Cassazione Penale, Sez. 4, 11 febbraio 2019, n. 6418 - Caduta dal tetto e responsabilità di un CSE. Estinzione del reato


 

In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile. Nel caso di specie, l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato impone l'applicazione della causa estintiva.


 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 24/01/2019

 

 

 

FattoDiritto

 

1. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Cremona in relazione al reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche commesso, secondo l'imputazione, da L.M. (ed altri separatamente giudicati), in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori, ai danni di M.D.. In Sesto ed Uniti il 28 aprile 2011.
2. Il fatto era stato così ricostruito: il 28 aprile 2011 presso l'Azienda Agricola Siringhini, ove era in atto un cantiere per il rifacimento del tetto di uno stabile, M.D., dipendente dell'impresa A.D., subappaltratrice di B.T., si trovava sulla falda del tetto; il lavoratore aveva perso l'equilibrio ed era scivolato lungo la falda, fino ad impattare i guardacorpo che delimitavano il contorno del tetto; le protezioni non avevano, tuttavia, resistito all'urto ed il lavoratore era caduto a terra riportando plurime fratture; in particolare, le mensole sulle quali poggiavano i montanti verticali che, unitamente ai longheroni orizzontali in legno, avrebbero dovuto assicurare una protezione continua contro il rischio di cadute dall'alto, avevano ceduto perché erano state infisse in una parete in muratura non affidabile mediante fissaggio non conforme alle istruzioni date dal costruttore del sistema; al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione era stata contestata la violazione dell'art.92, comma 1, lett.a) e b) d. Lgs. 9 aprile 2008, n.81 per non avere verificato che i parapetti fossero installati idoneamente, per non avere preteso dall'installatore la verifica della tenuta, per non avere adeguatamente verificato l'idoneità dei contenuti del Piano Operativo di Sicurezza dell'impresa affidataria (Tiziano B.T.) e dell'impresa installatrice (SCS Eurotetti).
3. L.M. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per errata interpretazione di legge, con riferimento al ruolo ed alle incombenze del coordinatore per la sicurezza. Secondo il ricorrente, il giudicante avrebbe dovuto riconoscere il diverso ruolo del coordinatore per la sicurezza rispetto a quello del datore di lavoro, del dirigente e del preposto. L'imputato aveva preteso che venisse impiegato materiale di sicurezza di primissima qualità e che tale materiale fosse installato da un'azienda specializzata in impianti di sicurezza quale la SCS Eurotetti, mentre le verifiche sulla corretta installazione dei guardiacorpo e sulla conformità alle istruzioni del fabbricante incombevano al datore di lavoro ai sensi dell'art.35 d. Lgs. n.626/94. Al coordinatore per la sicurezza spetta un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative. In ogni caso, essendosi il ricorrente attivato perché venisse impiegato materiale di primissima qualità da azienda specializzata in impianti di sicurezza, si sarebbe dovuta applicare la sola pena pecuniaria o la pena minima edittale.
4. Le censure svolte nel ricorso riguardano questioni non manifestamente infondate. Tale rilievo esclude l'inammissibilità del ricorso ed impone di rilevare l'intervenuta estinzione del reato per decorso dei termini di prescrizione, trattandosi di fatto commesso in data 28 aprile 2011 in relazione al quale trova applicazione la disciplina dettata dalla legge 5 dicembre 2005, n.251; con la conseguenza che, trattandosi di delitto, il termine massimo di prescrizione deve ritenersi stabilito in sette anni e sei mesi, in virtù del combinato disposto degli artt. 157,160, comma 3, e 161, comma 2, cod.pen. ed, in assenza di periodi di sospensione, è decorso alla data odierna.
5. La delibazione dei motivi sopra indicati fa escludere l'emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell'evidente innocenza del ricorrente. Sul punto, l'orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art.129, comma 2, cod.proc.pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezioni ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427501). Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall'art. 129, comma 2, cod.proc.pen., l'assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza dell'imputato impone l'applicazione della causa estintiva.
6. Va disposto, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo il reato contestato estinto per prescrizione.
 

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 24 gennaio 2019