Cassazione Penale, Sez. 4, 24 gennaio 2019, n. 3445 - Distacco di terreno dalla parete dello scavo: casseri inadeguati alle condizioni di terreno


 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 20/12/2018

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Torino, in data 25 gennaio 2018, ha parzialmente riformato quoad poenam (previo riconoscimento della prevalenza delle attenuanti già riconosciute in primo grado) la sentenza - per il resto confermata - con la quale il Tribunale di Torino, in data 4 novembre 2011, aveva condannato G.M.V. ed E.R. per il delitto di omicidio colposo, con l'aggravante della violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in San Mauro Torinese il 3 dicembre 2007.
Oggetto del giudizio é un sinistro nel quale rimase ucciso P.M., dipendente della C. Costruzioni s.r.l., che stava lavorando in un cantiere per la costruzione della rete fognaria, all'interno di uno scavo per la posa dei tubi; il decesso fu causato da un distacco di terreno dalla parete dello scavo, cagionato secondo imputazione dall'inidoneità dei casseri di protezione (quello utilizzato nell'occasione aveva un'altezza di soli 2 metri e 30 cm., a fronte di una profondità dello scavo pari a mt. 3,70); il terreno franato travolse il P.M. provocando le lesioni meglio descritte in atti, che lo traevano a morte.
Nell'ambito dei lavori in corso nel cantiere, il G.M.V. aveva l'incarico di coordinatore in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori, nonché di direttore dei lavori per conto del gruppo SMAT; mentre il E.R. aveva l'incarico di responsabile dei lavori e responsabile del procedimento, sempre per conto del gruppo SMAT. L'addebito specificamente mosso al G.M.V. é quello di non avere verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza della ditta C. (dalla quale, come si é detto, dipendeva la vittima) prevedendo modifiche e integrazioni nelle misure di sicurezza; nonché di avere omesso di verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, che la ditta esecutrice applicasse le disposizioni del Piano di sicurezza e coordinamento e le relative procedure di lavoro. L'addebito specificamente mosso al E.R. é di avere omesso di verificare il corretto adempimento degli obblighi facenti capo al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori (ossia al G.M.V.).
Le cause dell'accaduto, secondo la Corte di merito, sono costituite dalla pericolosità delle condizioni del terreno (costituito per circa un metro da materiale di riporto misto a blocchi e ciottoli immersi in matrice sabbiosa); dalle modalità di esecuzione dello scavo in presenza di un terreno così franoso; ed inoltre dalla presenza di sottoservizi (tubazioni d'acqua e gas). Per tali ragioni il G.M.V., nel redigere il P.S.C., aveva prescritto particolari cautele per lo scavo con l'utilizzo di un cassero autoaffondante di certe dimensioni; ma, secondo i giudici di merito, omise di verificare il rispetto delle prescrizioni del P.S.C. da parte dell'impresa esecutrice, nonché di verificare il P.O.S. della ditta da cui dipendeva il P.M., e consentì l'impiego di casseri inadeguati alla discesa del lavoratore nello scavo. Quanto al E.R., come si é detto, egli aveva omesso di vigilare sull'operato del G.M.V. (facendo esclusivamente affidamento sulla condotta del medesimo) e di osservare le prescrizioni derivanti dalla sua posizione di garanzia, che prevedevano l'espletamento di controlli non formali, ma sostanziali ed incisivi in materia di prevenzione: ciò che avrebbe dovuto fare assicurandosi che il POS della ditta C. rispondesse al PSC ed accertando che il coordinatore per la progettazione e l'esecuzione delle opere adempisse a sua volta agli obblighi posti a suo carico.
2. Avverso la prefata sentenza ricorrono sia il G.M.V. che il E.R., per il tramite del loro difensore di fiducia, con atti distinti ma in larga parte sovrapponibili e che, pertanto, vengono di seguito illustrati congiuntamente.
I ricorsi, corredati da una premessa, constano ambedue di un primo, ampio motivo, articolato in più paragrafi e corredato da numerosi allegati; il ricorso del E.R. consta poi di un ulteriore motivo.
3. Nel motivo comune ad entrambi gli imputati, i ricorrenti lamentano vizio di motivazione con riguardo all'accertamento della rispettiva penale responsabilità, in relazione alla dinamica dell'incidente e alla sussistenza del nesso causale tra l'evento mortale e le regole cautelari che si ritengono violate dalla condotta del G.M.V. e del E.R.. Riguardo ad alcuni aspetti fondamentali, che errando la Corte di merito ritiene pacifici e non contestati, vi é invece una chiara divergenza di visione tra l'accusa e la difesa, che vi scorge profili di travisamento del fatto.
3.1. In primo luogo, non si é fornita risposta a quanto osservato In appello dalla difesa circa il fatto che l'assenza di adeguate opere di protezione si verificò solo in occasione dell'incidente, perché fino ad allora (ed anche la mattina del sinistro, in occasione del sopralluogo del G.M.V.) si operava in regime di sicurezza.
3.2. In secondo luogo, i ricorrenti lamentano l'omessa considerazione delle valutazioni espresse dal consulente della difesa, prof. M., circa l'idoneità del cassero utilizzato nel giorni precedenti e nella stessa mattinata del giorno In cui avvenne l'infortunio: valutazioni basate su dati e calcoli tecnici che risultano invece assenti nella consulenza dell'ing. B., nominato dal Pubblico ministero, e che dimostravano come, in presenza del cassero utilizzato dalla ditta C., solo una modesta quantità di materiale franato avrebbe interessato l'operatore; ove il cassero fosse stato colmo di terreno vi sarebbe stata ben maggiore 
difficoltà di sollevamento dell'escavatore usato per i soccorsi, differentemente da quanto pare evincersi dalle dichiarazioni testimoniali; i volumi che avrebbero potuto distaccarsi dal fronte di scavo rifluendo all'interno dello stesso per il franamento della zona esterna al cassero stesso non avrebbero potuto seppellire l'operatore; le foto in atti dimostrano che i segni dei denti della benna sono ancora visibili sul fronte dello scavo, che quindi non risulta arretrato rispetto alla posizione necessaria per la posa del nuovo tubo: ciò che é incompatibile con una superficie di scivolamento e con una frana significativa.
3.3. In terzo luogo, merita censura secondo i ricorrenti anche la ricostruzione delle cause del decesso ad opera dei giudici di merito: l'affermazione secondo la quale le lesioni addominali riscontrate sul corpo del P.M. sarebbero prive di infiltrati emorragici e sarebbero quindi intervenute a causa delle operazioni di estrazione del corpo imprigionato, dunque dopo il decesso, é smentita dalla corretta lettura delle considerazioni svolte dalla d.ssa MA., consulente medico legale del pubblico ministero, la quale ha affermato esattamente il contrario ed ha chiaramente sostenuto che le lesioni addominali, nelle quali vi era presenza di infiltrati emorragici, sono da considerare lesioni vitali idonee a cagionare il decesso della persona offesa. A ciò si aggiunga che, in base alle valutazioni peritali, il volume di materiale caduto dall'altezza dello scavo non avrebbe potuto cagionare le gravissime lesioni riscontrate sul P.M., specie nella zona addominale.
3.4. Sotto un quarto profilo, vi é carenza di motivazione in ordine all'assunto, sostenuto dalla difesa in appello sulla base delle valutazioni del proprio consulente prof. M., che al momento della frana il P.M. potesse trovarsi nell'intercapedine fra la parete esterna del cassero e quella dello scavo. Su tale ipotesi, neppure il consulente tecnico del P.M., B., ha espresso valutazioni contrarie.
3.5. In quinto e ultimo luogo, vi é travisamento della prova e vizio di motivazione in riferimento alla presenza del G.M.V. in cantiere alle ore 15,00 del giorno del sinistro (presenza di cui non v'é prova, e che anzi deve ritenersi smentita in via logica in base alle dichiarazioni del teste Monaco, assistente dei lavori) e alle modalità operative seguite dalla ditta esecutrice in quell'occasione, essendo evidente che il giorno dell'incidente vi fu, nel pomeriggio, una significativa accelerazione dei lavori, tant'é che, mentre fino alle ore 15 erano stati posati solo due conci, alle 17 era in corso la posa del quarto concio di tubazione; secondo la tesi dei ricorrenti, in definitiva, l'accelerazione impressa ai lavori ha impedito alla ditta esecutrice l'uso dei necessari presidi di sicurezza e al G.M.V. di verificare l'adozione di idonee modalità operative in presenza di sottoservizi: infatti l'attività di scavo in tale situazione non prevedeva l'uso del 
cassero in quanto impossibile. Inoltre, concludono gli esponenti, manca nella sentenza impugnata il riferimento alla specifica disposizione inserita nel P.S.C. dal G.M.V. (e disattesa in fase esecutiva) in base alla quale nessuna lavorazione poteva essere avviata in zona senza la specifica approvazione del coordinatore in fase di esecuzione.
4. L'ulteriore motivo nell'interesse del E.R. é teso a lamentare violazione di legge (in specie artt. 5 e 6 D.Lgs. n. 494/1996) e vizio di motivazione in relazione al fatto che la normativa vigente all'epoca dei fatti di causa non prescriveva, a carico del responsabile dei lavori, l'obbligo di verifica dell'operato del coordinatore in fase di esecuzione e, in specie, dell'osservanza, da parte di quest'ultimo, del dovere di verificare l'idoneità del POS e la coerenza con il PSC. Il residuo obbligo di alta vigilanza in capo al responsabile dei lavori non é sovrapponibile con quello ritenuto in sentenza.
 

 

Diritto

 


1. Il motivo comune di ricorso é infondato, nonché teso in buona parte a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio, incompatibile con il giudizio di legittimità, a fronte di una ricostruzione dei fatti e di un'analisi delle prove, quale quella contenuta nella sentenza impugnata, che nell'insieme si sottrae a censure quanto a tenuta logica e a coerenza.
1.1. In proposito, deve ricordarsi il pacifico e costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità anche in composizione apicale, in base al quale l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si é avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -, Petrella, Rv. 226074).
Più di recente, nel solco del medesimo indirizzo, si é affermato che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Ancora, in perfetta coerenza con gli arresti finora richiamati, si é osservato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 - dep. 31/03/2015, O., Rv. 262965).
Conclusivamente, non possono formare oggetto di sindacato di legittimità le doglianze relative a questioni di mero fatto e tese a prospettare valutazioni alternative delle prove assunte: la disamina di esse é demandata in via esclusiva al giudice del merito ed é sottratta allo scrutinio della Corte regolatrice, laddove dette doglianze non attingano profili di macroscopica illogicità o inadeguatezza della motivazione del provvedimento impugnato.
1.2. Quanto, invece, alle censure nelle quali vengono dedotti profili di travisamento della prova, deve ribadirsi che tale vizio é ravvisabile non già allorquando con esso venga denunciato un qualsiasi equivoco epistemologico e percettivo nel quale sia caduto il giudice del merito, ma esclusivamente entro un ben delimitato numero di ipotesi, nelle quali affiori la contraddittorietà del ragionamento giustificativo della decisione rispetto alle risultanze di cui agli atti del processo specificamente indicati dal ricorrente (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 35848 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684); con il corollario che la denuncia di tale contraddittorietà (in quanto volta a censurare un vizio fondante della decisione) deve possedere un'autonoma forza esplicativa e dimostrativa tale da disarticolare l'intero ragionamento della sentenza e da determinare al suo interno radicali incompatibilità (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621). Un diverso modo di procedere si risolverebbe in una impropria - e, per quanto già osservato, improponibile - riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione, essendo, come si é detto, preclusa al giudice di legittimità, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).
Ciò vale in particolar modo laddove, come nella specie, la sentenza d'appello impugnata confermi, quanto meno nell'impianto della decisione, la pronunzia del giudice di primo grado (c.d. "doppia conforme").
Beninteso, la conformità fra la decisione d'appello e quella di primo grado non é, in sé, ostativa alla denunzia del vizio in esame; ma é intuitivo che il duplice vaglio delle acquisizioni probatorie in sede di merito, con il medesimo esito valutativo, rafforza intrinsecamente le conclusioni cui gli organi giudicanti investiti di tale giudizio sono concordemente pervenuti e rende necessario che le censure, per dirsi fondate, colpiscano travisamenti probatori che si siano manifestati, in modo eclatante ed evidente, in ambo i gradi del giudizio di merito.
Al riguardo, é sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale, nell'ambito dei motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, previsto dall'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. può essere dedotto, nel caso di cosiddetta "doppia conforme" nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 - dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 258438); oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013 - dep. 06/11/2013, Buonfine e altri, Rv. 256837). Il che, pur alla luce delle lagnanze articolate dai ricorrenti, non può dirsi accaduto nel caso di specie.
1.3. Quanto poi alle valutazioni dei giudici di merito in ordine alle tesi sostenute dai consulenti di parte, e alla scelta della tesi ritenuta preferibile, mette conto richiamare la pacifica giurisprudenza di legittimità in ordine all'adesione dei giudici di merito ai pareri di alcuni dei consulenti anziché di altri, oggetto anch'essa delle doglianze dei ricorrenti: secondo l'orientamento della Corte regolatrice in tema di valutazione della prova, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova legale, il presupposto della decisione é costituito dalla motivazione che la giustifica. Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purché illustri le ragioni della scelta operata (anche per rapporto alle altre prospettazioni che ha ritenuto di disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 46359 del 24/10/2007, Antignani, Rv. 239021).
2. Ciò premesso, e procedendo con ordine, le difformi valutazioni dei consulenti di parte in ordine all'idoneità del cassero utilizzato nello scavo vengono esaminate dalla Corte di merito in termini affatto logici ed esaustivi; e se ne trae la conclusione (che - per le ragioni dianzi esposte - non può essere sindacata in questa sede, non competendo a questa Corte di legittimità effettuare valutazioni di merito circa i risultati probatori e le considerazioni di periti e consulenti) che si trattasse di un cassero inidoneo, per altezza e per dimensioni, a fornire un'idonea protezione al lavoratore, in un sito ove le operazioni di scavo erano caratterizzate da una scarsa tenuta del terreno e un'accentuata franosità dello stesso (circostanze, queste, riferite da diversi lavoratori della ditta C., a iniziare dal capocantiere).
Quanto alla questione dell'interpretazione delle valutazioni della d.ssa MA. circa la natura delle ferite addominali, quand'anche si volesse ritenere erroneo il riferimento della Corte di merito al fatto che tali ferite sarebbero state cagionate dalle operazioni di recupero del corpo, nondimeno si tratta di un errore ininfluente nella ricostruzione delle cause del decesso (e peraltro assente nella ricostruzione, da parte della Corte distrettuale, delle motivazioni della sentenza di primo grado), alla luce delle stesse dichiarazioni della d.ssa MA.: la quale in realtà ha concluso che il decesso del P.M. fu dovuto allo schiacciamento a livello toracico addominale (p. 42 trascrizione esame MA., allegato n. 4 al ricorso), così confermando che la morte del lavoratore fu cagionata dalla frana. Le difformi valutazioni medico-legali del consulente della difesa sono state conseguentemente disattese dalla Corte di merito, con argomentazioni non censurabili in questa sede in quanto anch'esse esenti da vizi logici.
Del tutto congetturale, e peraltro debitamente valutata dalla Corte di merito, é anche l'ipotesi - sostenuta dal consulente della difesa prof. M. - secondo cui il P.M., al momento della frana, potesse essersi trovato tra la parete esterna del cassero e la parete dello scavo. Richiamando le considerazioni del Tribunale sul punto, la Corte distrettuale ha osservato che tale assunto doveva essere escluso alla luce di quanto evidenziato dal consulente tecnico del P.M., ing. B., circa la posizione in cui fu ritrovato il corpo della vittima.
Del tutto destituita di fondamento é infine la rilevanza attribuita dal ricorrente alla presenza o meno del G.M.V. in cantiere il pomeriggio in cui si verificò l'incidente e alle modalità esecutive dei lavori, quel pomeriggio, da parte della ditta C.: richiamata infatti la valutazione dei giudici di merito circa l'inidoneità dei casseri impiegati dalla ditta stessa, in relazione alle dimensioni degli stessi e a fronte delle condizioni di franosità del terreno, deve evidenziarsi che, in base alle prove raccolte (la Corte territoriale, nella ricostruzione del giudizio di primo grado, fa espresso riferimento alle dichiarazioni di tutti i lavoratori presenti), é accertato che il P.M., in occasione dell'infortunio, si era calato in presenza del cassero.
Tanto premesso, risulta corretto l'argomentare della sentenza impugnata in ordine al fatto che il G.M.V. omise di verificare l'ottemperanza al P.S.C. da parte della ditta C. e consentì l'impiego di casseri inadeguati alle condizioni del terreno; in tal modo egli violò gli obblighi connessi alla sua posizione di garanzia, quale direttore dei lavori, nonché quale coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori (cfr. Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017, Prina, Rv. 271026; Sez. 4, n. 7443 del 17/01/2013, Palmisano e altri, Rv. 255102).
3. Quanto al motivo di ricorso articolato nell'esclusivo interesse del E.R., esso é a sua volta infondato; non può fondatamente contestarsi che egli fosse tenuto al rispetto di doveri di alta vigilanza, che nella specie però egli non osservo e che tuttavia avrebbe dovuto osservare, trattandosi di profili di sicurezza strutturali nell'ambito dell'attività di scavo e di posa tubi in corso di svolgimento. In ogni caso, il dovere di vigilanza che si assume disatteso dal E.R. valeva (in termini non dissimili da quelli odierni) anche alla stregua della normativa all'epoca vigente, in base alla quale la giurisprudenza di legittimità é rimasta costante nell'affermare che la nomina del coordinatore per la progettazione o per l'esecuzione dei lavori non esonera il responsabile dei lavori (oltreché il committente) non solo dalla responsabilità per la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo per la protezione dai rischi, ma neppure dalla vigilanza sul coordinatore medesimo in ordine all'effettivo svolgimento dell'attività di coordinamento e controllo sull'osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento (Sez. 4, n. 37738 del 28/05/2013, Gandolla e altri, Rv. 256636; oltre a Sez. 4, n. 14012 del 12/02/2015, Zambelli, Rv. 263014, richiamata nella sentenza impugnata).
4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 20 dicembre 2018.