Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 27 dicembre 2018, n. 58248 - Caduta mortale dall'impalcatura. Responsabilità del datore di lavoro e del preposto


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 17/10/2018

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 3 maggio 2016, confermava la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Napoli nei confronti di A.G. ed A.M., quali responsabili, in cooperazione colposa tra loro, del reato di cui all'art.589 c.p., il primo, datore di lavoro quale amministratore unico e legale rappresentante della Tecnoimpianti s.r.l. ed il secondo quale preposto al cantiere e responsabile del servizio di prevenzione e protezione, causato il decesso di S.T.. Secondo l'ipotesi accusatoria, il S.T., nell'effettuare, per conto della ditta Tecnoimpianti, lavori di rifacimento dei frontalini dello stabile sito in Napoli alla via Argine n. 592, stava operando su un'impalcatura ad un'altezza di circa 4 metri, che all'improvviso era ceduta, a causa di svariate e molteplici violazioni della normativa antinfortunistica, ed era caduto a terra riportando gravissime lesioni dalle quali era derivato il decesso.
2. I giudici di merito accertavano che, il giorno dell'evento, A.M. aveva convocato il S.T. sul cantiere per "fare il frontalino", dandogli indicazione sul lavoro da eseguire, e che nessuno dei due imputati era presente sul cantiere per verificare le modalità di esecuzione delle opere e per accertarsi del rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro. Veniva inoltre appurato che il lavoro era stato svolto utilizzando un ponteggio che veniva di volta in volta montato e smontato per essere trasportato lungo il fabbricato e che, nonostante la palese e conosciuta inidoneità del ponteggio, A.M. aveva comunque ordinato al S.T. di effettuare il lavoro. Il giorno dell'evento poi nessun responsabile della ditta Tecnoimpianti era presente sul luogo dei lavori, in particolare né il titolare A.G., né il preposto al cantiere e addetto alla sicurezza A.M..
3. Gli imputati, a mezzo del proprio comune difensore di fiducia, propongono ricorso per cassazione.
4. Con unico motivo, i ricorrenti lamentano mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione agli arti. 192, primo e secondo comma, 533, primo comma e 546, primo comma lett.e) c.p.p. Osservano che la Corte territoriale aveva condiviso acriticamente la prova dichiarativa costituita dalla testimonianza di R.C., presente al fatto, senza rilevarne l'incompletezza ed il contrasto con quanto riferito dal committente dei lavori M.G. in sede di sommarie informazioni (i cui verbali erano stati acquisiti a ragione del decesso del teste), ed era incorsa quindi in un evidente travisamento delle risultanze istruttorie. 
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono inammissibili, in quanto manifestamente infondati.
2. In tema di ricorso per cassazione, infatti, la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 2, 7801 del 19/11/2013, Hussien, Rv. 259063; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo ed altri, Rv. 254584; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849). Deve pertanto considerarsi inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, 30918 del 07/05/2015, Falbo ed altro, Rv. 264441), come pure inammissibile a norma dell'art. 606, c. 3, ultima parte, cod.proc.pen., è il ricorso per cassazione nel quale venga riproposta una questione che abbia già formato oggetto di uno dei motivi di appello, sui cui la Corte di merito si è pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico - giuridici (Sez. 2, n. 22123 del 08/02/2013, Panardi ed altri, Rv. 255361).
3. Ciò posto e rilevato preliminarmente che i ricorrenti non contestano le rispettive posizioni di garanzia, né, tanto meno, l'assenza di un qualunque tipo di protezione sul precario ponteggio mobile (c.d. trabattello) sul quale l'operaio si trovava quel giorno a lavorare in cantiere, osserva il Collegio - scendendo ad esaminare il motivo di doglianza esposto nell'atto di impugnazione - che deve essere escluso il denunciato vizio motivazionale della sentenza, non essendo la Corte territoriale incorsa in alcun travisamento della prova. I giudici di appello hanno infatti ben esposto le ragioni per le quali la testimonianza del R.C. fosse da considerare del tutto credibile e logica, ed hanno altresì corroborato il proprio convincimento individuando diversi altri elementi fattuali a riprova della veridicità di quanto dichiarato dal teste, e cioè che il S.T., il giorno dell'incidente, gli aveva riferito di essere stato mandato sul cantiere a "fare il frontalino" da A.M.. In particolare, a sostegno delle dichiarazioni del R.C., hanno considerato proprio le sommarie informazioni rese dal M.G., dalle quali si ricavava sia che i lavori, il giorno dell'infortunio, non fossero affatto sospesi, e che il S.T. faceva parte del gruppo di lavoratori che negli ultimi giorni frequentavano il cantiere, sia che per le operazioni di rifacimento dei frontalini venisse utilizzato un ponteggio che di volta in volta veniva smontato e rimontato, e privo di qualunque barriera di protezione, tanto che il S.T. era caduto al suolo precipitando nello spazio tra l'impalcatura e la parete del fabbricato al quale stava lavorando. Come correttamente osservato dai giudici di merito, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di lavorazioni eseguite ad altezza superiore a due metri, sul datore di lavoro incombe l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore ed idonee, come nella specie, a prevenire cadute dall'alto: dunque al S.T., addetto ad attività in quota, dovevano essere consegnati un ponteggio a norma, cioè stabile e munito di barriere di protezione, e le dotazioni di sicurezza individuali (casco, tavola fermapiede, cinture di sicurezza) previste dalla legislazione antinfortunistica. Non è invece contestato che al momento della caduta il S.T. si trovasse proprio su una struttura improvvisata, ad un'altezza dal suolo di circa quattro metri, senza alcuna protezione.
4. La responsabilità dell'evento mortale è stata quindi del tutto correttamente attribuita dalla Corte di Napoli all'A.G., datore di lavoro e naturale destinatario degli obblighi nascenti dalla normativa antinfortunistica e garante della sicurezza, ed al fratello A.M., concretamente incaricato di sovraintendere all'esecuzione dei lavori presso i vari cantieri aperti dall'impresa, senza incorrere in nessun travisamento della prova quanto alla ricostruzione dei fatti.
5. Deve dunque dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi, cui segue per legge la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria di duemila euro ciascuno in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent.n.186/2000).
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno a favore della cassa delle ammende