Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 29 agosto 2018, n. 39128 - Disastro autostradale


 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 19/06/2018

 

 

 

Fatto

 

1. Il GM del Tribunale di Roma, pronunciando in data 10/12/2014 nei confronti di D.F., C.G., C.F., F.L., S.C., T.A. e B.E., ha assolto gli imputati, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, dal delitto previsto dagli artt. 110, 434, 449 cod. pen., perché, in concorso tra loro, nelle rispettive qualità: D.F. di direttore dei lavori GRA Cassia per ANAS SpA; C.G., di responsabile del procedimento ANAS; C.F. di rappresentante legale della VIANINI LAVORI S.p.a.; F.L. di rappresentante legale della OBEROSLER SpA di Trento; S.C. di rappresentante Legale della SAICAM SpA; T.A. di Coordinatore per la Salute e Sicurezza dell'ANAS ai sensi del D.Lgs. n. 81/08; B.E. di componente della Commissione per il Collaudo Tecnico Amministrativo; in relazione all'appalto Autostrada del Grande Raccordo Anulare di Roma, in particolare, lavori di:  adeguamento a 3 corsie per ogni senso di marcia del Grande Raccordo Anulare di Roma, quadrante Nord Ovest, lotto 10, da Km. 12 + 6,50 a 13 + 900, con abbattimento del viadotto Volusia, corsia interna ed esterna in prossimità degli svincoli via Cassia, eseguiti dalla ditta S.A.C.A.I.M. S.p.a;
adeguamento a tre corsie del Grande Raccordo Anulare di Roma, nel quadrante Nord  Ovest, lotto 3°,  3° Stralcio nel tratto svincolo Cassia, da Km 11 + 250 a Km 12 + 650 con realizzazione del nuovo svincolo di immissione dalla Cassia al G.R.A. direzione Cassia Veientana, eseguiti dalla ditta Vianini S.p.A.;
completamento del lotto 3° stralcio 3°, svincolo di via Cassia, eseguiti dalla ditta Oberosler cav. Pietro s.p.a. a causa dei quali si verificava l’accertato movimento del pendio per i lavori di consistente asportazione di terreno ed il connesso scalzamento di sostegno del pendio sul quale erano costruiti gli edifici di via Volusia, che ha comportato gravissimi danni alle murature portanti a causa dei lavori di scavo in atto per la realizzazione del nuovo tratto di Grande Raccordo Anulare; che determinavano, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, previo sopraluogo, a chiedere l’intervento della Protezione Civile di Roma (con fonogramma del 24/12/2009) per dichiarare l’inagibilità degli edifici ubicati in Roma, Via Volusia, identificatisi con i numeri civici. 51, 61, 75, 77, 81, 83, 85 e 87; situazione di pericolo supportata, tra l’altro, dalla presenza di un gigantesco traliccio (alto circa 25 mt) dove transitava corrente elettrica ad altissima tensione, pari a 150.000 volts, posto in adiacenza alle abitazioni di via Volusia ed ubicato sul pendio immediatamente prospiciente al G.R.A.; tenuto conto della circostanza, inoltre che non vi era nemmeno prova, che l’Ente committente ANAS, ovvero le società appaltatoci avessero mai provveduto a predisporre adeguate misure di monitoraggio per verificare geologicamente i movimenti del terreno sul quale venivano eseguiti i lavori, né tanto meno se vi fossero dei danni per gli edifici ivi esistenti; e che siano state adottate le procedure idonee alla salvaguardia della pubblica incolumità; condotte da ritenersi pertanto idonee e dirette a cagionare il crollo di costruzioni adibite ad abitazione anche prospicienti e già esistenti nei pressi dei luoghi di costruzione e lavoro ubicati in Roma, Via Volusia, identificatisi con i numeri civici, 51, 61, 751 771 81, 83, .85 e 87  che hanno richiesto per i danni riportati l'intervento della Protezione Civile per la loro evacuazione; così mettendo in pericolo la pubblica incolumità; in Roma, accertato in data 1/5/2010.
Avverso detta sentenza, rispettivamente in data 30/1/2015 e in data 10/12/2014 hanno proposto appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e, ai soli effetti civili ai sensi dell'art. 576 cod. proc. pen., le parti civili.
La Corte di Appello di Roma con ordinanza del 5/10/2017, rilevato che la sentenza del Tribunale di Roma era inappellabile ai sensi dell'art. 469 cod. proc. pen., trattandosi di sentenza predibattimentale, ha qualificato l'impugnazione proposta dal PM e dalle parti civili come ricorso per Cassazione disponendo la trasmissione degli atti a questa Corte.
2. Il P.M. capitolino ricorre con atto depositato il 30/1/2015, per avere il giudice irritualmente utilizzato la formula assolutoria "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato", che si riferisce esclusivamente all'ipotesi che il fatto enunciato nella imputazione risulti penalmente irrilevante, non rispondendo ad alcuna fattispecie di reato, mentre nel caso di specie la condotta contestata non poteva considerarsi irrilevante visto che nelle indagini preliminari era stata ipotizzata la contravvenzione di cui all'art. 676, secondo comma, cod. pen. che aveva anche formato oggetto di sequestro preventivo emesso dal GIP in data 15/6/2010.
Il GIP rilevava l'emergenza di gravi indizi in ordine ai reati contravvenzionali ex artt 676 e 677 cod. pen., ma anche il concreto pericolo che possa verificarsi un reato di disastro colposo ex art. 449 cod. pen. con pericolo per pubblica incolumità.
Si sarebbe trattato, quindi, di un reato contravvenzionale già sussistente e configurabile, allo stato degli atti e delle indagini effettuate. Nel provvedimento del GIP venivano riportate le conclusioni dei consulenti che attribuiscono i danneggiamenti e le macro lesioni da cedimento fondale riportate dai fabbricati prospicienti il G.R.A. siti in via Volusia, nonché il dissesto della rampa di accesso alla Via Cassia e i gravi danni del territorio circostante ai lavori effettuati dall'ANAS. 
Pertanto alla luce di tali conclusioni tecnico scientifiche, il P.M. ricorrente definisce incongrua ed inopinata processualmente la decisione anticipata del giudicante, il quale perviene ad un apodittico proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., in relazione all'imputazione di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen. prospettata, omettendo qualsiasi valutazione circa la sussistenza per gli stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati, almeno della fattispecie contravvenzionale residuale, inizialmente contestata, di cui all'art. 676 cod. pen., di rovina di edifici o di altre costruzioni con pericolo per le persone.
Inoltre, ritiene il PM ricorrente, dovendosi distinguere tale contravvenzione dal reato poi contestato a seguito dell'esito delle indagini di disastro innominato colposo, in presenza di una problematica relativa alla distinzione tra le due fattispecie, sarebbe stato necessario da parte del giudice di merito, in sede dibattimentale, nel contraddittorio tra le parti, la piena cognizione sui fatti accertati e sugli elementi di prova acquisiti nelle indagini preliminari, già ritenuti validi dal Gip ai fini della configurabilità del reato più grave.
Il giudicante, sostanzialmente, nel provvedimento impugnato dopo aver dato lettura interpretativa della sentenza della Corte Cost. n. 327/2008, dichiarando che spetta al giudice di stabilire il significato dell'elemento descrittivo dell'illecito, senza svolgere il giudizio di merito pieno sui fatti, ritiene di ridurre nella sua sentenza gli eventi disastrosi verificatisi e riportati nel capo di imputazione al solo danneggiamento delle strutture di un edificio al fine di escludere la sussistenza della fattispecie di disastro innominato e colposo.
Tale conclusione contraddirebbe secondo il PM ricorrente le decisioni dei giudici precedenti che davano atto dell'esistenza di un concreto e gravissimo pericolo e degli elementi suffraganti la nozione di disastro innominato colposo.
E' evidente, continua il PM, che si sia verificato un evento particolarmente grave e complesso tale da mettere in pericolo e realizzare il danno di molte persone a seguito dei lavori progettati ed effettuati.
Il ricorrente richiama diversi precedenti sulla configurabilità del disastro nei quali ritiene configurarsi l'odierna fattispecie e sottolinea che solo l'instaurarsi del procedimento penale e l'avvenuta adozione della misura cautelare del sequestro preventivo hanno consentito che l'evento complesso disastroso verificatosi non sia giunto a conseguenze ancora più gravi.
Pertanto, conclude ritenendo, in via principale la sussistenza del delitto contestato di cui agli artt. 110, 434 e 449 cod. pen. e, in via subordinata la sussistenza della fattispecie aggravata di reato contravvenzionale di cui agli artt. 110, 676 comma 2 cod. pen., rovina di edificio e di altra grande costruzione, essendo pacificamente derivato un grave pericolo alle persone.
Chiede, pertanto l'annullamento della sentenza impugnata. 
3. Le parti civili A.M. e S.A., a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducono, con unico atto, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Nullità della sentenza ex art. 129 cod. proc. pen.
Le PP.CC. ricorrenti deducono la nullità assoluta della sentenza impugnata perché pronunciata in violazione delle norme processuali.
Nessuna valutazione sarebbe stata compiuta degli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale o dell'estraneità dell'imputato.
Nel caso di specie, nonostante la complessità della vicenda oggetto del giudizio, la specificità e la gravità delle condotte descritte nel capo di imputazione, il tribunale avrebbe emesso una pronuncia ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., in assenza di qualsiasi riscontro probatorio, anche documentale, sul quale fondare la decisione.
Le PPCC. ricorrenti ritengono, invece, che vi fosse la necessità di un'istruttoria dibattimentale articolata e idonea a vagliare ogni aspetto probatorio al fine di giungere ad una pronuncia sul merito reale e non fittizia.
Il provvedimento impugnato si sarebbe limitato, invece ad affrontare un aspetto marginale della vicenda, relativo ad una insussistente analogia iuris, senza valutare l'esistenza di un pericolo reale ed effettivo per l'incolumità pubblica o di danni patiti dalle parti civili, concludendo incomprensibilmente per l'assoluzione in quanto il fatto non è previsto come reato.
Di fatto il giudicante, in assenza di qualsiasi elemento probatorio, si sarebbe sostanzialmente spogliato del proprio ruolo, rinunciando a decidere, prima ancora dell'acquisizione di qualsiasi prova.
b. Sussistenza dei reati contestati anche a seguito di assunzione delle prove ai sensi dell'art. 603 c.3 cod. proc. pen.
Le PPCC ricorrenti ritengono non condivisibili le ragioni per cui è stato ritenuto che il fatto ascritto non fosse previsto dalla legge come reato, dal momento che gli elementi del capo di imputazione consentivano di inquadrare le condotte in fattispecie di reato ben definite.
I fatti oggetto di imputazione  secondo i ricorrenti non appaiono né depenalizzati né privi di rilevanza penale, tanto è vero che gli stessi erano stati vagliati dal tribunale del riesame e dal Gup che aveva disposto il rinvio a giudizio.
Fin dalla fase delle indagini preliminari il Gip, aveva convalidato il sequestro preventivo dei cantieri, ritenendo la sussistenza di gravi indizi in ordine ai reati contestati e la sussistenza di un concreto pericolo di disastro colposo. 
I ricorrenti ricostruiscono i fatti accaduti evidenziando che le opere di adeguamento del G.R.A. di Roma hanno determinato, con un rapporto di causa effetto, documentalmente accertato in fase di indagini, un concreto pericolo per le abitazioni poste nella zona nonché la compromissione dell'equilibrio idrogeologico, statico e geotecnico dell'area, con smottamento del pendio.
L'assoluta gravità della situazione è stata avvalorata dallo sgombero immediato delle abitazioni a causa dell'Incombente pericolo.
Tra l'altro oltre al pericolo per le abitazioni in zona, già gravemente danneggiate, vi è un gigantesco traliccio di corrente elettrica ad alta tensione, pari a 150.000 volt adiacente alle abitazioni e sito sul pendio immediatamente prospiciente il G.R.A., interessato da processo franoso in atto.
La causa di tale grave situazione è stata ravvisata nella condotta omissiva dell'ANAS e delle società appaltatrici che non hanno mai predisposto le adeguate misure di monitoraggio né dello stato dei luoghi né degli edifici che hanno manifestato macroscopici sintomi di cedimento strutturale.
I ricorrenti precisano che il richiamo all'art. 449 cod. pen., contenuto nel capo di imputazione, lungi dal qualificare la condotta contestata come meramente colposa, rappresenta un rafforzativo, in quanto il PM avrebbe contestato due condotte differenti entrambe realizzatesi: quella dolosa di pericolo ex art. 434 cod. pen. che quella colposa di danno ex art. 449 cod. pen., con riferimento anche alle abitazioni delle parti offese.
In mancanza di dibattimento, il giudice non avrebbe mai potuto escludere a priori la sussistenza del delitto doloso previsto dall'art. 434 cod. pen., dal momento che il pericolo per la pubblica incolumità si è manifestato immediatamente concreto e reale.
Ritengono inoltre i ricorrenti, realizzata anche la condotta di cui all'art. 449 cod. pen., in quanto il danno alle costruzioni si è verificato a causa di una condotta colposa.
Il danno realizzato sarebbe sia patrimoniale che morale.
c. quantificazione del danno subito
I ricorrenti quantificano la loro richiesta di risarcimento del danno, sia economico patrimoniale che morale, nella misura di due milioni di euro con una provvisionale immediatamente esecutiva di € 500.000,00.
Chiedono, pertanto l'annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata
3. Va segnalato che, prima di essere rimesso a questa Quarta Sezione Penale per competenza interna, il presente ricorso era stato fissato dinanzi ad altra Sezione di questa Corte ai sensi dell'art. 611 cod. proc. pen. e in quell'occasione il P.G. presso questa Corte Suprema in data 28/3/2018, aveva rassegnato ex art. 611 cod. proc. pen. le proprie conclusioni scritte chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.
La procedura è stata definita, invece, da questa Sezione in pubblica udienza ed in ogni caso il PG ha concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi.
 

 


Diritto

 


1. Entrambi i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili, per i motivi che si andranno ad evidenziare.
2. In premessa va evidenziato che permangono dei dubbi, in presenza di un evidente contrasto di giurisprudenza, che quella impugnata possa essere considerata una sentenza predibattimentale ex art. 469 cod. proc. pen.
A tale conclusione è pervenuta la Corte territoriale sulla scorta del precedente costituito da Sez. 5, n. 19517 del 15/4/2016, Zennaro Rv. 267241 che, in relazione ad una fattispecie relativa a sentenza emessa nonostante l'opposizione del pubblico ministero e della parte civile, ha affermato che la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto pronunciata in pubblica udienza, dopo la verifica della regolarità della costituzione delle parti, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, ha natura predibattimentale e, pertanto, è inappellabile, anche se deliberata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.
Diversamente, va rilevato che le Sezioni Unite di questa Corte, da tempo, hanno, infatti chiarito che la sentenza di proscioglimento predibattimentale di cui all'art. 469 cod. proc. pen. può essere emessa solo ove ricorrano i presupposti in esso previsti (mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilità dell'azione penale ovvero presenza di una causa di estinzione del reato per il cui accertamento non occorra procedere al dibattimento) e, soprattutto, sempre che le parti, messe in condizione di interloquire, non si siano opposte, in quanto non può trovare applicazione, in detta fase, la disposizione dell'art. 129 stesso codice che presuppone necessariamente l'instaurazione di un giudizio in senso proprio (Sez. Un, n. 3027 del 19/12/2001 dep. il 2002, Angelucci, Rv. 220555; conf. Sez. 5, n. 40832 del 20/9/2004, Polacco, Rv. 229924; Sez. 2, n. 8667 del 7/2/2012, Raciti, Rv. 252481; Sez. 2, Ord. n. 2153 del 16/12/2016 dep. il 2017, Vicario, Rv. 269002).
Nel caso che ci occupa, invece, il PM, invitato a concludere, si è opposto alla pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. richiesta dai difensori.
Peraltro, è stato sottolineato che la sentenza di proscioglimento predibattimentale di cui all'art. 469 cod proc pen potrebbe essere pronunciata solo nelle ipotesi ivi previste (mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilità dell'azione penale ovvero presenza di una causa di estinzione del reato) e sempre che le parti, interpellate in proposito, non si siano opposte, non potendo, in detta fase, trovare applicazione la disposizione dell'art. 129 dello stesso codice, da riferire esclusivamente al giudizio in senso tecnico (v. Sez. 5, Sentenza n. 57567 del 31/10/2017, Rv. 271871).
E' pur vero che, avverso la predetta sentenza, anche se deliberata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, l'unica impugnazione ammessa è il ricorso per cassazione (così le citate Sez. Un. n. 3027 del 19/12/2001 dep. il 2002, Angeluc ci, Rv. 220555 che, in accoglimento dell'impugnazione del P.M., denominata appello, ma qualificata come ricorso per cassazione, ha annullato senza rinvio la sentenza di improcedibilità dell'azione penale pronunciata prima dell'apertura del dibattimento senza l'audizione preventiva delle parti; vedasi anche Corte Cost., 9 marzo 1992 n. 91).
Peraltro, nel caso che ci occupa, a ben guardare, il provvedimento impugnato mai opera alcun richiamo all'articolo 469 del codice di procedura penale.
L'adesione all'una o all'altra delle opzioni ermeneutiche, tuttavia, nel caso che ci occupa, appare irrilevante.
Siamo di fronte, in ogni caso, ad una sentenza pronunciata prima dell'apertura del dibattimento, con le conseguenze di cui si dirà quanto al ricorso proposto dalle parti civili, e, con tutta evidenza, di una sentenza pronunciata ai sensi del primo comma dell'articolo 129 del codice di procedura penale, secondo cui "in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che ii reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, io dichiara di ufficio con sentenza", e, come si vedrà di qui a poco, in ogni caso, l'unico reato ipotizzabile a carico degli imputati, è oggi prescritto.
3. Orbene, va rilevato che, da un lato, le doglianze proposte dal PM ricorrente appaiono fondate, ma dall'altro, la parte pubblica non ha più interesse al ricorso. Pertanto il ricorso del PM capitolino va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Le doglianze proposte erano fondate in quanto, se la pronuncia impugnata appare corretta con riferimento al reato di crollo colposo cui agli artt. 434 e 449 cod. pen., per contro ha ragione l'ufficio ricorrente a dolersi che il GM romano non avrebbe potuto pronunciare una assoluzione degli imputati "perché il fatto non è previsto dalla legge come reato" in quanto quei fatti, che come si dirà si è ritenuto correttamente che non potessero mai integrare il delitto di crollo colposo, forse avrebbero potuto integrare il reato contravvenzionale di rovina di edifici o di altra costruzione di cui all'art. 676 co. 2 cod. pen. Evidenzia, infatti, il PM ricorrente che nelle menzione di cui all'art. 676, secondo comma, cod. pen. in relazione alla quale il GIP in data 15/6/2010 aveva disposto il sequestro preventivo. Il GIP, in tale atto, rilevava l'esistenza di gravi indizi in ordine ai reati contravvenzionali ex artt. 676 e 677 cod. pen., ma anche il concreto pericolo che potesse verificarsi un reato di disastro colposo ex art. 449 cod. pen. con pericolo per pubblica incolumità.
Invero, la sussistenza anche del reato contravvenzionale, in un caso come quello che ci occupa, non appare scontata, in quanto la contravvenzione di cui all’art. 676 cod. pen., a differenza del delitto previsto dall'art. 449 cod. pen. in relazione al precedente art. 434, ha natura di reato proprio del progettista e del costruttore dell'edificio o dell'altra costruzione che per sua colpa rovini. Tuttavia, in ordine alla possibile sussistenza della stessa e ad un fatto oggettivamente complesso come quello rappresentato in imputazione, il giudice era tenuto ad approfondire i lineamenti di fatto della regiudicanda, che non apparivano affatto pacifici, ed incongruo appare il ricorso allo strumento della pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen.
Tuttavia, risalendo i fatti di cui ci si occupa al 1/5/2010, in relazione agli stessi, mentre non lo era all'atto della pronuncia impugnata (10/12/2014), il possibile reato contravvenzionale di cui all'art. 676 cod. pen. sarebbe oggi ampiamente estinto per intervenuta prescrizione.
Ne deriva che il ricorso del PM di Roma è da dichiararsi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse.
4. Ritiene invece il Collegio che manifestamente infondate si palesino le doglianze proposte in relazione alla pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. per il reato di cui al combinato disposto di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen.
Pacifico, dalla lettura dell'imputazione, è, infatti, che sia mancato, nel caso che ci occupa, un crollo inteso nel senso naturalistico del termine.
Se si va a leggere quanto ipotizzato a carico degli imputati emerge che "si verificava l'accertato movimento del pendio per i lavori di consistente asportazione di terreno ed il connesso scalzamento di sostegno del pendio sul quale erano costruiti gli edifici di via Volusia, che ha comportato gravissimi danni alle murature portanti (...) situazione di pericolo supportata, tra l'altro, dalla presenza di un gigantesco traliccio", condotte da ritenersi pertanto, secondo la prospettazione accusatoria "idonee e dirette a cagionare il crollo di costruzioni adibite ad abitazione anche prospicienti e già esistenti nei pressi dei luoghi di costruzione e lavoro ubicati in Roma, Via Volusia, identificatisi con i numeri civici, 51, 61, 751 771 81, 83, .85 e 87  che hanno richiesto per i danni riportati l'intervento della Protezione Civile per ia loro evacuazione; così mettendo in pericolo la pubblica incolumità".
Viene ipotizzato, dunque, un delitto di crollo colposo come reato di pericolo, in assenza di evento dannoso, che, secondo il vigente codice penale, come correttamente ritenuto dal GM romano, non è previsto dalla legge come reato.
L'articolo 449 del codice penale, infatti, non a caso rubricato "delitti colposi di danno" va chiarito ove mai residuassero dubbi punisce anche a titolo di colpa la sola ipotesi dolosa aggravata di cui al secondo comma dell'articolo 434 , e non anche quella di pericolo di cui al primo comma.
Occorre, in altri termini, che si realizzi un evento di danno.
Per la configurabilità del delitto di disastro colposo, in altri termini, è necessario che l'evento sì verifichi, diversamente dall'ipotesi dolosa, nella quale la soglia di punibilità è anticipata al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità e, qualora il disastro si verifichi, risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal citato art. 434 c.p., comma 2 (in questo senso già questa Sez. 4, n. 4675 del 17/5/2006, Bartalini, Rv. 235668): le condotte meramente prodromiche rispetto al già più volte indicato evento di pericolo non rilevano.
Una tale lettura della norma trova ulteriore conforto nel successivo art. 450 cod. pen., che in contrapposizione al precedente, relativo ai delitti colposi di danno, riguarda i delitti colposi di mero pericolo. Tale fattispecie anticipa la tutela rispetto a quella delineata dal precedente art. 449 cod. pen., incriminando anche le condotte che fanno solo sorgere o persistere il pericolo di un evento disastroso. La norma, tuttavia, non si riferisce indiscriminatamente a tutte le fattispecie di disastro, bensì solo ad alcune analiticamente indicate: disastro ferroviario, inondazione, naufragio sommersione. Si tratta di un'opzione normativa che non è casuale e trova esplicita spiegazione anche nella relazione ministeriale al progetto di codice, ove si spiega che l'esclusione della fattispecie colposa di pericolo di crollo trova giustificazione nella preoccupazione che lo sviluppo edilizio possa essere frenato da frequenti accertamenti tecnici connessi a tale fattispecie.
La stessa differenziazione nell'anticipazione del punto di rilevanza penale delle ipotesi di disastro nominato rispetto a quelle di natura innominata se da un lato si aggancia alla voluntas legis di tutelare maggiormente le situazioni di pericolo relative ai cd. disastri catalogati (che per loro natura hanno una notevole carica di dannosità), dall'altro può giustificare la indicazione per la punibilità di fattispecie apparentemente anche meno distruttive come possono essere appunto i crolli delle civili abitazioni: per queste infatti deve necessariamente lasciarsi un ambito discrezionale al giudice per consentire di discernere (per escluderne la rilevanza penale) le ipotesi limite come potrebbe essere quella che del crollo di un modesto appartamento (In zona isolata) abitato da una sola persona.
In proposito, dunque, ritiene il Collegio che vada qui ribadito il dictum di questa Corte che, in un caso con molti aspetti comuni a quello che ci occupa, ha affermato che, in tema di delitti contro l'incolumità pubblica, le condotte colpose integranti pericolo di crollo di una costruzione non configurano il delitto di cui all'alt. 449 cod.pen., che richiede il verificarsi di un disastro inteso come disfacimento dell'opera (così questa Sez. 4, n. 18977 del 9/3/2009, Innino, Rv. 244043 che ha escluso che il grave, genetico disastro statico di un edificio, tanto rilevante da determinare pericolo di collasso, configurasse la fattispecie di disastro innominato colposo).
Nel caso che ci occupa appare pacificamente essersi determinato solo il pericolo che gli edifici di cui all'imputazione potessero crollare. Ma il crollo, fortunatamente, non è avvenuto.
5. Va richiamata, in proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale per configurare il delitto di crollo colposo è necessario che il crollo assuma la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante (ex plurimis, vedasi questa Sez. 4, Sentenza n. 18432 del 1/04/2014, dep. il 2015, Papiani ed altri, Rv. 263886 e la recente Sez. 4, n. 6499 del 9/01/2018, Fersini, Rv. 271972)
Questa Corte regolatrice ha, anche recentemente, precisato che, ai fini della configurabilità del delitto di crollo colposo è necessario che il crollo della costruzione  inteso quale caduta violenta e improvvisa della stessa, senza che sia necessariamente richiesta la disintegrazione delle strutture essenziali  assuma la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l’incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante; mentre, per la sussistenza della contravvenzione di rovina di edifici di cui all'art. 676, secondo comma, cod. pen., non è necessaria una tale diffusività e non si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone (così questa Sez. 4, n. 51734 del 8/11/2017, Piacentini, Rv. 271535 che ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la sussistenza del delitto di cui agli artt. 434 e 449 cod. pen., in un caso in cui, a causa di uno scavo, si era verificata la caduta di un muro portante a confine tra due edifici contigui, con conseguente crollo dei solai sovrastanti un garage e l'androne di un palazzo).
6. Anche il ricorso della parte civile deve ritenersi inammissibile, sulla base del dettato dell'art. 652 cod. proc. pen. che attribuisce efficacia di giudicato, nel giudizio civile o amministrativo promosso dal danneggiato per il risarcimento del danno, soltanto alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, negandola invece alla sentenza di assoluzione che non sia emessa all'esito del dibattimento, sicché la parte civile, potendo far valere le sue ragioni nel processo civile o amministrativo senza incontrare preclusioni derivanti dal giudicato penale, non ha interesse a impugnare la decisione adottata dal giudice penale (Sez. 5, n. 19517 del 15/4/2016, Rv. 267241).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso del PG.
Dichiara inammissibili i ricorsi delle parti civili e condanna queste ultime al pagamento delle spese processuali e ciascuna al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 giugno 2018