Responsabilità di un datore di lavoro che, per imprudenza, negligenza e imperizia, nonchè per colpa specifica consistita nella violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c), art. 5, comma 3, artt. 41 e 47, rimuoveva le protezioni (riparo mobile incemierato e coltello divisore) della macchina squadratrice dotata di sega circolare e non impediva al lavoratore addetto di utilizzarla priva dei citati dispositivi di sicurezza - Conseguiva un infortunio del lavoratore dipendente - Sussiste.

Ricorre in Cassazione - Respinto.

"Questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass. 4, n. 21587/07, ric. Pelosi, rv. 236721).
Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il L. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la macchina che gli ha procurato l'infortunio e che era priva dei dispositivi di protezione dalla lama rotante."


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
U.A., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 9/6/2008 della Corte di Appello di Ancona;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Fausto Izzo;
sentito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vito Monetti che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
si osserva:


FattoDiritto
1. Con sentenza del 8/11/2005 il Tribunale di Urbino, condannava U.A., per il delitto p. e p. dall'art. 583 c.p., comma 1, n. 1 e art. 590 c.p., comma 2, perchè quale titolare della Falegnameria-Torneria "(OMISSIS)" e datore di lavoro di L. D., per imprudenza, negligenza e imperizia, nonchè per colpa specifica consistita nella violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c), art. 5, comma 3, artt. 41 e 47, rimuoveva le protezioni (riparo mobile incemierato e coltello divisore) della macchina squadratrice dotata di sega circolare, utilizzata per la lavorazione assegnata, o comunque non impediva allo stesso di utilizzarla, priva dei citati dispositivi di sicurezza, così che, nel recuperare tagli di legno per cassetti, dopo avere arrestato la macchina, egli urtava fortuitamente la lama in rotazione, non ancora del tutto ferma per inerzia, subendo una ferita lacero-contusa alla mano destra con lesione tendina e malattia della durata di gg. 79 (acc. in (OMISSIS)).
All'imputato veniva irrogata la pena di mesi 2 di reclusione, convertita in ed Euro 2.280,00= di multa, concesse le attenuanti generiche; veniva inoltre condannato al risarcimento del danno patito dalla parte civile L.D..

2. Con sentenza del 9/6/2008 la Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza di primo grado. La Corte distrettuale, dopo avere rigettato l'eccezione processuale di indeterminatezza del capo di imputazione (essendo stata indicata la data del fatto come (OMISSIS), invece che (OMISSIS) ed avendo indicata come lesa la mano destra, invece che la sinistra), osservava:
- che la macchina utensile era stata utilizzata normalmente in situazione di insicurezza, in quanto priva dei dispositivi di protezione della lama in rotazione;
- che il comportamento del dipendente non aveva valenza interruttiva del rapporto di causalità, in quanto le norme antinfortunistiche mirano a tutelare il lavoratore anche a da rischi connessi a suoi comportamenti negligenti;
- l'infortunio si era verificato durante l'espletamento delle normali attività di lavoro a cui il L. era preposto e pertanto la presenza dei dispositivi di sicurezza avrebbe evitato l'evento;
- il fatto era attribuibile alla responsabilità del datore di lavoro, in quanto a lui incombeva l'obbligo di vigilare sulla conformità della macchina alle norme di prevenzione.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, deducendo:
3.1. la violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c), artt. 179 e 516 c.p.p., in quanto l' U. era stato condannato per un fatto diverso da quello contestato, senza che la modifica dell'imputazione gli fosse mai stata notificata ai sensi degli artt. 516 e 520 c.p.p..

3.2. La mancanza o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p.. Invero la corte territoriale non aveva tenuto conto che l'infortunio era da addebitare ad una circostanza del tutto imprevedibile, costituita dalla grave negligenza della persona offesa la quale, pure essendo un operaio esperto, con tredici anni di lavoro, aveva avvicinato l'arto alla lama in movimento, nel momento della sua decelerazione.
3.3. L'omessa applicazione dell'indulto ai sensi della L. n. 241 del 2006.
4. Il ricorso è manifestamente infondato.
4.1. In ordine alla al primo motivo, va osservato che il rispetto del principio di correlazione tra la sentenza e l'imputazione contestata (art. 521 c.p.p.) mira a garantire all'imputato l'effettività del diritto di difesa e del diritto alla prova.
Ne consegue che se la pronuncia si riferisce a circostanze modificate che non incidono sull'essenza dell'accusa, nessuna venerazione ai predetti diritti si verifica.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la modifica in udienza del capo di imputazione, consistente nelle diversa indicazione della data del commesso reato, non sempre comporta una alterazione avente incidenza sulla identità sostanziale e sulla identificazione dell'addebito, atteso che, a seconda dei casi, l'esatta collocazione temporale di un fatto delittuoso può assumere o meno rilevanza decisiva, condizionando le possibilità di difesa dell'imputato (es. l'indicazione della data della querela invece che del fatto: Cass. 5, n. 6977/2001, ric. Calza, rv. 221385).
Pertanto nel caso di specie, l'erronea indicazione nell'imputazione della data del fatto ((OMISSIS) invece che (OMISSIS)) e l'erronea indicazione dell'arto leso (mano destra invece che sinistra), non hanno inciso sulla effettiva conoscenza dell'accusa, tenuto conto che le esatte circostanze erano desumibili dagli atti e che le dimensioni medie dell'azienda non ponevano in dubbio in relazione a quale infortunio e per quale dipendente si stesse svolgendo il processo. Ne consegue che la censura è manifestamente infondata.

4.2. In relazione al lamentato comportamento negligente della persona offesa, questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass. 4, n. 21587/07, ric. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il L. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la macchina che gli ha procurato l'infortunio e che era priva dei dispositivi di protezione dalla lama rotante.
Pertanto la circostanza che il L., preso dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza, abbia avvicinato imprudentemente la mano alla lama, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che la cautela omessa era proprio preordinata ad evitare il rischio specifico (lesione agli arti) che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio in danno del L..
Ne consegue che anche tale motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
4.3. In ordine alla censura per l'omessa applicazione dell'indulto, va rilevato che il difensore dell'imputato non ha avanzato tale richiesta nel corso del giudizio di merito, nè con i motivi di appello, nè con le conclusioni in udienza. Orbene con orientamento consolidato questa Corte ha statuito che "il problema dell'applicazione dell'indulto può essere sollevato nel giudizio di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente, escludendo che l'imputato abbia diritto al beneficio, e non, invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone implicitamente l'applicazione al giudice dell'esecuzione.
Ne consegue che, allorchè non risulta richiesta, nelle fasi di merito, l'applicazione dell'indulto, la questione non è deducibile in cassazione" (Cass. s.u. 2333/95, ric. Aversa, rv. 200262).
La manifesta infondatezza del ricorso impone la declaratoria di inammissibilità.
Consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2009