza impugnata dalla quale emergerebbe l'errore, e sovrapponendovi il vizio di omesso esame di alcuni fatti (ad esempio che la vittima fosse il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che avesse il compito di istruire il personale sulla sicurezza, che avesse elaborato il documento finale di valutazione dei rischi), senza soddisfare l'onere di indicare il dato extratestuale dal quale evincere la loro esistenza nonché il come e il quando tali fatti fossero stati oggetto di discussione tra le parti (Cass., sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 9/09/2016, n. 19312), né la loro decisività, cioè la idoneità a farne discendere, ove considerati, una sentenza di contenuto differente e senza tener conto del fatto che trattandosi di doppia conforme, il vizio dell'omesso esame non sarebbe comunque — cioè anche se questa Corte correggesse l'errore di sussunzione — invocabile.
4.2. Nella sostanza F.P. si limita ad insistere nella pretesa di aver provato ampiamente che F.B. si era reso responsabile di una manovra anomala, imprevedibile, imprudente e pericolosa, che egli, nelle vesti di datore di lavoro, aveva predisposto le misure di sicurezza adeguate ed aveva fornito precise direttive sulla manovra dei carrelli che la vittima aveva disatteso.
4.3. La Corte, tuttavia, con una analitica ed apprezzabile valutazione del materiale probatorio nella sua disponibilità — accertamenti della AUSL, deposizione dell'unico testimone presente — che le censure del ricorrente non si sono dimostrate idonee a scalfire e confutare, ha ritenuto provato che:
— il carrello non era adatto a movimentare materiali così pesanti;
— era stata impropriamente aumentata la base di appoggio;
— il carrello poteva essere spinto solo agendo direttamente su di esso o sul carico; .
— la manovra eseguita dalla vittima era quella normalmente compiuta per caricare il forno essiccatore;
— il materiale caricatovi non era stabile sul carrello ed era facile che si spostasse il relativo baricentro con conseguente ribaltamento;
— non vi erano altri carrelli idonei;
— proprio lo stesso carrello era stato in precedenza caricato da altri, a riprova che quei carrelli di fortuna erano abitualmente utilizzati;
— il documento di valutazione dei rischi elaborato dalla società SAFAS S.r.l., di ciò incaricata, non aveva valutato i rischi derivanti dalla movimentazione dei carrelli;
— in passato si era verificato un incidente analogo, come emerso dagli atti dell'indagine penale;
— il datore di lavoro non aveva impartito direttive specifiche sul divieto di uso di carrelli inadeguati né aveva vigilato sulla loro osservanza.
4.4. Tanto bastava, secondo il giudice a quo, a dimostrare l'avvenuta violazione dell'art. 168 del d.p.r. 27/04/1955 n. 547 — il quale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente incidentale, risultava applicabile al caso in esame, stante che la sua abrogazione è avvenuta solo per effetto del d.lgs. n. 81/2008 (i fatti di causa risalgono al 2002) — e ad escludere che il comportamento della vittima fosse stato anomalo, atipico ed eccezionale sì da interrompere il nesso causale e da assurgere a causa esclusiva dell'infortunio. 
4.5. In tale contesto le critiche formulata dal ricorrente incidentale si risolvono in una sollecitazione alla rivalutazione del materiale istruttorio, preclusa in sede di legittimità, dovendosi, per contro, ribadire che il giudice di merito, quando ha individuato nel datore di lavoro l'unico responsabile dell'Infortunio mortale verificatosi, ha applicato principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte ed anche di recente ribaditi: "la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l’eventuale (coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto (Cass. 13/01/2017, n. 798). Non solo: "Il datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del lavoratore, dimostrando di aver messo in atto a tal fine ogni mezzo preventivo idoneo, con l'unico limite del cd. rischio elettivo, da intendere come condotta personalissima del dipendente, intrapresa volontariamente e per motivazioni personali, al di fuori delle attività lavorative ed in modo da interrompere il nesso eziologico tra prestazione e attività assicurata" (Cass. 18/06/2018, n. 16026).
5. La seconda censura è inammissibile, essendo evidente che, sussistendone i presupposti, la Corte ha ritenuto provato il danno riconosciuto alla ricorrente, mercé il ricorso a presunzioni.
6. Vanno, pertanto, rigettati il ricorso principale e quello incidentale.
7. In ragione della soccombenza reciproca, le spese sono interamente compensate.
8. Ricorrono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del comma 1 bis dell'articolo 13 del d.p.r. 115 del 2002.
 

 

PQM

 


La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa le spese tra le parti.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Terza sezione civile della Corte di Cassazione il 27/09/2018.