Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato
Circolare 27 marzo 1998, n. 3439/C
Legge 5 marzo 1990, n. 46. Chiarimenti e interpretazioni evolutive sugli aspetti problematici più importanti.
 

Con la presente Circolare si intende diramare il contenuto di un elaborato predisposto da un gruppo di lavoro istituito presso l'Unioncamere a cui hanno collaborato rappresentanti delle Camere di Commercio, delle categorie interessate e di questo Ministero.
Al riguardo lo scrivente fa presente di aver apportato alcune modifiche al testo originario, peraltro di aspetto non determinante, e di aver integrato altri passi con ulteriori chiarimenti e semplificazioni.
Nel fornire il pieno avallo ai risultati del lavoro svolto, questo Ministero invita codeste Camere di Commercio e l'Unioncamere ad adoperarsi per una diffusione capillare del documento presso le associazioni di categoria, che a loro volta potranno diffonderlo ai loro associati.
Considerato l'elevato interesse delle categorie artigiane nei confronti del settore delle installazioni, si invitano le Camere di Commercio a trasmettere copia del documento anche alle locali Commissioni provinciali dell'artigianato.
 

IL DIRETTORE GENERALE
(dr. Piero Antonio Cinti)    
 

NORME SULLA SICUREZZA DEGLI IMPIANTI
(Legge 5 marzo 1990, n. 46)
Chiarimenti e interpretazioni evolutive sugli aspetti problematici più rilevanti

1. AMBITO DI APPLICAZIONE

Edifici adibiti ad uso civile
Per quanto concerne l'ambito di applicazione della L. n. 46/90 occorre far riferimento non solo ai tipi di impianti, ma anche agli immobili, e precisamente "edifici adibiti ad uso civile" (art. 1, comma 1, legge n. 46/90) ove sono installati.
Solo l'attività relativa agli impianti elettrici è sempre e in ogni caso soggetta alle disposizioni dettate dalla legge in esame, qualsiasi sia il tipo di immobile. Gli altri sei tipi di impianti sono soggetti alle disposizioni della legge n. 46/90 e del relativo regolamento soltanto se relativi ad "unità immobiliari o la parte di esse destinate ad uso abitativo, a studio professionale o a sede di persone giuridiche private, associazioni, circoli o conventi e simili" (art. 1, 1° comma, D.P.R. n. 447/91).
Dunque, ai fini della legge n. 46/90, va preso a riferimento non l'edificio civile nella sua globalità, bensì la singola unità immobiliare.
Tali edifici devono essere destinati:
a) ad uso abitativo;
b) a studio professionale;
c) a sede di persone giuridiche private;
d) a sede di associazioni, fondazioni, circoli, conventi e simili.
Nel caso di edificio costituito da diverse unità immobiliari, delle quali alcune sono adibite "ad uso civile" (abitazione, studi professionali) ed altre "ad uso non civile" (negozi, banche, ecc.), l'applicazione della legge in esame sarà la seguente:
a) per quanto riguarda le abitazioni, tutti gli impianti sono soggetti alla legge n. 46/90;
b) per quanto riguarda, invece, i negozi, le banche, ecc., sono soggetti alla legge solo gli impianti elettrici.
Resta inteso che la legge n. 46/90 trova integrale applicazione per i servizi comuni condominiali dell’edificio anche se le singole unità immobiliari sono destinate ad un uso diverso.
 

2. ACCERTAMENTO E RICONOSCIMENTO DEI REQUISITI

a) Periodo di lavoro maturato in un’impresa non regolarizzata.
Premesso che per impresa non regolarizzata deve intendersi:
a) un’impresa mai iscritta al Registro ditte o all'Albo delle imprese artigiane, prima dell’entrata in vigore della legge n. 46/90, pur esercitando l'attività di impiantistica;
b) una impresa iscritta per altra attività (per es. vendita di elettrodomestici), la quale esercita anche attività di impiantistica senza averla mai denunciata al Registro ditte.
È opportuno ricordare che l’art. 5 della legge n. 46/90 (abrogato dal 15 dicembre 1994) e il successivo art. 4 della legge n. 25/96 (non più efficace dal 21 luglio 1997) prevedevano il diritto al riconoscimento dei requisiti tecnico- professionali per i titolari delle imprese già iscritte al registro ditte o all’albo delle imprese artigiane nel periodo antecedente l’entrata in vigore della legge n. 46/90.
Pertanto se per questi soggetti non è più ammissibile ottenere tale riconoscimento, a maggior ragione, non potranno beneficiare di questa disposizione le imprese mai regolarizzate, sebbene in grado di produrre idonea documentazione relativa allo svolgimento di attività pregresso.
Tuttavia, considerate le evidenti finalità di salvaguardare la professionalità comunque acquisita con l’attività lavorativa e non come discriminazioni tra lavoratori (art. 3 della Costituzione), il periodo di lavoro prestato da parte di lavoratori dipendenti all’interno di imprese non regolarizzate si ritiene possa costituire titolo idoneo per ottenere il riconoscimento dei requisiti, sempreché il richiedente sia in grado di dimostrare (con attestazioni dell'Ufficio di collocamento, fatture, ecc.) l'esercizio dell'attività svolta e il possesso dei requisiti di cui all'art. 3 della predetta legge.
b) Qualificazioni limitate.
Possono essere riconosciute abilitazioni limitate esclusivamente alle attività indicate dalle varie lettere dell'art. 1 della L. n. 46/90, purché la limitazione sia fatta nell'ambito della declaratoria di ogni singola lettera.
Lo stesso Ministero dell'industria (nella Circolare n. 3282/C del 30 aprile 1992, punto 2n), nel raccomandare l'utilizzo, ai fini della relativa attestazione, della terminologia usata dalla legge n. 46/90, all'art. 1, ha fatto presente che non esiste alcun impedimento, sulla base del titolo di studio posseduto e dell'attività lavorativa effettivamente svolta dal richiedente, a riconoscere in capo allo stesso il possesso dei requisiti tecnico-professionali all'esercizio di alcune soltanto delle attività indicate dalle varie lettere del citato art. 1, della L. n. 46/90.
Per quanto riguarda l’annotazione delle abilitazioni limitate nei certificati, si ritiene opportuno che risulti l’esatta corrispondenza tra l’attività denunciata e l’abilitazione limitata ottenuta.
È inoltre il caso di precisare che l’eventuale estensione delle abilitazioni ad altre lettere, indipendentemente dal possesso dei requisiti di legge, non è necessaria qualora questa sia riferita a lavori strettamente attinenti all’esecuzione dell’impianto per il quale il soggetto è abilitato. In tale ipotesi non devono pertanto essere concesse ulteriori abilitazioni. E’ evidente quindi, per esemplificare, che un’impresa installatrice di un impianto idraulico, per provvedere alla sua alimentazione elettrica non ha bisogno dell’abilitazione di cui alla lettera a) dell’art. 1 della legge n. 46/90, qualora si tratti di una semplice connessione con un impianto elettrico già esistente.
c) Associazione in partecipazione.
Premesso che con il contratto di associazione in partecipazione, disciplinato dall’art. 2549 cod. civ., l’apporto dell’associato può consistere anche in una prestazione lavorativa di carattere tecnico e considerato altresì che, secondo quanto stabilito dal Ministero dell’Industria con la circolare n. 3342/C del 22 giugno 1994 al punto 4E), tale contratto evidenzia un "rapporto di immedesimazione" tra il titolare dell’impresa e l’associato, si ribadisce, per l’impresa medesima, la possibilità di ottenere l’abilitazione all’esercizio dell’attività impiantistica anche secondo tale modalità.
Da più parti è stato inoltre richiesto se, decorso il triennio di attività, l’associante (ossia il titolare dell’impresa) maturi anch’esso i requisiti professionali.
A tale proposito - alla luce dei principi desumibili dalla legge n. 25/96 che evidenziano l’intenzione del legislatore di ampliare i requisiti previsti dall’art. 3 della legge n. 46/90 - si ritiene che questa possibilità sia ammessa a condizione che il titolare dell’impresa produca apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante l’effettivo esercizio dell’attività e la regolare iscrizione INAIL nel periodo di riferimento.
d) Riconoscimento dei requisiti a titolari di impresa individuale, soci o amministratori di società.
Coerentemente con quanto riportato al precedente punto c) e con le modalità ivi indicate, anche l’attività lavorativa prestata da parte del titolare, socio prestatore d’opera o amministratore di un’impresa installatrice, in presenza o meno del titolo di studio, può costituire requisito idoneo all’assunzione di responsabilità tecnica, a condizione che l’attività svolta sia formalmente riconducibile a quella propria di un operaio installatore con qualifica di specializzato, secondo quanto previsto dall’art. 3 della legge n. 46/90.
e) Avvio di un’attività di installazione da parte di un soggetto iscritto all’elenco dei verificatori.
Colui che è iscritto nell’elenco dei verificatori degli impianti nelle sezioni riservate ai periti industriali, qualora intenda esercitare attività imprenditoriale nel settore impiantistico, necessita di una specifica esperienza lavorativa di almeno un anno in qualità di lavoratore dipendente. Ciò in quanto l’attività di verificatore non è ricompresa fra i requisiti indicati all'art. 3 della legge n. 46/90.
f) Soggetto tenuto a richiedere il riconoscimento dei requisiti e validità.
In merito alle problematiche relative all’accertamento dei requisiti, si ribadisce che il loro riconoscimento deve essere richiesto unicamente dall’impresa (titolare o legale rappresentante) che intende iniziare una delle attività disciplinate dalla legge n. 46/90, in quanto è essa stessa che necessita dell'abilitazione, avvalendosi a tal fine di un soggetto, legato da un "rapporto di immedesimazione", in possesso dei requisiti.
Tale richiesta va inoltrata alla Camera di Commercio nella cui circoscrizione è posta la sede principale dell'impresa, anche se l'attività di impiantistica venga esercitata in un luogo diverso dalla sede.
L’abilitazione è valida per tutto il territorio nazionale senza termine di durata, a meno che non venga meno il "rapporto di immedesimazione" tra il responsabile tecnico e l’impresa.
 

3. ELENCO DEI VERIFICATORI

Iscrizione all'Elenco dei verificatori. Tassa di concessione governativa.
La tassa di concessione governativa, per espressa previsione di cui all'art. 2 del D.P.R. n. 641/72, è sempre legata all'emanazione di un atto o di un provvedimento abilitativo rilasciato da un organo della Pubblica Amministrazione.
Nel caso specifico, la legge non prevede l’emanazione di singoli provvedimenti di iscrizione ma unicamente la formazione di "elenchi", tenuti presso la Camera di Commercio, dai quali la Pubblica Amministrazione ha facoltà di attingere i professionisti (già in possesso di tutti i requisiti prescritti) dei quali avvalersi per i collaudi e le verifiche.
Si ritiene, pertanto, che l'iscrizione in tali elenchi non sia soggetta al pagamento di alcuna tassa di concessione governativa, pagamento peraltro non espressamente previsto da alcuna norma.
Per tale iscrizione è dovuto il solo diritto di segreteria dell'attuale importo di lire 27.000.
 

4. ACCERTAMENTO E RICONOSCIMENTO DEI REQUISITI

a) Lavoro part-time.
L'art. 3 della legge n. 46/90, alle lettere b), c) e d), quando fa riferimento a prestazioni lavorative, usa la generica formula "previo periodo di inserimento (...) alle dirette dipendenze (...)", senza peraltro entrare in merito alla tipologia di contratto lavorativo.
Ai fini della legge in questione è da ritenere, pertanto, valido il periodo lavorativo annuale, indipendentemente dal tipo di contratto lavorativo e dal numero di ore giornaliere lavorate.
b) Periodo di apprendistato svolto da persona in possesso di idoneo titolo di studio.
Un soggetto in possesso di idoneo titolo di studio o attestato di formazione professionale, che abbia svolto alle dipendenze di un’impresa del settore il solo periodo di apprendistato può ottenere il riconoscimento dei requisiti tecnico-professionali unicamente nelle ipotesi previste all’art. 3, lett. b) e c) della legge n. 46/90, in quanto il citato articolo esclude la validità dell’apprendistato nell’ipotesi di cui alla lett. d), semprechè l’apprendistato non risulti effettuato contemporaneamente al periodo di studio.
c) Periodo di lavoro con contratti di formazione-lavoro.
I contratti di formazione e lavoro si caratterizzano per la circostanza che il lavoratore dipendente, oltre a prestare la propria opera, acquisisce anche una specifica formazione nell'ambito del settore nel quale tale contratto si esplica.
Gli obblighi di formazione ai quali è tenuto il datore di lavoro nei confronti del dipendente non possono però ritenersi sostitutivi o assimilabili al requisito indicato alla lettera c) dell'art. 3, della legge n. 46/90, nel quale si parla di titolo o attestato di formazione professionale rilasciato, secondo la vigente normativa in materia di formazione professionale, dai Centri autorizzati della Regione, al quale deve aggiungersi un periodo di inserimento di almeno due anni alle dipendenze di una impresa del settore. Naturalmente il periodo di tempo lavorato con contratto di formazione-lavoro vale agli effetti del calcolo del periodo lavorativo utile all’acquisizione dell’esperienza professionale con riferimento alla qualifica di uscita.
 

5. IL RESPONSABILE TECNICO

a) Rapporto di immedesimazione
La normativa sulla sicurezza degli impianti parla del "responsabile tecnico" una sola volta, e precisamente al 2° comma dell’art. 2 della legge n. 46/90, laddove si stabilisce che "L’esercizio delle attività di cui al comma 1 è subordinato al possesso dei requisiti tecnico-professionali (...) da parte dell’imprenditore, il quale, qualora non ne sia in possesso, prepone all’esercizio delle attività di cui al medesimo comma 1 un responsabile tecnico che abbia tali requisiti".
Da quanto sopra possono, pertanto, essere ricavate almeno due indicazioni:
1. non necessariamente il responsabile tecnico deve essere un soggetto interno all’organizzazione dell’impresa;
2. ciascuna impresa può avere più responsabili tecnici.
Il Ministero dell’Industria, su questa tematica, ha affrontato la questione concernente l’ipotesi di un soggetto che voglia svolgere l’incarico di responsabile tecnico per più imprese, tenuto conto che la legge non pone alcun espresso divieto.
In un primo tempo il Ministero dell’Industria, con la Circ. n. 3239/C del 22 marzo 1991, punti 4a e 4b, aveva assunto una posizione restrittiva, sostenendo che, in linea generale, una stessa persona non può assumere tale incarico per conto di più imprese in virtù del "rapporto di immedesimazione" che il responsabile tecnico deve avere con l’impresa stessa; successivamente (Circ. n. 3342/C del 22.6.1994, punti dal 4c al 4f), pur confermando il concetto di "immedesimazione", inteso come rapporto diretto del responsabile tecnico con la struttura operativa dell’impresa, non ha escluso, "sia pure in un numero limitato di ipotesi e in via eccezionale", la possibilità di "accogliere istanze che comportino una duplice immedesimazione".
A questo riguardo si ritiene opportuno chiarire ulteriormente il significato da attribuire all’espressione "rapporto di immedesimazione". Questo rapporto, oltre che nelle ipotesi indicate con la circ. 22 giugno 1994, n. 3342/C, è ravvisabile - purché venga espressamente evidenziato con le modalità più innanzi indicate - anche nella figura del socio prestatore d’opera di una società non artigiana.
In queste specifiche ipotesi - unitamente a quelle relative all’associato in partecipazione e del lavoratore dipendente - il responsabile tecnico deve dichiarare e dimostrare di avere assunto con l'impresa/e un vincolo stabile e continuativo, che comporti un rapporto diretto con la struttura operativa dell'impresa e lo svolgimento di un costante controllo circa il rispetto della normativa tecnica vigente, impegnando l'impresa con il proprio operato e le proprie determinazioni limitatamente agli aspetti tecnici dell'attività della stessa.
La Camera di Commercio svolgerà gli opportuni controlli volti a verificare il rigoroso rispetto di quanto dichiarato, tenuto conto che la suddetta autodichiarazione comporta la soggezione alle sanzioni penali previste dalla legge.
In ogni caso non è da ritenersi idonea per l’assolvimento del principio dell’immedesimazione, come precisato con la circolare n. 3342/C del 22 giugno 1994, la "collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49 del D.P.R. n. 917/1986.
Dai principi sopra riportati devono escludersi le imprese individuali artigiane per le quali vige, anzitutto, la disposizione dettata dall'art. 2, comma 1, della L. n. 443/85 secondo la quale l'imprenditore artigiano è "colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo".
Il comma 3 dell'art. 2 della legge n. 443/85 impone poi, in capo al titolare dell'impresa artigiana, il possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti da leggi speciali, qualora l'esercizio di particolari attività richieda una peculiare preparazione ed implichi responsabilità a tutela e garanzia degli utenti.
b) Responsabilità tecnica e impresa artigiana
In relazione alle peculiarità dell’impresa artigiana sono state poste le seguenti questioni:
a) se il titolare di una impresa individuale artigiana possa assumere il compito di responsabile tecnico di altra impresa non artigiana;
b) in capo a quale socio dell’impresa artigiana devono sussistere i requisiti tecnico-professionali.
Per quanto concerne il primo aspetto, non vi è dubbio che il titolare di un’impresa artigiana in possesso dei requisiti richiesti dalla legge n. 46/90 non possa essere nominato responsabile tecnico di altra impresa non artigiana, in quanto devono essere salvaguardati i principi dettati dall'art. 2, commi 1 e 3 della legge n. 443/85, già richiamati.
Pertanto non vi sono preclusioni a che detto titolare possa assumere la funzione di responsabile tecnico in altra impresa non artigiana (per es. una S.r.l.) a condizione che sia documentato il rapporto di immedesimazione con questa impresa, secondo quanto indicato in precedenza.
In merito alla seconda questione, coerentemente con l’art. 3, comma 2, della legge n. 443/85, si precisa che nella società artigiana il responsabile tecnico deve necessariamente coincidere con uno dei soci che svolge in prevalenza il lavoro personale, anche manuale.
c) Modalità di nomina del responsabile tecnico.
Il Ministero dell’Industria, con la citata Circ. 3342/C ha escluso che la nomina del responsabile tecnico debba avvenire attraverso una apposita "procura institoria", di cui agli artt. 2203 ss. cod. civ., trattandosi di un incarico di natura prettamente tecnico.
La nomina del responsabile tecnico deve avvenire pertanto mediante la sottoscrizione di una apposita dichiarazione contenuta nel modello di denuncia di inizio di attività allegato alla presente.
Nel caso di società, l'iscrizione del responsabile tecnico avviene attraverso una apposita denuncia al REA (modello S5), sottoscritta dal legale rappresentante, con allegato l'Intercalare P, riportante i dati anagrafici del responsabile tecnico, sottoscritto anch’esso dal legale rappresentante. La modalità di nomina indicata esclude la necessità di richiedere o di allegare alla domanda ulteriori documenti quali, ad es., l’estratto dell’eventuale verbale di nomina del responsabile tecnico. In merito agli obblighi di certificazione antimafia previsti dal D.Lgs 8 agosto 1994, n. 490, si precisa che le comunicazioni previste da detto decreto debbono essere presentate unicamente da società, legali rappresentanti ed eventuali altri componenti l'organo amministrativo, soci di società di persone, soci accomandatari di società in accomandita semplice e non quindi dal responsabile tecnico qualora non coincida con i soggetti suindicati.
È esclusa ogni altra forma di pubblicità dei responsabili tecnici indipendente dagli obblighi posti a carico delle imprese. Non è altresì soggetta a pubblicità l’attività svolta dagli Uffici tecnici di imprese non installatrici.
 

6. DICHIARAZIONI DI CONFORMITÀ

a) Presentazione delle dichiarazioni di conformità
La dichiarazione di conformità, sottoscritta dal titolare, legale rappresentante e dal responsabile tecnico (nel caso si tratti di persona diversa dal titolare), deve tempestivamente essere inviata alla Camera di Commercio nella cui circoscrizione l'impresa ha la propria sede.
In merito ai controlli che devono essere effettuati da parte dell’ufficio sulle dichiarazioni presentate si precisa quanto segue:
• non devono essere accettate dichiarazioni di conformità presentate in fotocopia;
• la firma del dichiarante e del responsabile tecnico devono essere in originale o, eventualmente, riprodotte in carta chimica e simili;
• alla dichiarazioni di conformità inviata alla Camera di Commercio non deve essere allegato alcun documento (progetti, relazioni, perizie, certificati, ecc.) come ribadito anche dal Ministero dell’Industria con la Circ. n. 3342/C del 22 giugno 1994, punto 2n.
• l’Ufficio dovrà provvedere alla verifica formale della corrispondenza tra gli impianti realizzati e le abilitazioni possedute dall'impresa nonchè la corrispondenza del nominativo del responsabile tecnico firmatario con il nominativo della persona a suo tempo indicata per tale funzione..
Per garantire l’esercizio del controllo da parte delle Camere di Commercio, sarà prioritaria la predisposizione, a livello nazionale, di un apposito programma informatico per la gestione delle predette dichiarazioni.
b) omesso rilascio della dichiarazione di conformità
Sono pervenute inoltre richieste di chiarimento circa il comportamento da adottare nell’ipotesi in cui l’impresa installatrice si rifiuti di rilasciare le dichiarazioni di conformità.
La legge n. 46/90 si limita a stabilire, a tale proposito, che "al termine dei lavori l'impresa installatrice è tenuta a rilasciare al committente la dichiarazione di conformità", senza peraltro prevedere alcuna specifica sanzione per la violazione di tale disposizione.
Tuttavia, l'art. 16, comma 1, della legge dispone che "alla violazione delle altre norme della presente legge consegue (...) una sanzione amministrativa da lire un milione a lire dieci milioni" e, pertanto, si ritiene che anche tale inadempimento rientri nelle violazioni indicate.
Peraltro sulla questione, con particolare riferimento alla potestà della Camera di Commercio di procedere ai relativi accertamenti e alla conseguente contestazione e notificazione ai sensi degli art. 13 e 14 della legge n. 689 del 1981, risulta che il Ministero dell’Industria abbia in corso la formalizzazione di un apposito quesito al Consiglio di Stato. Al riguardo si fa pertanto riserva di ulteriori comunicazioni non appena possibile.
Circa la periodicità dell’inoltro delle dichiarazioni di conformità alla Camera di Commercio si fa presente che non è necessario un inoltro contestuale al rilascio al committente ma che allo stesso può provvedersi a cura dell’impresa con comunicazioni cumulative di più dichiarazioni di conformità, accompagnate da apposita distinta, con cadenze che possono essere trimestrali ovvero, per le imprese di minori dimensioni, semestrali.
 

7. VIOLAZIONI E SANZIONI

a) Sanzioni
Delle sanzioni amministrative e dei provvedimenti disciplinari in materia di impiantistica, se ne parla in tre disposizioni: all'art. 16 della legge n. 46/90; all'art. 10 del D.P.R. n. 447/91; all'art. 4, comma 2, della legge n. 25/96.
Dall'esame di queste disposizioni si ricavano le seguenti sanzioni e provvedimenti disciplinari:
a) sanzioni amministrative:
1. da lire 100.000 a lire 500.000:
a carico del committente o del proprietario che affida i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di manutenzione ad imprese non abilitate;
2. da lire 1.000.000 a lire 10.000.000:
da applicare per ogni altra violazione delle norme dettate dalla L. n. 46/90.
3. da lire 500.000 a lire 5.000.000:
- a carico di coloro che violino la disposizione relativa all'adeguamento degli impianti di messa a terra o all'installazione di interruttori differenziali ad alta sensibilità o di altri sistemi di protezione equivalenti;
- a carico del proprietario dell’immobile, dell’amministratore di condominio per le utenze di uso comune o comunque del soggetto incaricato della gestione degli impianti (art. 4, comma 2, legge n. 25/96).
b) provvedimenti disciplinari
Violazione reiterata per più di tre volte delle norme sulla sicurezza degli impianti.
1. per le imprese abilitate:
sospensione temporanea dell'iscrizione dal Registro delle imprese o dall'Albo delle imprese artigiane;
2. per i professionisti:
provvedimenti disciplinari previsti dai rispettivi albi, ordini o collegi professionali.
c) organi competenti all’accertamento delle violazioni
Fermo restando quanto rappresentato alla lettera b) del punto 7, evidenziato nel paragrafo precedente, si rileva come la questione degli organi competenti all'accertamento delle violazioni della legge risulti più complessa.
L'unica disposizione che si rinviene in merito all'applicazione delle sanzioni è quella dettata dal comma 6 dell'art. 10 del D.P.R. n. 447/91, dove si dispone che "All'applicazione delle sanzioni previste dalla legge in esame provvedono gli Uffici Provinciali dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato".
La normativa sulla sicurezza degli impianti si limita, dunque, a fissare l'organo competente all'applicazione delle sanzioni, senza individuare gli organi accertatori; si deve, pertanto, far riferimento alla L. 24 novembre 1981, n. 689, e precisamente all'art. 13.
In tale articolo vengono identificate due grandi categorie di organi accertatori:
a) gli organi ai quali la legge riconosce la qualifica di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, titolari di un potere di accertamento generale (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Corpo Forestale dello Stato, agenti di custodia, Vigili urbani);
b) gli altri organi "addetti al controllo sull'osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa", titolari di un potere di accertamento speciale o settoriale (tutti coloro che, funzionari, pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio, abbiano tra le loro attribuzioni d'ufficio, anche o principalmente, la funzione di curare l'osservanza delle norme dalla cui trasgressione consegue l'irrogazione di una sanzione amministrativa).
Fissati questi principi, si tratta ora di identificare l’Ufficio competente alla verifica dell'osservanza delle norme dettate dalla legge n. 46/90.
In via generale, un tale compito è senz'altro assegnato all’Ente che, nell'ambito delle proprie attribuzioni istituzionali, è chiamato a verificare l'abitabilità e l'agibilità degli edifici adibiti ad uso civile e degli immobili adibiti ad attività produttive, al commercio, al terziario ed agli altri usi.
Pertanto, gli organi accertatori sono senza dubbio quelli elencati all'art. 14 della legge n. 46/90 e, precisamente, i Comuni, le Aziende USL, i Comandi Provinciali dei Vigili del fuoco, l'Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPEL), organi dotati di un ampio potere di accertamento, sia tecnico che amministrativo.
La Camera di Commercio, che ha il compito di accertare il possesso dei requisiti ai fini dell'iscrizione nel Registro delle imprese e che è semplicemente destinataria di una copia della dichiarazione di conformità, si ritiene possa accertare unicamente violazioni di natura formale risultanti dalla dichiarazione medesima, non essendo ad essa attribuiti compiti di verifica tecnica.
In tutti gli altri casi, pertanto, la Camera di Commercio dovrà inviare la documentazione agli organi competenti agli accertamenti di natura tecnica ai quali spetta, in caso riscontrino violazioni degli obblighi di legge, l’applicazione delle relative sanzioni.