• Amianto

OMESSO PIANO DI LAVORO PER LA RIMOZIONE DELL'AMIANTO E CONOSCIBILITA' DEL RISCHIO

Rimozione dell’amianto – Omessa predisposizione del piano ex art. 34 d. lgs. n. 277/1991 – Reato di cui all’art. 50 d. lgs. n. 277/1991 – Presunzione iuris tantum di colpa – Non sussiste

Con riferimento al reato di cui all’art. 50 d. lgs. n. 277/1991 per omessa predisposizione del piano di lavoro ex art. 34 del medesimo decreto, va osservato che “la contravvenzione in questione è punita indifferentemente a titolo di dolo o di colpa perciò deve esserci quanto meno la colpa”. Al riguardo, “questo collegio ritiene che non si possa fare ricorso ad una sorta di presunzione iuris tantum di colpevolezza la quale verrebbe meno quando l'imputato dia al giudice la prova contraria che non gli si può rimproverare nemmeno la semplice imprudenza, giacché una tale presunzione non è prevista dalla legge, ma si debba fare ricorso ai normali criteri con cui si accertano i fatti psichici, sia pure facendo largo uso delle comuni massime di esperienza e del buon senso.”


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE

Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Giuseppe Savignano presidente
Dott. Antonio Zumbo consigliere
Dott. Pierluigi Onorato consigliere
Dott. Ciro Petti consigliere
Dott. Carlo Grillo consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da C. D., nato il ..omissis.. a Taranto, avverso la sentenza del GUP presso il Tribunale di Bari;

udita la relazione svolta del consigliere dott. Ciro Petti;

sentito il sostituto procuratore generale nella persona del dott. Guglielmo Passacantando, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

Sentito il difensore avv. Michele Imperio, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso, osserva:

Fatto

Il GUP presso il tribunale di Bari, con sentenza del 6 febbraio 2002, condannava con il rito abbreviato C. D. alla pena di € 3.098,00 di ammenda quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche del reato di cui agli artt. 34 comma 1 e 5 lett.a D.leg.vo n. 277 del 1991 per avere quale titolare dell'omonima impresa edile addetta all'esecuzione di lavori di rifacimento della pavimentazione della Piazza Mercantile di Bari, omesso di predisporre il piano di lavoro da sottoporre alla preventiva approvazione dell'Azienda Sanitaria Locale con la previsione della misure di sicurezza da adottare prima dell'inizio dei lavori di demolizione e rimozione dei materiali contenenti amianto. Fatto accertato in Bari il 22 dicembre 2000. In base alla sentenza impugnata il fatto va ricostruito nella maniera seguente:
il 22 dicembre del 2000 alcuni vigili urbani di Bari vennero avvicinati da tale B. G. il quale comunicò loro che al Lungomare Augusto, a ridosso della muraglia, v'era una zona recintata con all'interno otto tubi in cemento - amianto che apparivano sbriciolati alle estremità e che potevano costituire pericolo per la salute pubblica. Il B. precisò di essere certo di quanto andava affermando perché esperto della materia in quanto titolare di un'impresa di smaltimento di rifiuti tossici. Nella circostanza gli inquirenti accertarono che si trattava di tubi per condotte di fluidi provenienti dai lavori di trasformazione urbanistica della Piazza Mercantile di quella città affidati in appalto all'impresa C. che erano stati accatastati l'uno sull'altro senza alcuna copertura.
Il GUP, a fondamento della decisione, osservò che al momento del sopralluogo dei vigili l'imprenditore non aveva predisposto alcun piano per lo smaltimento dei rifiuti come da dichiarazione resa dal geometra responsabile del cantiere; che il mero proposito di procedere alla redazione del piano di smaltimento era stato inserito nella perizia di variante presentata il 29 dicembre 2000 dopo il sopralluogo dei vigili; che l'imprenditore, una volta rinvenuti i tubi di amianto, aveva l'obbligo di non rimuoverli e di informare le autorità.
Ricorre in cassazione l'imputato denunciando:
a) inosservanza e/o erronea applicazione degli artt 40, 4247 c.p. con riferimento all'art. 606 lett. b) c.p.p. in quanto nel contratto di appalto o nel capitolato speciale non si prevedeva alcun intervento relativo allo smaltimento di tubazioni contenenti amianto per cui non poteva attribuirsi ad omissione dell'imprenditore l'evento pericoloso realizzatosi; d'altra parte, l'obbligo di non rimuovere i tubi avrebbe presupposto, se non la conoscenza, almeno la possibilità di rendersi conto della loro composizione; invece non vi sono elementi esterni visibili per distinguere le tubazioni in cemento da quelle in cemento - amianto e perciò nella fattispecie si era verificato un errore sul fatto che escludeva la punibilità;
b) la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett e) giacché per un verso il GUP aveva preso atto della sua ignoranza incolpevole derivante dal fatto che nel contratto d'appalto non v'era alcun accenno a materiali contenenti amianto, dall'altra aveva preteso una condotta positiva (predisposizione del piano) che avrebbe potuto essere realizzata solo se fosse stata conoscibile la situazione presupposta, ossia la presenza d'amianto;
c) la violazione dell'art. 163 c.p. per avere il giudice sospeso la pena dell'ammenda senza richiesta della parte: infatti tale sospensione si risolve in un pregiudizio per l'imputato poiché ai sensi dell'art. 687 c.p.p. non consente l'eliminazione dell'iscrizione nel casellario giudiziale, pregiudizio che è più svantaggioso del lieve beneficio che si ottiene con l'esenzione dal pagamento dell'ammenda.

Diritto

Il ricorso è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione.
L'articolo 34 D.leg.vo n. 277 del 1991, il quale è stato adottato per dare attuazione a diverse direttive comunitarie in materia di protezione dei lavoratori dai rischi derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, impone al datore di lavoro, prima dell'inizio dei lavori di demolizione o rimozione dell'amianto ovvero di materiali contenenti amianto dagli edifici, strutture, ecc. di predisporre un piano di lavoro, da inviare in copia anche all'organo di vigilanza, il quale, tra l'altro, deve prevedere idonee misure di protezione, la decontaminazione del personale incaricato dei lavori, l'adozione, nel caso in cui sia previsto il superamento dei valori limite di cui all'art.31delle misure di cui all'art.33 adattandole alle particolari esigenze del lavoro specifico. L'omissione di tale piano configura un'ipotesi di reato omissivo proprio punibile a norma dell'art.50 del decreto legislativo citato. Trattandosi di reato omissivo proprio non occorre accertare alcun rapporto di causalità tra la condotta e l'evento giacché per la sua sussistenza è necessaria e sufficiente la semplice omissione del comportamento che la norma impone di tenere. Il problema della causalità nei reati omissivi si pone solo per quelli omissivi impropri.
La contravvenzione in questione è punita indifferentemente a titolo di dolo o di colpa perciò deve esserci quanto meno la colpa. Quest'ultima interpretazione, non più contrastata, è ora imposta dalla struttura stessa del quarto comma dell'articolo 42 c.p.. Qualche contrasto sussiste ancora sulle modalità d'accertamento dell'elemento psicologico. Questo collegio ritiene che non si possa fare ricorso ad una sorta di presunzione iuris tantum di colpevolezza la quale verrebbe meno quando l'imputato dia al giudice la prova contraria che non gli si può rimproverare nemmeno la semplice imprudenza, giacché una tale presunzione non è prevista dalla legge, ma si debba fare ricorso ai normali criteri con cui si accertano i fatti psichici, sia pure facendo largo uso delle comuni massime di esperienza e del buon senso. Nella fattispecie il tribunale, pur dando atto che nel contratto di appalto non v'era alcun riferimento al possibile rinvenimento di materiali contenenti amianto, non ha avvertito l'esigenza di motivare sulla sussistenza dell'elemento psicologico neppure facendo ricorso a presunzioni o a generiche massime d'esperienza, come ad esempio alla qualificazione professionale, ad eventuali pregresse esperienze lavorative su materiali contenti amianto, ecc., nonostante che il pervenuto avesse fatto presente che non v'erano segni visibili per sospettare la presenza d'amianto e nonostante che il denunciante, come risulta dalla stessa sentenza, avesse precisato che, in tanto aveva compreso che quei tubi contenevano amianto, in quanto era un esperto della materia. In definitiva nella sentenza impugnata non v'è alcun accenno alla conoscibilità del pericolo.
Limitatamente all'omessa motivazione sull'elemento psicologico la sentenza va quindi annullata con conseguente rinvio al tribunale di Bari per un nuovo esame.
Il terzo motivo rimane chiaramente assorbito giacché presuppone una sentenza di condanna

P.Q.M.

LA CORTE

Letto l'art. 623 c.p.p., annulla l'impugnata sentenza con rinvio al tribunale di Bari

Così deciso in Roma il 10 novembre 2004
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2004.