Ministero del lavoro e della previdenza sociale
Circolare 6 dicembre 2000, n. 86
Modifiche al sistema sanzionatorio in tema di part time, tutela della maternità e paternità, lavoro notturno e lavoro minorile. Chiarimenti operativi.
 

Le novità introdotte dal legislatore con il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 (lavoro a tempo parziale) e con la legge 8 marzo 2000, n. 53 (sostegno della maternità e paternità) pongono alcuni problemi interpretativi, sotto il profilo del regime sanzionatorio, rispetto ai quali questo Ministero, coadiuvato dal gruppo di studio istituito presso la Divisione VII di questa Direzione generale, sentita la Direzione Generale dei rapporti di lavoro competente per materia, ha individuato le soluzioni operative di seguito riportate.
Inoltre, viene esaminato il sistema sanzionatorio del lavoro notturno, alla luce della nuova normativa introdotta con D.Lgs. 26 novembre 1999, n. 532, in attuazione dell’art. 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25, nonché quello dettato dal D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 345, recante norme in materia di protezione dei giovani sul lavoro, e dal successivo D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 262 correttivo del precedente.

1. D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 61: lavoro a tempo parziale
Le nuove disposizioni del D.Lgs. 61/2000, in materia di lavoro a tempo parziale, recepiscono la direttiva 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sulla medesima materia concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES. Partendo dall’unanime riconoscimento della funzione economica e sociale del part-time nell’ambito della flessibilità del tempo di lavoro, il decreto legislativo abbandona per molti aspetti la rigidità della precedente disciplina, ampliando le ipotesi di ricorso al part-time nell’ottica di una politica legislativa volta a promuovere l’occupazione contemperando gli interessi dei lavoratori con le esigenze di competitività delle imprese.
La disciplina preesistente è stata quasi interamente innovata attraverso l’abrogazione espressa dell’art. 5 della legge n. 863/84, dell’art. 13, comma 7, della legge n. 96/97 e dell’art. 7, comma 1, lett. a) della legge n. 451/94 (art. 11 D.Lgs. 61/2000).
Sotto il profilo della punibilità, la tendenza alla liberalizzazione si traduce nella quasi totale eliminazione delle fattispecie sanzionatorie, avendo la nuova normativa previsto l’irrogazione di una sanzione amministrativa soltanto per la mancata comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro territorialmente competente dell’assunzione a tempo parziale mediante invio di copia del contratto entro 30 giorni di calendario dalla stipulazione dello stesso (art. 2, co. 1), nella misura di L. 30.000 per ciascun lavoratore interessato ed ogni giorno di ritardo. Qualora la scadenza cada in un giorno festivo o comunque non lavorativo, si applicano le regole generali sul computo dei termini previste dal c.p.c., per cui il termine slitta al primo giorno lavorativo successivo.
In assenza di previsione contraria, è ammesso il pagamento in misura ridotta ex art. 16 della legge 689/81. Gli importi sono versati a favore del Fondo Speciale per la Gestione dell’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria dell’INPS – Codice Tributo Gxx.
Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina fissata per il 15 aprile 2000, in base al principio tempus regit actum sancito dall’ art. 1, comma 2, della legge 689/81 e ribadito dalla Corte di Cassazione Civile. Sez. I, con sentenza n. 132466 del 15 dicembre 1992, continuano ad applicarsi le sanzioni previste dalla precedente normativa. Pertanto, gli eventuali procedimenti sanzionatori pendenti ed in particolare quelli relativi alla violazione del divieto di lavoro supplementare (sebbene espressamente abrogato dall’art. 11 del D.Lgs. 61/2000) continueranno il loro corso, in quanto rientrano nell’ambito di operatività dell’art. 5, co. 4, della legge n. 863/84.
Si evidenzia, altresì, che l’art. 3, comma 6, della nuova legge prevede l’applicazione di una maggiorazione della retribuzione nella misura del 50% per le ore di lavoro supplementare eccedenti la misura consentita. Tali importi dovranno essere, pertanto, assoggettati a contribuzione ex art. 1 della legge n. 389/89.

2. Legge 8 marzo 2000 n. 53: disposizioni a sostegno della maternità e paternità
La disciplina introdotta dalla legge n. 53/2000 in materia di sostegno della maternità e della paternità estende la tutela già prevista dalle leggi nn. 1204/71 e 903/77 ad ulteriori ipotesi, cui sono applicabili, almeno in parte, le sanzioni previste dall’art. 31 della legge 1204/71, così come modificato dal D.Lgs. n. 566/94.
Infatti, la nuova legge, pur non introducendo un apparato sanzionatorio autonomo rispetto a quello della previgente normativa, ad essa rinvia – in talune ipotesi espressamente, in altre, com’è da ritenersi, implicitamente – estendendo alle nuove fattispecie quanto disposto dalle due sopracitate leggi.
Analizzando più dettagliatamente le singole disposizioni della legge 53/2000, va in primo luogo evidenziato che, mentre non sono state individuate ipotesi sanzionatorie per i nuovi congedi parentali e formativi di cui agli artt. 4, 5 e 6, né per l’anticipazione del trattamento di fine rapporto (art. 7), né per la possibilità di prolungare l’età pensionabile (art. 8), deve invece ritenersi ricompresa tra le ipotesi di illecito sanzionate, ai sensi dell’art. 31 della legge 1204/71, la violazione di cui agli artt. 3 comma 2 e 12 della legge 53/2000. In particolare, il secondo comma dell’art. 3, nel riformulare il disposto dell’art. 7 della legge 1204/71 in materia di astensione facoltativa, ne ha ampliato la portata, da un lato estendendo il periodo entro il quale può essere validamente esercitato il relativo diritto (da un anno ad otto anni di vita del bambino), dall’altro aumentando la durata dell’astensione medesima da sei a dieci mesi, elevabili ad undici, cumulativamente per entrambi i genitori. La sanzione per la relativa violazione è prevista dall’art. 31, comma 3, della legge 1204/71, che espressamente punisce chi rifiuta, si oppone o ostacola l’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui all’art. 7.
L’art. 12 della legge 53/2000, nell’inserire, dopo l’art. 4 della legge 1204/71, il 4 bis, che riconosce alla lavoratrice la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto fino ai quattro mesi successivi, si limita ad introdurre un principio di flessibilità temporale, non modificando tuttavia sostanzialmente la ratio legis, che rimane quella di tutelare la lavoratrice per il periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro.
Si precisa, peraltro, che, al fine di evitare rischi di elusione della normativa posta a tutela della maternità, la lavoratrice che voglia esercitare il diritto di opzione dovrà presentare istanza scritta con allegata certificazione medica prima della scadenza del settimo mese di gravidanza.
Pertanto, l’ispettore che in sede di accertamento riscontri la presenza sul luogo di lavoro di una lavoratrice all’ottavo mese di gravidanza, dovrà verificare che il datore di lavoro sia in possesso della suddetta documentazione, come precisato nella circolare n. 43 del 7 luglio 2000; in caso contrario, applicherà le sanzioni già previste per l’inosservanza dell’art. 4 della legge 1204/71.
A conclusioni analoghe a quelle illustrate a proposito dell’art. 12, si deve pervenire in relazione all’ipotesi delineata dal nuovo art. 6 ter della legge 903/77, introdotto dall’art. 13 della nuova legge, che estende al padre lavoratore la tutela di cui all’art. 10 della legge 1204/71, la cui sanzione è dettata espressamente nell’art. 31, comma 3, di quest’ultima legge.
Diversa soluzione deve prospettarsi con riferimento alle nuove ipotesi d’illecito previste dall’art. 6 bis della legge 903/77 (anch’esso introdotto dall’art. 13 della legge 53/2000), che ai commi 1, 2 e 3 estende al padre lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro nei casi espressamente disciplinati; ciò in quanto tale articolo si limita a rinviare agli artt. 6 e 15 della legge 1204/71, per la cui violazione non è prevista alcuna sanzione, e pertanto non è possibile, in base al principio di legalità dettato per gli illeciti di natura amministrativa dall’art. 1 della legge 689/81, ritenere applicabili le sanzioni di cui all’art. 31 della legge di tutela della maternità.
Sempre in base al principio di legalità sopra menzionato, sono invece applicabili le sanzioni dell’art. 31 alle ipotesi di violazione dell’art. 6 bis, co. 4, della legge 903/77, che estende al padre lavoratore le disposizioni di tutela dell’art. 2 della legge 1204/71, in quanto il rinvio esplicito all’articolo sopracitato comporta anche l’applicazione delle relative sanzioni (art. 31, co. 2).
Tanto precisato, resta fermo che in tutte le ipotesi di violazioni che risultano sprovviste di sanzione, le Direzioni Provinciali del Lavoro interessate non mancheranno di informare i lavoratori della possibilità di far ricorso alle procedure ordinarie in materia di controversie individuali di lavoro per il riconoscimento dei propri diritti.

3. Decreto legislativo 26 novembre 1999, n. 532: disposizioni in materia di lavoro notturno
Con D.Lgs n. 532/99 il Governo, in attuazione della delega conferitagli dall’art. 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25 (legge comunitaria), ha dettato una nuova disciplina del lavoro notturno, ispirandosi ai principi sanciti dalla Direttiva n. 93/104/CE del Consiglio del 23/11/1993, già recepiti con la citata legge 25/99.
La peculiarità della nuova normativa consiste nell’aver considerato il lavoro notturno come ulteriore fattore di rischio, ai fini della tutela fisica dei lavoratori, da collocare, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, quale elemento condizionante i processi di lavoro.
Al fine, quindi, di offrire una tutela particolarmente rafforzata sotto il profilo della salute del lavoratore, a causa dei maggiori rischi che potrebbe comportare l’esecuzione della prestazione di lavoro notturno, il legislatore delegato ha in parte richiamato il sistema sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 626/94, in tema di violazione degli obblighi di informazione posti a carico del datore di lavoro, provvedendo, inoltre, a stabilire una nuova sanzione amministrativa per la violazione dei limiti temporali del lavoro notturno.
Sempre nell’ottica del rafforzamento della tutela prestata al lavoro notturno, si inquadrano le modifiche apportate, in tema di lavoro notturno delle donne, dall’art. 17 della legge n. 25/99, all’art. 5, co. 1, della legge 903/77, e, in tema di lavoro minorile, dall’art. 10 del D.Lgs. n. 345/99 all’art. 15 della legge 977/67.
Alla luce della nuova normativa, appare opportuno individuare il sistema sanzionatorio vigente, nel suo complesso, in considerazione del permanere della competenza di codeste Direzioni provinciali del lavoro a vigilare sull’applicazione di tale disciplina, rientrando la stessa nella materia più generale dell’orario di lavoro.

3.1. Doveri di informazione: art. 9
Il legislatore pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di informare i lavoratori notturni e i rappresentanti della sicurezza sui maggiori rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno, ove presenti (comma 1).
Con tale previsione, vengono ampliati gli obblighi informativi stabiliti dall’ art. 21 lett. c) del D.Lgs. n. 626/94, dovendosi pertanto ritenere che, in caso di accertato inadempimento di tale obbligo, sia applicabile la sanzione stabilita dall’ art. 89, co. 2, lett. b) di quest’ultimo decreto, per la violazione del citato art. 21.
Il comma 2 dell’art. 9 pone, inoltre, a carico del datore di lavoro, l’obbligo di informazione dei lavoratori sui servizi per la prevenzione e la sicurezza, nonché della consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza per le lavorazioni che comportano rischi particolari di cui all’art. 4, co. 2, del D.Lgs. n. 532/99.
Tale comma delinea in capo al datore di lavoro due distinti obblighi: da un lato quello dell’informazione dei lavoratori sui servizi per la prevenzione e la sicurezza, che, in assenza di riferimenti normativi precisi, si ritiene debbano essere individuati in quelli previsti dagli artt. 12 e 15 del D.Lgs. n. 626/94; dall’altro quello della preventiva consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in ordine alla valutazione dei rischi particolari sopra richiamati.
Relativamente al primo obbligo, il legislatore ha ampliato la previsione dell’art. 21, co. 1, lett. b) del D.Lgs. n. 626/94 e, per effetto di tale ampliamento, in caso di inadempimento si applicherà la sanzione stabilita dall’art. 89, comma 2, lett. b) dello stesso decreto.
Per ciò che concerne il secondo obbligo, invece, esso rientra nella disposizione dell’art. 4, co. 5, lett. p) del D.Lgs. 626/94, sanzionato anch’esso dall’ art. 89, co. 2, lett. b) sopra citato.

3.2. Comunicazione del lavoro notturno: art. 10
Il datore ha l’obbligo di comunicare per iscritto, con periodicità annuale, alla Direzione provinciale del lavoro l’esecuzione del lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici, quando esso non sia previsto dal contratto collettivo. Tale obbligo non risulta sanzionato.
Peraltro, per effetto del richiamo espresso dell’art. 12 del R.D. n. 1955/23, sussistono, comunque, gli obblighi di comunicazione relativi alla esposizione e comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro dell’orario di lavoro nelle sue articolazioni, comprese ovviamente quelle relative al lavoro notturno. Pertanto, il mancato adempimento degli stessi sarà punito con la sanzione amministrativa da L. 100.000 a L. 600.000, in applicazione dell’art. 17 del citato regio decreto.

3.3. Misure di protezione personale e collettiva: art. 11
Il comma 1 dell’art. 11 del D.Lgs. n. 532/99 fa obbligo al datore di lavoro di garantire durante il lavoro notturno "un livello di servizi e di mezzi di prevenzione o di protezione adeguati" e di assicurare "un livello di servizi equivalente a quello previsto per il turno diurno".
Da tale previsione scaturisce l’obbligo per il datore di lavoro di garantire, in relazione alle caratteristiche del lavoro notturno, i "servizi" che, analogamente a quanto rilevato per l’art. 9, si ritiene vadano individuati in quelli previsti dagli artt. 12 e 15 del D.Lgs. n. 626/94; le relative sanzioni sono quelle di cui all’ art. 89, co. 2, lett. a) e b) dello stesso decreto.
Per quanto invece attiene all’obbligo di predisposizione dei "mezzi di protezione e prevenzione" individuali e collettivi, si osserva che esso rientra nel campo di applicazione dell’art. 4, comma 5, lett. b) del D.Lgs. n. 626/94; l’art. 89 , comma 2, lett. a) individua le relative sanzioni.
Il comma 2 dell’art. 11 D.Lgs. n. 532/99 prevede, poi, espressamente l’obbligo, per le lavorazioni che comportano rischi particolari e che saranno elencate nel decreto ministeriale cui rinvia l’art. 4, co. 2, di adeguarsi alle disposizioni degli artt.40 e segg. del D.Lgs. n. 626/94, le cui sanzioni sono contenute nell’ art. 89, co. 2, lett. a) e b).

3.4. Sanzioni- Visite mediche – Art. 12, comma 1, lett. a)
L’inosservanza degli obblighi previsti dall’art. 5 del D.Lgs. 532/99, relativi all’obbligo di sottoporre i lavoratori notturni alle prescritte visite mediche preventive e periodiche ovvero ad accertamenti sanitari in caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro notturno, è punita dall’ art. 89 , co.2, lett. a), del D.Lgs. 626/94.

3.5. Durata della prestazione – Art. 12, comma 1, lett. b)
L’inosservanza dei limiti temporali di durata della prestazione lavorativa notturna, legali o contrattuali, previsti dall’art. 4 del D.Lgs. 532/99, è punita con la sanzione amministrativa da lire centomila a lire trecentomila (lire centomila pagamento in misura ridotta ex art. 16 legge 689/81, per ogni giorno e per ogni lavoratore adibito al lavoro notturno oltre i limiti temporali).

3.6. Divieto di lavoro notturno delle donne: art. 5, comma 1, legge 903/77, modificato dall’art. 17 della legge n. 25/99
L’inosservanza del divieto di adibire le donne al lavoro dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, è punita dall’ art. 16 , co. 2, della legge 903/77, come modificato dall’art. 26, co. 49, del D.Lgs. 758/94, con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da lire un milione a lire cinque milioni.

3.7. Tutela lavoro notturno dei minori: art. 15 legge 977/67, modificato dall’art. 10 del D.Lgs. n. 345/99
L’inosservanza del divieto di adibire al lavoro notturno i minori è punita dall’ art. 26 , comma 3 della legge 977/67, come modificato dall’art. 1, co. 1 n. 3, del D.Lgs. n. 566/94, con l’arresto non superiore a sei mesi o l’ammenda fino a dieci milioni.

3.8. Prescrizione obbligatoria
In tutti i casi sopra individuati in cui l’inosservanza delle predette norme si traduce in reato di natura contravvenzionale, punito alternativamente con l’arresto o con l’ammenda, si applicano le disposizioni del Capo II D.Lgs. n. 758/94, relative alla procedura della prescrizione obbligatoria di cui agli artt. 20 e seguenti.

4. Decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 345: protezione dei giovani sul lavoro.
Il D.Lgs. n. 345/99, emanato in attuazione della direttiva 94/33/CE, in un’ottica di rafforzamento della tutela dell’integrità psico-fisica del minore, nel sostituire, all’art. 2, la terminologia usata dal legislatore del 1967, che distingueva tra "fanciulli" ed "adolescenti", vieta, all’art. 6, che modifica l art. 4 della L. 977/67, il lavoro dei "bambini", individuati nei minori che non hanno ancora compiuto 15 anni di età o che sono ancora soggetti all’obbligo scolastico.
Come si vede, dunque, la definizione di "bambino", preliminare ai fini della verifica della legittimità dell’adibizione del minore al lavoro, viene ancorata a due diversi requisiti: da un lato quello dell’età anagrafica, dall’altro quello dell’adempimento dell’obbligo scolastico.
In linea con tale impostazione generale, che ha tenuto conto, in via prioritaria, di quanto disposto in materia di obbligo scolastico dalla legge 20 gennaio 1999, n. 9, "Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione", gli artt. 5 e 6 del suddetto decreto prevedono due distinte fattispecie di reato diversamente sanzionate dall’art. 14, che ha modificato l’art. 26 della legge 977/67.
L’art. 5, che ha sostituito l’art. 3 della legge 977/67, stabilisce che l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non può essere inferiore a quindici anni compiuti. La violazione di tale norma è punita con la pena alternativa dell’arresto non superiore a sei mesi o dell’ammenda fino a lire dieci milioni.
L’art. 6, nel novellare l’art. 4 della legge 977/67, vieta, salvo casi particolari, l’adibizione al lavoro dei bambini. Tale reato è punito con la pena dell’arresto fino a sei mesi.
Nonostante l’apparente equivalenza dei due precetti, la espressa previsione di diversi regimi sanzionatori richiede un intervento interpretativo che vada al di là del mero dato letterale, per fornire agli ispettori i necessari strumenti operativi che consentano loro di individuare, in sede di accertamento, quale sia la sanzione da applicare nel caso concreto.
La nuova normativa, come si è già detto, ancora la nozione di bambino e di adolescente, oltre che al requisito dell’età, a quello dell’assolvimento dell’obbligo scolastico; si ritiene che i due aspetti siano diretti al soddisfacimento di diversi interessi: quello della tutela dell’integrità psico-fisica del minore il primo e quello della tutela della crescita psico-intellettiva il secondo.
Se si ritenesse che, ai fini dell’ammissione al lavoro ai sensi dell’art. 5 debbano ricorrere congiuntamente i due requisiti, dell’adempimento dell’obbligo scolastico e del compimento del quindicesimo anno di età, la previsione contenuta nell’articolo successivo sarebbe una mera duplicazione dell’identico principio e si configurerebbe la previsione di un duplice trattamento sanzionatorio a fronte di una identica violazione: sarebbe come dire che il bambino non può essere ammesso al lavoro e, immediatamente dopo, che lo stesso minore non può essere adibito al lavoro medesimo.
Pertanto, affinché la condotta criminosa di cui all’art. 5 possa assumere autonoma rilevanza, occorre ritenere che gli estremi del reato siano integrati dall’ammissione al lavoro del minore che, pur avendo assolto all’obbligo scolastico, non ha ancora compiuto il quindicesimo anno d’età.
In tal caso, l’interesse del minore è sacrificato solo in parte dal momento che la maturità psico-intellettiva dello stesso deve ritenersi sussistente, avendo egli compiuto il ciclo di istruzione obbligatoria. La mancanza, in quest’ipotesi, del solo requisito dell’età giustificherebbe la previsione di un regime sanzionatorio meno rigoroso di quello previsto dall’art. 6 seguente.
Quest’ultima norma, invece, pone l’accento proprio sulla carenza del requisito dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, ritenuto dal legislatore d’importanza preminente, come del resto ribadito anche dal Ministero della Pubblica Istruzione nelle circolari applicative del Decreto 9 agosto 1999 n. 323, Regolamento di attuazione della legge 9/99.
Il maggior rigore, dal punto di vista punitivo, dell’art. 6 rispetto al precedente, dimostrato dalla previsione della più grave sanzione dell’arresto fino a sei mesi, con esclusione del ricorso alla prescrizione obbligatoria, si giustifica, ad avviso della scrivente Divisione, in quanto si riscontrerebbe nelle violazioni di cui trattasi il difetto o di entrambe le condizioni – compimento di 15 anni e conclusione del periodo di istruzione obbligatoria – o di quella – adempimento dell’obbligo scolastico – ritenuta, come detto, fondamentale ai fini del raggiungimento da parte del minore della maturità necessaria affinché egli possa svolgere legittimamente attività lavorativa.


4.1. Sospensione dell’efficacia dell’art. 7 del D.Lgs. 345/99.
L’entrata in vigore del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 262, contenente disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 345/99, ha posto fine ad un delicato problema di successione di leggi nel tempo.
Con decreto legge 22 febbraio 2000 n. 31 era stata differita fino al 20 maggio 2000 l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7 del D.Lgs. 345/99 – nella parte in cui sostituisce i commi 1 e 2 dell’art. 6 della legge 977/67 – nonché dell’art. 16, co. 1 lett. a), limitatamente all’abrogazione dell’art. 5 della citata legge, e lett. c), che vietano l’adibizione degli adolescenti ad una serie di attività elencate nell’allegato 1 del decreto legislativo citato. Di conseguenza, l’entrata in vigore del citato decreto legge aveva determinato la reintroduzione della disciplina, meno rigorosa sotto questo aspetto, prevista dalla legge 977/67.
La sospensione dell’efficacia della nuova normativa era stata disposta in vista della emanazione – che pareva essere immediata – del successivo decreto legislativo, correttivo del 345/99 sotto il profilo del limite di esposizione quotidiana dell’adolescente ai rumori.
Sennonché tale provvedimento è stato adottato solo nell’agosto del 2000, dopo che il citato decreto legge era decaduto, non essendo stato convertito in legge nei termini, con la conseguenza che, ai sensi del comma 3 dell’art. 77 della Costituzione, ne sarebbero dovuti cessare gli effetti con efficacia retroattiva e si sarebbe dovuta ripristinare la situazione giuridica anteriore alla sua emanazione.
Tale conclusione, che avrebbe comportato la ripresa dell’efficacia delle disposizioni di cui agli articoli 7 e 16 del D.Lgs. n. 345/99, non sarebbe stata però priva di implicazioni sotto il profilo del principio di legalità e di quello, ad esso connesso, della certezza del diritto, in quanto l’ispettore chiamato a comminare la sanzione per una violazione commessa sotto la vigenza del decreto legge non convertito avrebbe incontrato delle difficoltà oggettive nella corretta individuazione della disciplina normativa applicabile (L. 977/67 o D.Lgs. 345/99 ?). Infatti, nel caso di fatti concomitanti ad un decreto legge poi decaduto, occorre contemperare opposte esigenze costituzionali; precisamente, da un lato viene in rilievo il principio di cui all’art. 77 comma 3 Cost., dall’altro quello posto dall’art. 25, co. 2 Cost., in base al quale "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso". Tale ultimo principio, ribadito e precisato in materia penale dall’art. 2 c.p. ed in materia di illecito amministrativo dall’ art. 1 L. 689/81, comporta non solo l’applicabilità della legge vigente al momento della commissione dell’illecito, ma anche, nel caso di specie, contenendo il decreto legge disposizioni più favorevoli, l’irretroattività, a parere della scrivente Divisione, della legge penale più sfavorevole (D.Lgs. 345/99).
Il disposto dell’art. 4 del D.Lgs. 262/2000, nel sospendere l’applicazione dell’art. 7 del D.Lgs. 345/99 (nella parte in cui sostituisce i commi 1 e 2 dell’art. 6 della L. 977/67), nonché l’abrogazione dell’art. 5 della legge n. 977/67 fino alla data del 20 ottobre 2000, ha conseguentemente ripristinato, fino a tale data, il corrispondente disposto della legge 977/67.
Si deve ritenere che questa norma sani il periodo pregresso dal momento che, sostituendo integralmente l’art. 16 del D.Lgs. 345/99, fa sì che gli effetti retroagiscano alla data di entrata in vigore di tale ultimo decreto.
Pertanto, nonostante l’emanazione del D.Lgs. 345/99, fino al 20 ottobre 2000, per gli aspetti sopra rilevati, continua a trovare applicazione la legge n. 977/67 con la conseguenza che le condotte sanzionabili sono quelle poste in essere in violazione degli artt. 5 e 6 nella loro vecchia formulazione.
In concreto, qualora gli accertamenti ispettivi relativi a condotte poste in essere fino alla data del 20 ottobre 2000 rilevino violazioni ai sensi del D.Lgs. 345/99, non potrà essere irrogata alcuna sanzione; se però, si tratta di accertamenti già conclusi e definiti con la trasmissione della denuncia all’Autorità Giudiziaria, sarà cura di quest’ultima adottare le determinazioni di competenza. Diversamente – sempre con riferimento al periodo sopra citato (fino al 20 ottobre) – nel caso in cui siano già state riscontrate o si riscontrino violazioni amministrative ex artt. 5 lett. h) e 26 L. 977/67 si dovrà procedere alla contestazione e, quindi, all’emanazione della relativa ordinanza ingiunzione. Ove gli accertamenti ispettivi abbiano riscontrato o riscontrino, invece, una condotta penalmente rilevante ai sensi degli artt. 5 e 26 L. 977/67 si dovrà provvedere alla trasmissione del rapporto all’Autorità Giudiziaria.