Cassazione Penale, Sez. 3, 12 dicembre 2018, n. 55475 - Mancanza di un idoneo locale adibito a spogliatoio, impianti non sicuri e scarse condizioni igieniche dei luoghi di lavoro. Ne bis in idem


Presidente: ROSI ELISABETTA Relatore: ZUNICA FABIO Data Udienza: 12/09/2018

 

Fatto

 

1. Con sentenza del Tribunale di Vercelli del 9 gennaio 2018, M.S. veniva condannato alla pena di € 1.000 di multa in ordine ai reati di cui agli art. 63 comma 1, 64 comma 1 e 71 comma 1 del d. lgs. n. 81/2008, accertati in Borgosesia il 25 marzo 2014 e a lui contestati nella veste di legale rappresentante della società "Essemme di M.S. & C. s.a.s.".
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria recepita dal Tribunale, l'imputato, nell'ambito della sua azienda, non predisponeva un apposito locale per lo spogliatoio e gli armadi per il vestiario, che si trovavano direttamente all'interno del reparto lucidatura-pulitura, non provvedeva a dotare i due aggregati della macchina "Bossi ditta Cosmap" utilizzata nel predetto reparto di idonei ripari collegati a microinterruttore a distacco obbligato permanente nella loro parte inferiore, e non sottoponeva altresì a regolare pulitura i luoghi di lavoro, gli impianti e i macchinari presenti nel reparto di lucidatura-pulitura al fine di garantire condizioni igieniche adeguate, non sottoponendo infine a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento gli impianti di sicurezza destinati alla prevenzione e alla eliminazione dei pericoli.
2. Avverso la sentenza del Tribunale piemontese, M.S., tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa censura l'inosservanza del principio del ne bis in idem di cui all'art. 649 cod. proc. pen., osservando che, a seguito di un infortunio sul lavoro verificatosi il 21 novembre 2013 presso la società amministrata dal ricorrente, venivano instaurati 4 procedimenti penali a carico di M.S., che venivano riuniti nel procedimento n. 526/2014 R.G.N.R., definito con sentenza di non doversi procedere per l'esito positivo della messa alla prova; ciò posto, osserva la difesa che il procedimento penale oggetto di questo procedimento, recante il n. 526/2014 R.G.N.R., prevede la medesima imputazione di uno dei procedimenti penali, il 3978/2014 R.G.N.R., riunito nel procedimento n. 526/2014 R.G.N.R., per cui il Tribunale avrebbe dovuto emettere sentenza di proscioglimento ex art. 529 cod. proc. pen., posto che il reato contestato era il medesimo, come pure identico era l'Ufficio del P.M. (Procura di Vercelli).
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione e l'erronea applicazione degli art. 17 cod. pen. e 68 del d. lgs. 81/2008, essendovi un contrasto tra il dispositivo, dove si parla erroneamente di multa, e la motivazione, dove si parla invece di ammenda.
 

 

Diritto

 


Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre richiamare la costante e condivisa affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 6, n. 598 del 05/12/2017, Rv. 271764 e Sez. 3, n. 35394 del 07/04/2016, Rv. 267997), secondo cui la violazione del ne bis in idem, ovvero la preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, si risolve in un "error in procedendo", che, come tale, è deducibile nel giudizio di cassazione, a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell'esecuzione.
Nel caso di specie, la questione sulla eventuale ricorrenza dei presupposti del "ne bis in idem" non risulta sia stata dedotta dinanzi al Giudice monocratico che ha giudicato le odierne imputazioni, per cui la problematica del "ne bis in idem" non appare risolvibile in questa sede, richiedendo la stessa accertamenti fattuali non consentiti in questa sede sull'effettivo tenore delle molteplici imputazioni elevate a carico di M.S. e sui limiti della loro eventuale sovrapponibilità, non essendo chiaro in particolare, alla stregua delle allegazioni disponibili, se la coincidenza delle imputazioni sia parziale o totale, avuto riguardo alla non omogeneità delle coordinate spazio-temporali dei fatti, alcuni contestati a Borgosesia (proc. n. 2032/2014 R.G.N.R.), altri (proc. n. 3978/2014 R.G.N.R.) a Valduggia, peraltro in epoche anche diverse (18 marzo 2014, oltre che 25 marzo 2014), fermo restando che dalla produzione documentale difensiva non si evince neanche se sia intervenuta (ed eventualmente sia divenuta irrevocabile) la sentenza che avrebbe definito con l'esito positivo della messa alla prova il giudizio in cui sono confluiti gli altri procedimenti riuniti pendenti a carico di M.S., risultando allegata la sola ordinanza di messa alla prova del 3 ottobre 2016, senza alcuna documentazione sul suo successivo sviluppo, per cui a non risultare comprovato nel caso di specie è lo stesso presupposto costitutivo richiesto dall'art. 649 cod. proc. pen., ovvero l'esistenza di una previa sentenza sul medesimo fatto.
Per come proposta, la doglianza difensiva va quindi disattesa, stante la necessità di compiere adeguati approfondimenti fattuali inibiti in sede di legittimità.
2. Passando infine al secondo motivo, occorre evidenziare che a venire in rilievo nel caso di specie non è il dedotto vizio di manifesta illogicità della motivazione o di erronea applicazione della legge penale, ma unicamente un mero refuso contenuto nel dispositivo, nel senso che la pena pecuniaria è stata indebitamente qualificata come multa e non come ammenda, come invece correttamente indicato nella motivazione della sentenza impugnata, in coerenza con la natura contravvenzionale delle fattispecie per cui è intervenuta condanna. A tale refuso, ai sensi dell'art. 620 lett. I) cod. proc. pen., può porsi rimedio in questa sede, disponendosi cioè la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata, nel senso che, dopo le parole "lo condanna alla pena di € 1.000 di", laddove è scritto "multa", deve intendersi "ammenda". 
3. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone la correzione dell'errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata, nel senso che, laddove è scritto "multa", deve intendersi "ammenda". Manda la Cancelleria di trasmettere copia del presente dispositivo al Tribunale di Vercelli per le annotazioni.
Così deciso il 12/09/2018