Con sentenza in data 12.7.2005/7.2.2006, II Tribunale di Salerno rigettava la domanda proposta per far accertare che il decesso del de cuius (…) era avvenuto in occasione di lavoro e per causa violenta ex art. 2 DPR n. 1124/1965 con conseguente condanna dell’INAIL al pagamento della rendita indiretta spettante.
Ricorso in Cassazione -  Accolto.

"Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che la causa violenta richiesta dall’art. 2 DPR n. 1124 del 1965 per l’indennizzabilità dell’infortunio, che agisce dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, è ravvisabile anche in uno sforzo fisico che non esuli dalle condizioni tipiche del lavoro cui l’infortunato sia addetto, purché lo sforzo stesso, ancorché non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere dinamicamente una resistenza, ossia una forza antagonista, peculiare della prestazione di lavoro o del suo ambiente, e abbia determinato, con azione rapida ed intensa, una lesione."
"Si è, altresì, precisato che la predisposizione morbosa del lavoratore non esclude il nesso causale fra lo sforzo fisico (o le situazioni di stress emotivo ed ambientale) e l’evento infortunistico, anche in relazione al principio dell’equivalenza causale di cui all’art. 41 cp che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro, dovendosi riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia".
Spiega in particolare la Corte che "il Tribunale ha omesso di fornire una adeguata motivazione in ordine a circostanze sicuramente rilevanti ai fini dell’accertamento dell’eziologia lavorativa dell’infortunio, quali, in primo luogo, le caratteristiche dell’attività lavorativa svolta (che, a quanto ritenuto nella sentenza di primo grado, trascritta in seno al ricorso, era tale da determinare “un dispendio energetico intenso”, con uno sforzo, necessario per operare il taglio dei fogli di cuoio a mano, “di tipo isometrico” con “un abnorme incremento del tono adrenergico… e necessario aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa…” ) e la loro connessione con la causa del decesso (avvenuto per “morte cardiaca improvvisa”, “e,quindi, per un evento a genesi cardiologica)."

REPUBBLICA ITALIANA

IN  NOME   DEL  POPOLO   ITALIANO

LA    CORTE    SUPREMA    DI    CASSAZIONE

SEZIONE  LAVORO

Fatto
Con sentenza in data 12.7.2005/7.2.2006 II Tribunale di Salerno, in riforma della sentenza resa dal Pretore del lavoro della stessa sede il 4.3.1998, rigettava la domanda proposta da (…) nella qualità di erede e di esercente la potestà genitoriale sulla minore (…) per far accertare nei confronti dell’INAIL che il decesso del de cuius (…) era avvenuto in occasione di lavoro e per causa violenta ex art. 2 DPR n. 1124/1965 con conseguente condanna dell’Istituto al pagamento della rendita indiretta spettante. Osservava in sintesi la corte territoriale che le indagini medico legali acquisite portavano ad escludere, pur tenendo conto dell’attività lavorativa svolta dal (…) che in essa erano individuabili sforzi comportanti l’impiego improvviso ed abnorme di energia tale da configurare una causa violenta dotata di adeguata efficacia lesiva.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso (…) e (…) con cinque motivi.

Resiste con controricorso L’INAIL.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.


Diritto



Con il primo ed il secondo motivo le ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2 DPR n. 1124/1965 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c ed, al riguardo, osservano che la corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che, ai fini della concessione del beneficio richiesto, fosse necessario dimostrare l’esistenza di una causa violenta, e cioè uno sforzo eccezionale, invece assolutamente non previsto come condizione necessaria per configurare l’efficacia lesiva della prestazione lavorativa, laddove risulta sufficiente che lo stesso si riveli idoneo a vincere una resistenza, ossia una forza antagonistica peculiare del lavoro medesimo, in conformità alle finalità dell’assicurazione obbligatoria, che tutela tutti quei casi in cui l’attinenza dell’infortunio alle prestazioni svolte e la natura delle mansioni stesse comportino maggiori probabilità circa il verificarsi dell’evento.

Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc in relazione agli artt. 2 del DPR n. 1124/1965 e 41 cp, le ricorrenti si dolgono che la sentenza impugnata abbia escluso la sussistenza del nesso di causalità tra il lavoro svolto ed il decesso sulla base, fra l’altro, del rilievo che “il decesso era avvenuto molte ore dopo la cessazione del lavoro”, che mancavano “riscontri obiettivi e qualificati di fattori di rischio o di patologie preesistenti”, che i “sintomi” riferiti dai testi “fossero niente più che degli elementi suggestivi”, non considerando che nemmeno la predisposizione morbosa esclude il nesso causale fra sforzo ed evento infortunistico, con la conseguenza che un ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia.

Con il quarto motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 n. 3, 4 e 5 cpc, violazione degli artt. 132 cpc e 118 disp. att. cpc, e comunque omessa motivazione su più fatti controversi e decisivi per il giudizio, quali l’accertata causa della morte, (confermando l’istruttoria la diagnosi di “morte improvvisa”, qualificata, in termini di elevata probabilità, da un’eziologia cardiologica); la sintomatologia riferita dai testi (pallore e facile stancabilità manifestata il giorno prima del decesso), perfettamente compatibile con la causa dell’ exitus; il carattere particolarmente impegnativo, dal punto di vista fisico, dell’attività svolta, implicando il taglio dei fogli di cuoio fatto a mano un dispendio energetico particolarmente intenso, con una determinante, anche se non esclusiva, incidenza sulla sopravvenuta cardiopatia ischemica; l’esistenza di fattori di rischio e di malattie predisponenti (ed, in particolare il tabagismo, lo stress lavorativo e la predisposizione familiare); il lasso di tempo trascorso tra l’attività lavorativa per ultimo svolta ed il decesso, considerato dalla corte territoriale come particolarmente consistente, laddove, invece, non superò le 24 ore.
Con l’ultimo motivo, infine, le ricorrenti prospettano violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, rilevando come la sentenza impugnata avesse immotivatamente disatteso la valutazione delle prove acquisite al processo, fra l’altro in punto di causa della morte, fattori predisponenti, nesso cronologico, occasione di lavoro.

Il ricorso, i cui motivi, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente, è fondato.

Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che la causa violenta richiesta dall’art. 2 DPR n. 1124 del 1965 per l’indennizzabilità dell’infortunio, che agisce dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, è ravvisabile anche in uno sforzo fisico che non esuli dalle condizioni tipiche del lavoro cui l’infortunato sia addetto, purché lo sforzo stesso, ancorché non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere dinamicamente una resistenza, ossia una forza antagonista, peculiare della prestazione di lavoro o del suo ambiente, e abbia determinato, con azione rapida ed intensa, una lesione (v. ad es, Cass. n. 13928/2004; Cass. n. 19682/2003; Cass. n. 239/2003; Cass, n. 13741/2000).
Si è, altresì, precisato che la predisposizione morbosa del lavoratore non esclude il nesso causale fra lo sforzo fisico (o le situazioni di stress emotivo ed ambientale) e l’evento infortunistico, anche in relazione al principio dell’equivalenza causale di cui all’art. 41 cp, che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro, dovendosi riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia (cfr. Cass. n. 19682/2003) e ben potendo, anzi, preesistenti fattori patologici rendere più gravose e rischiose per il lavoratore attività in genere non comportanti conseguenze negative, provocando la brusca rottura del preesistente, precario equilibrio organico, con conseguenze invalidanti (cosi già Cass. n. 4736/1994).

Di tali principi la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione, avendo attribuito rilievo all’inconfigurabilità nel caso di un atto di forza abnorme, caratterizzato da dispendio improvviso e accidentale di energia superiore a quella richiesta dall’esplicazione del normale ed abituale atto lavorativo”, trascurando di considerare che, per come si è detto, ai fini del riconoscimento dell’eziologia lavorativa dell’infortunio, non sì richiede uno sforzo fisico particolare, né tanto meno eccezionale o abnorme, che esuli dalle condizioni tipiche del lavoro cui l’infortunato sia addetto, sempreché esso si riveli come diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente.

Operando sulla base di erronei presupposti di diritto, il Tribunale ha omesso di fornire una adeguata motivazione in ordine a circostanze sicuramente rilevanti ai fini dell’accertamento dell’eziologia lavorativa dell’infortunio, quali, in primo luogo, le caratteristiche dell’attività lavorativa svolta (che, a quanto ritenuto nella sentenza di primo grado, trascritta in seno al ricorso, era tale da determinare “un dispendio energetico intenso”, con uno sforzo, necessario per operare il taglio dei fogli di cuoio a mano, “di tipo isometrico” con “un abnorme incremento del tono adrenergico… e necessario aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa…” ) e la loro connessione con la causa del decesso (avvenuto per “morte cardiaca improvvisa”, “e,quindi, per un evento a genesi cardiologica). Ma anche circa il lasso di tempo intercorrente tra l’attività lavorativa da ultimo svolta e Vexitus, che si afferma, nella sentenza impugnata, tale da determinare “insuperabili perplessità”, ma senza fornire adeguata giustificazione in ordine alle ragioni che renderebbero irrilevante la circostanza, evidenziata dal primo giudice, che il (…) nei giorni immediatamente precedenti il decesso, “aveva lamentato dolori diffusi al torace, irradiati da ambedue gli arti superiori di durata prolungata” e che questa situazione si era protratta sino al giorno stesso della morte. La sentenza va, pertanto, cassata e la causa rinviata ad altro giudice di pari grado, che si designa nella Corte di appello di Napoli, la quale, attenendosi al principio di diritto sopra indicato, provvedere anche in ordine alla regolamentazione delle spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli.
Depositata in cancelleria
il 30.12.2009