Cassazione Penale, Sez. 4, 18 dicembre 2018, n. 56947 - Lavoratore addetto al reparto verniciatura investito da un carrello elevatore. Requisiti dei luoghi di lavoro


 

 

 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: TORNESI DANIELA RITA Data Udienza: 14/09/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 27 aprile 2016 il Tribunale di Pordenone dichiarava Z.A. responsabile del reato ascritto e lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi uno e giorni dieci di reclusione. Disponeva la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone per procedere nei confronti di C.C. e di R.C..
1.1. Al predetto imputato era contestato il reato p. e p. dall'art. 590, commi 2 e 3, 40, comma 2, cod. pen. perché, nella qualità di datore di lavoro della ditta ACOP s.r.l., non predisponeva sistemi idonei a consentire una buona visuale delle vie di transito sia al carrellista che ai pedoni e/o percorsi protetti con ostacoli fissi per i pedoni, violando così il combinato disposto di cui agli artt. 64, comma 1, lett. a) e 63, comma 1, con riferimento all'allegato IV punti 1.4.1 e 1.8.1 del d.lgs. 81/2008, perché non impediva che il conducente del carrello elevatore C.C. investisse V.C. che in quel momento sopraggiungeva dalla parte retrostante il forno di essicazione, cagionandogli lesioni personali da cui derivava una malattia durata più di 40 giorni ed un impedimento permanente della locomozione dovuta allo schiacciamento ed amputazione del piede.
In Pasiano di Pordenone il 04 maggio 2012.
2. La Corte di appello di Trieste, con sentenza emessa in data 04 ottobre 2017, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, sostituiva la pena detentiva inflitta allo Z.A. con la multa di euro 10.000 e revocava la sospensione condizionale della pena, confermando nel resto.
3. Z.A., a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza elevando i seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta credibilità dei testi, nonché con riferimento alla dinamica dell'infortunio ed alla ricostruzione del fatto.
Il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte territoriale ha posto a fondamento della decisione la versione dei fatti resa dalla persona offesa costituitasi parte civile ritenendola "chiara logica e lineare", nonostante le evidenti contraddizioni in cui il predetto è incorso e, al contempo, ha ritenuto immotivatamente non credibile la deposizione resa dal mulettista C.C..
Evidenzia che quest'ultimo aveva sempre asserito, nelle sue varie dichiarazioni, che l'infortunio si era verificato nella corsia riservata ai carrelli, precisando che la persona offesa era uscita all'improvviso dal corridoio posto dietro l'angolo del forno essiccatore e, correndo all'indietro e con la testa rivolta verso l'alto, aveva attraversato la corsia pedonale ed invaso quella riservata ai carrelli. Sostiene che tale dinamica dei fatti trova conferma anche negli esiti dell'infortunio che aveva coinvolto il piede sinistro di V.C. il quale, accortosi del muletto con il quale si stava scontrando, dopo aver invaso la corsia destinata ai carrelli, si era evidentemente girato di centottanta gradi facendo perno sul piede destro per vedere cosa ci fosse alla sua destra, andando cosi a porre quello sinistro sotto la ruota del carrello che stava in quel momento sopraggiungendo.
3.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta responsabilità penale.
Il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte territoriale, nell'analizzare la condotta tipica contestata, si è limitato ad affermare che «come datore di lavoro avrebbe dovuto fare in modo che la circolazione dei mezzi e persone avesse luogo in assoluta sicurezza, vietando che la corsia riservata ai pedoni venisse impegnata con il deposito di altro materiale e predisponendo degli specchi».
Evidenzia l'assenza di risultanze istruttorie convergenti ed idonee a provare la violazione di qualsiasi regola cautelare precisando che, al contrario, dal compendio probatorio emerge come lo Z.A. abbia agito in osservanza degli obblighi di diligenza e prudenza e nel pieno rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro mentre l'origine dell'infortunio deve ravvisarsi
esclusivamente nel comportamento gravemente imprudente ed imprevedibile della persona offesa.
3.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del nesso causale.
Il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte territoriale, nel ritenere sussistente il nesso causale tra l'asserita violazione della regola cautelare e l'evento lesivo, si sia limitata ad affermare in maniera apodittica che «l'osservanza di tali cautele avrebbe consentito di evitare l'evento che, pertanto, si pone in diretta connessione causale con la condotta colposa, mentre nessun rimprovero può legittimamente muoversi al dipendente infortunato non certo quello di aver tenuto un comportamento abnorme».
Deduce che la mancata installazione degli specchi avrebbe potuto essere ritenuta causa dell'infortunio solo ove si fosse accertato che tali dispositivi avrebbero impedito il verificarsi dell'evento. Al riguardo precisa che, come dichiarato dal C.C., nel caso di specie non vi era alcun problema di visibilità, atteso che nel punto dell'infortunio sia la corsia pedonale che quella riservata ai carrelli erano libere e che, comunque, la presenza di specchi non avrebbe arginato la gravissima imprudenza della persona offesa, né il verificarsi dell'evento.
Afferma che, ove si ritenesse di attribuire una minima rilevanza causale al suo comportamento, dovrebbe comunque ritenersi che il nesso causale sia stato interrotto dal comportamento imprevedibile ed abnorme della persona offesa.
3.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo.
Evidenzia l'impossibilità di prevedere il comportamento gravemente imprudente del V.C. il quale era un lavoratore esperto che aveva potuto usufruire con regolarità della formazione in materia di sicurezza messa a disposizione dalla ACOP s.r.l. e che era stato persino nominato nelle squadre antincendio e primo soccorso aziendali.
3.5. Con il quinto motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha confermato il giudizio di equivalenza tra la contestata aggravante e le attenuanti generiche operato dal primo giudice, nonostante l'avvenuto risarcimento del danno in favore della persona offesa.
3.6. Conclude chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è inammissibile per genericità, tenuto conto delle ampie motivazioni della Corte distrettuale, in risposta alle doglianze formulate nell'atto di appello e, comunque, manifestamente infondato.
2. Va anzitutto evidenziato che nel caso, come quello di specie, di c.d. doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi si integrano a vicenda, confluiscono in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
2.1. Si rammenta, inoltre, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Rv. 243247; Sez. 3, n. 23528 del 6/6/2006, Rv. 234155). Ancora, la Suprema Corte ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e da considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
E' stato altresì ribadito come, ai sensi di quanto disposto dall'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Rv. 255542).
2.2. Secondo la giurisprudenza di legittimità, le regole dettate dall'art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della parte offesa: queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214; Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661; Sez. 3, n. 28913 del 03/05/2011, Rv. 251075; Sez. 3, n. 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136).
Il vaglio positivo dell'attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato (Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Rv. 229755).
In tema di valutazione della prova testimoniale, l'attendibilità della persona offesa dal reato è una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'Insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575). 
3. Ciò premesso, si osserva, più in particolare, in relazione al primo motivo che, secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito coerentemente alle emergenze processuali, V.C., dipendente della società ACOP s.r.l., in qualità di addetto al reparto verniciatura, per raggiungere la parte del forno da cui usciva il materiale in lavorazione seguendo il percorso più breve, procedeva in senso antiorario e, nell'effettuare la doverosa svolta a sinistra per imboccare il corridoio, veniva investito dal carrellista C.C. che in quel frangente trasportava un bancale su un muletto occupando la corsia pedonale; circostanza che avrebbe imposto a quest'ultimo una particolare prudenza nel manovrarlo.
Il giudizio di responsabilità a carico dello Z.A. si fonda sulla versione dei fatti resa dalla persona offesa la quale precisava che, data l'altezza delle pareti del forno e l'assenza di specchi che potessero segnalare il pericolo, non gli era stato possibile vedere il C.C..
I giudici di merito hanno vagliato in modo approfondito l'attendibilità della persona offesa evidenziando, sotto il profilo intrinseco, la linearità e la precisione del suo narrato che trovava pieno riscontro oggettivo negli esiti lesivi dell'infortunio al piede sinistro, conformemente alla descrizione dell'accadimento. Per contro la dichiarazione resa dal dipendente C.C., oltre ad essere ritenuta di per sé non credibile, per gli aspetti bizzarri che la caratterizzava (riferiva che V.C. era sbucato dall'angolo del forno essiccatore «correndo all'indietro e con la testa rivolta verso l'alto») era smentita dalle modalità concrete dell'infortunio. Si osservava, al riguardo, che la sua versione dei fatti avrebbe infatti comportato un coinvolgimento del piede destro, in luogo di quello sinistro infortunato, a meno di non ipotizzare, così come affermato dal difensore, contorsioni forzate del corpo.
La Corte di appello precisava, inoltre, che gli operatori del Dipartimento di prevenzione della ASS n. 5 Friuli Occidentale che avevano proceduto alla redazione del verbale di ispezione redatto al momento del sopralluogo, nella immediatezza dei fatti, ritenevano accertato che «il carrellista circolava nella corsia riservata ai pedoni in quanto la corsia per i carrelli era occupata da materiale depositato ed investiva l'operatore...che in quel momento usciva da dietro un forno di essicazione». Sottolineava, inoltre, che, nei confronti del C.C., era stata rilevata la violazione di cui all'art. 20, comma 2, lett. b) d.lgs. n. 81/2008 che era stata regolarmente pagata.
4. Quanto al secondo, al terzo e al quarto motivo che vengono trattati unitariamente essendo strettamente connessi, si osserva che la Corte distrettuale perveniva al convincimento, alla stregua delle emergenze processuali, che lo Z.A., nella qualità di Vice Presidente del Consiglio di amministrazione della società, con specifica delega in tema di sicurezza ed igiene sul lavoro, non aveva provveduto a dotare la zona in cui è avvenuto l'infortunio di uno specchio convesso idoneo ad assicurare la visuale sia ai pedoni che ai carrellisti e soprattutto a non delimitare la corsia per i pedoni con ostacolo fisso, sì da impedire ai carrelli di passare da una corsia all'altra. Tali ostacoli fissi venivano infatti inseriti, dopo l'infortunio, a seguito delle prescrizioni imposte dagli ispettori dell'ASS n. 5.
Risultava infatti che il ricorrente non aveva ottemperato agli obblighi di tutela cui era tenuto in tema di sicurezza sui lavoro.
L'art. 63 del d.lgs. 81 del 2008 dispone, al primo comma, che i luoghi di lavoro devono essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV. L'art. 64, comma 1, lett. a) dispone che è obbligo del datore di lavoro di provvedere a che i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1, 2 e 3.
Per quel che qui interessa, il richiamo operato all'allegato IV (disciplinante i requisiti dei luoghi di lavoro) è riferito specificamente ai punti 1.4.1. e 1.8.1. Tali regole di sicurezza prevedono che:
- 1.4.1. Le vie di circolazione, comprese scale, scale fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio;
- 1.8.1. I posti di lavoro e di passaggio devono essere idoneamente difesi contro la caduta o l'investimento di materiali in dipendenza dell'attività lavorativa.
Inoltre, quanto alla c.d. causalità psichica della colpa, la Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto in subiecta materia che impone la verifica, in concreto, della sussistenza dei profili della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire.
5. Con riferimento alla rilevanza della eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato, è sufficiente rammentare che, in tema di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l'offesa, la giurisprudenza di legittimità ritiene che possano considerarsi tali quelle che diano luogo a una serie causale, sebbene non del tutto autonoma rispetto a quella riferibile all'agente, che si atteggi in termini di assoluta anomalia, eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 4, n. 13939 del 30/01/2008, Rv. 239593). In particolare, è stato chiarito (Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, 2010, Rv. 246695) che la condotta colposa del lavoratore non esclude la responsabilità dell'Imprenditore, poiché il datore di lavoro è destinatario delle norme antinfortunistiche proprio per evitare che il dipendente compia scelte irrazionali che, se effettuate, possano pregiudicarne l'integrità psico-fisica: l'imprenditore è esonerato da responsabilità soltanto nel caso in cui il comportamento del dipendente sia eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile e non anche nel caso in cui l'irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare proprio il contrario di quello che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni.
Con particolare riferimento alla sicurezza sul luogo di lavoro, la giurisprudenza di legittimità ritiene che presenti efficacia interruttiva del rapporto causale esistente tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l'offesa soltanto il comportamento abnorme del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 14440 del 05/03/2009, Rv. 243881).
5.1. Alla stregua dei sopraesposti principi giurisprudenziali i giudici di merito hanno correttamente escluso che sia addebitabile alla persona offesa un comportamento abnorme per il solo fatto di non avere indossato le scarpe antinfortunistiche.
6. Quanto al quinto motivo, si premette che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in cassazione solo nelle ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la equivalenza aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Rv. 245931, Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Rv. 270450; Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, Rv. 270481). Peraltro, in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma deN'art. 133 cod. pen. e gli altri dati significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto (Sez. 2, n. 3610 del 15/01/2014, Rv. 260415).
6.1. Orbene, nel caso in esame la Corte distrettuale ha congruamente motivato in ordine al giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti ed aggravanti in ragione del comportamento processuale diretto a negare l'evidenza dei fatti.
7. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Cosi deciso il 14/09/2018