Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 dicembre 2018, n. 33556 - Inquadramento del dipendente nominato coordinatore per la sicurezza


Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE Relatore: DE GREGORIO FEDERICO Data pubblicazione: 28/12/2018

 

Fatto

 


Con sentenza n. 293 in data 13 marzo 2014, notificata il successivo 4 aprile, in riforma della pronuncia impugnata dall'ing. G.G., dipendente di RETE FERROVIARIA ITALIANA S.p.a., la Corte d'Appello di Firenze accertava il diritto dell'attore ad essere inquadrato con il livello B-quadri dal 27 novembre 2003 e condannava, di conseguenza, la società convenuta al pagamento, a favore dello stesso G.G., delle differenze retributive spettanti a far luogo dal 24 febbraio 2004, oltre accessori di legge, nonché al rimborso delle spese di lite relative a doppio grado del giudizio. Secondo la Corte fiorentina, risultava provato che l'attore a partire dall'agosto 2003 era stato ripetutamente nominato coordinatore per la sicurezza nella progettazione e per la sicurezza nella esecuzione, di fatto espletando le relative mansioni, in lavori appaltati per la costruzione delle opere indicate, come da lettere aziendali di nomina, nelle quali era stato appunto designato, quale coordinatore, il dottor ingegner G.G., con il titolo professionale richiesto dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 494 del 1996, così come modificato dal successivo decreto 19 novembre 1999 n. 528. Già le fonti indicate stabilivano i principali compiti del coordinatore, come poi trasfusi nel più recente decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 (art. 91 in tema di obblighi del coordinatore per la progettazione e art. 92 relativamente agli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori). Secondo la Corte toscana, era sufficiente la lettura di quelli che risultavano i doveri specifici del coordinatore, come per legge ingegnere o architetto con almeno un anno di esperienza nel settore delle costruzioni, per constatare che questa figura si poneva in una posizione nettamente superiore a quella del dipendente inquadrato come "tecnico specializzato operativo" (livello D del c.c.n.I. in atti), di modo che ove il coordinatore -in fase di progettazione e/o di esecuzione dei lavori- non fosse un libero professionista, ma un dipendente dell'azienda ferroviaria, egli si collocava necessariamente nel livello B (quadri) per l'alta professionalità, l'autonomia decisionale, la facoltà di iniziativa e la discrezionalità nell'attuazione delle direttive aziendali. La ratio legis di impronta pubblicistica, infatti, presupponeva in questa figura di coordinatore una effettiva dose di autonomia e di rappresentanza aziendale (tipicamente riferibile alla categoria di cui alla legge 13 maggio 1985 n. 190), nel momento in cui il dipendente incaricato di garantire la sicurezza dei lavori doveva confrontarsi con altri professionisti e terze imprese presenti in cantiere. In altre parole, una elevata facoltà di iniziativa e un ampio grado di autonomia erano insite nella mansione stessa di rendere concreta la sicurezza nel lavoro. Era pur vero che responsabilità penali potessero incombere anche sul semplice preposto, ovvero sul capo squadra, ma nella specie si trattava della fase della progettazione delle opere e della loro esecuzione, dove la \ 
legge richiedeva l'intervento di un soggetto munito di titolo di studio universitario, con mansioni di coordinamento della sicurezza, in fase decisionale e di realizzazione delle costruzioni, anche nei confronti di terzi estranei all'azienda, e non già della semplice vigilanza di cantiere. Tali dati obiettivi erano stati trascurati dal giudice di primo grado, il quale d'altro canto aveva addebitato all'atto introduttivo del giudizio carenze di allegazione, che invece il collegio d'appello non ravvisava.
Avverso l'anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la S.p.A. RETE FERROVIARIA ITALIANA come da atto in data 3 giugno 2014, notificato altresì tramite posta elettronica certificata il 30 maggio dello stesso anno, affidato a due motivi, cui ha resistito l'ingegner G.G. mediante controricorso del 18/21 luglio 2014.
 

 

Diritto

 


Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, degli articoli 1362, 1363 e 2103 c.c., in relazione a decreto ministeriale 14 maggio 1985 n. 1085, all'art. 21 c.c.n.I. 90 / 92, alla legge 13-05-1985 n. 190 e al d,lvo n. 494 del 1996, modificato dal successivo decreto n. 528 del 1999, poi trasfuso nel più recente d.lvo n. 81/2008, tanto ai sensi dell'articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c.. L'impugnata sentenza risultava illegittima per violazione falsa applicazione della disciplina legale e contrattuale, relativa all'inquadramento dei lavoratori dipendenti svolgenti funzioni di specialista tecnico amministrativo, così come delineata sia dal decreto ministeriale n. 1085 del 1985, sia dal contratto collettivo per gli anni 1990/92, sia dall'accordo nazionale 27 luglio 1991.
La Corte territoriale aveva omesso di decidere secondo il consueto procedimento logico-giuridico, diretto alla determinazione dell'ambito superiore inquadramento, individuando in primo luogo i criteri generali e astratti previsti dal contratto collettivo, poi accertando in concreto le attività svolte dall'interessato ed infine raffrontando tali mansioni con l'inquadramento nel livello previsto dalla categoria di riferimento. L'impugnata sentenza aveva apoditticamente ricondotto le mansioni disimpegnate dal dipendente, con la qualifica rivestita di specialista tecnico amministrativo, tra quelle proprie del livello B - quadri, ma senza indagare più approfonditamente se l'attività svolta fosse tale da giustificare nello specifico l'invocato inquadramento (mancata verifica in concreto dei compiti nella specie svolti dall'attore, però desunti in astratto dalla Corte territoriale soltanto in base alle previsioni di legge, sulla scorta di supposizioni e conclusioni di natura meramente deduttiva, occorrendo dunque adeguata verifica delle mansioni in concreto espletate dal lavoratore). Inoltre, la Corte distrettuale aveva ritenuto, erroneamente, in violazione dell'articolo 1362 c.c., che la figura professionale del G.G. fosse quella di tecnico specializzato operativo, invece che di tecnico specializzato amministrativo, circostanza quest'ultima pacifica come emergente pure dallo stesso ricorso introduttivo del giudizio. Vero è che il livello professionale risultava per entrambi il D, ma il profilo del tecnico specializzato operativo aveva contenuto assai diverso da quello del tecnico specializzato amministrativo, il quale "in possesso della necessaria preparazione professionale svolge -tra l'altro- attività di partecipazione alla progettazione, nonché di collaborazione e coordinamento di particolari attività". Senonché il giudice di appello aveva ritenuto necessario ricorrere alla intenzione del legislatore e alla ratio legis, ancora una volta limitando l'interpretazione al solo decreto legislativo n. 494 del 1996 e successive modifiche, ma prescindendo del tutto dall'esame delle mansioni concretamente disimpegnate dal dipendente, rapportate alla disciplina prevista dal contratto collettivo applicabile. Nel caso di specie l'impugnata sentenza era del tutto disancorata sia dall'analisi specifica e approfondita della situazione di fatto, sia dal raffronto tra la situazione di fatto e la disciplina collettiva.
II) Con il secondo motivo, inoltre, si è lamentato che la sentenza impugnata risultava viziata anche nella parte in cui aveva del tutto omesso di verificare, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2103 c.c., che la dedotta assegnazione a mansioni superiori fosse stata piena, nel senso che avesse comportato l'assunzione della responsabilità e l'esercizio deN'autonomia nonché dell'iniziativa proprie della corrispondente qualifica rivendicata, coerentemente con le mansioni contrattualmente previste in via esemplificativa delle declaratorie dei singoli inquadramenti, cui vanno poi raffrontate le mansioni in concreto espletate dal lavoratore interessato (all'uopo citando tra l'altro Cass. lav. 27 dicembre 1999 n. 14569). La dose di autonomia -che secondo la Corte di merito costituiva il presupposto nella figura di coordinatore per la sicurezza della progettazione e di coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione- di certo non rispondeva ai principi disciplinanti la corretta e compiuta interpretazione dell'articolo 2103 c.c., così come la generica constatazione della sussistenza di una responsabilità penale di coordinatore.
Tanto premesso, il ricorso va dichiarato improcedibile, ai sensi dell'art. 369, co. II, n. 4 c.p.c., non risultando dall'atto medesimo l'avvenuto deposito del testo integrale della contrattazione collettiva, ivi abbondantemente richiamata, però senza alcun preciso e specifico riferimento alla relativa produzione (v. anche la genericità dell'indice in calce allo stesso ricorso <<Unitamente al presente ricorso di depositeranno: copia autentica della sentenza impugnata, i fascicoli di parte dei precedenti gradi di giudizio, nonché istanza ex art. 369 c.p.c. in duplice copia>>). Invero, nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi - imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica di questa S.C. e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dalfart. 1363 cod. civ.; né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (Cass. lav. n. 4350 del 04/03/2015. V. in senso analogo pure Cass. I civ. ordinanza n. 15580 del 15/03 - 14/06/2018 - Rv. 649273. Cfr. altresì Cass. lav. n. 15495 del 02/07/2009, secondo cui l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda - imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella nuova formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 - non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali deN’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e, in specie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa. Conformi Cass. n. 28306 del 31/12/2009, n. 3894 del 18/02/2010, n. 6732 del 19/03/2010, nonché n. 7891 del 06/04/2011.
V. ancora Cass. lav. n. 27876 del 30/12/2009: l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato, previsto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., non è limitato al procedimento di accertamento 
pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all'art. 420-bis cod. proc. civ., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della S.C. ove l'interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito. Conformi id. n. 2742 - 08/02/2010, n. 3459 del 15/02/2010.
Cass. lav. n. 4373 del 23/02/2010: l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi - imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di detti atti. In senso analogo v. ancora Cass. lav. ordinanza n. 11614 del 13/05/2010, secondo cui, in particolare, non può essere considerata sufficiente la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata.
Parimenti, v. Cass. VI sez. - L, ordinanza n. 21366 del 15/10/2010, con principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, cod. proc. civ. ed analogamente come da ordinanza n. 21358 del 15/10/2010, secondo la quale l'anzidetto deposito deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l'integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell'esercizio del sindacato di legittimità sull'interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale).
Gli anzidetti principi valgono tanto più nel caso di specie qui in esame, in quanto una valutazione globale della previsione della contrattazione collettiva sarebbe stata necessaria, onde porre a raffronto la qualifica rivendicata con quella di appartenenza, questione sottesa non solo, evidentemente, al primo motivo di ricorso, ma anche alla seconda doglianza, attesa la loro stretta connessione, trattandosi di censure riguardanti anch'esse, chiaramente ed inevitabilmente, l'applicazione, asseritamente errata e non corretta, unitamente ai relativi accertamenti di fatto (relativo a circostanze verificatesi dall'agosto 2003 in avanti, di modo che interessa soprattutto la disciplina contrattuale ratione temporis applicabile, piuttosto che quella derivante da fonti legislative) della contrattazione collettiva in questione in relazione alla denunciata violazione dell'art. 2103 c.c..
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile, con la condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle spese del giudizio.
Ricorrono, di conseguenza, anche i presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara IMPROCEDIBILE il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano a favore del controricorrente, in euro #4.500,oo# per compensi professionali, e in euro #200,oo# per esborsi, oltre spese
generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. — Così deciso in Roma il quattro luglio 2018