• Amianto
  • Datore di Lavoro
  • Infortunio sul Lavoro

Responsabilità del legale rappresentante dell'impresa Costruzioni Edile R. per colpa consistita, genericamente, in negligenza, imprudenza e imperizia e specificatamente, nella violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16 (per avere installato opere provvisionali non idonee per i lavori eseguiti ad un'altezza superiore a due metri) e D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 34 (per non avere predisposto il piano di lavoro per la rimozione di materiale contenente amianto) cagionava la morte del lavoratore M.M.; in particolare, dovendo operare la rimozione di lastre in fibro cemento contenenti amianto e la loro sostituzione con lastre in fibrocemento nuovo presso il capannone della ditta E. 2000 s.r.l., disponeva che il lavoratore M.M., titolare di impresa artigiana ma impiegato come mero prestatore di manodopera, si recasse, per eseguire il lavoro, sul tetto del capannone stesso ove, per il cedimento di una lastra di appoggio e per il fatto di non lavorare con l'ausilio di mezzi di protezione, precipitava al suolo.

Furono invece assolti i sanitari del nosocomio per non aver commesso il fatto.

Ricorso in Cassazione -  Rigetto.

Innanzitutto la Corte afferma che: "esattamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro della vittima dell'incidente, in quanto è certo che questi prestava la propria attività per l'imputato, e, anche a voler considerare un rapporto di lavoro autonomo, si configurerebbe un'ipotesi di subappalto in cui anche la ditta appaltatrice o subappaltatrice è responsabile dell'organizzazione del cantiere ove si svolge il lavoro, ed anche ad essa incombono gli obblighi di vigilanza in ordine al rispetto delle norme antinfortunistiche e all'osservanza dei comuni precetti di prudenza, perizia e diligenza".

Inoltre la Corte afferma che: "nel caso di lesioni personali (nella specie, provocate da infortunio sul lavoro) cui sia seguito il decesso della vittima, la colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente - tale da interrompere il nesso causale ex art. 41 c.p., comma 2 - rispetto al comportamento dell'agente, perchè questi, provocando tale evento (le lesioni), ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale; va altresì precisato che, mentre è possibile escludere il nesso causale in situazioni di colpa commissiva addebitabili ai sanitari, nel caso di omissioni di terapie che dovevano essere applicate per impedire le complicanze (come nel caso in esame in cui si rimprovera agli anestesisti di non avere assicurato una sufficiente ossigenazione all'infortunato mediante una costante e permanente intubazione), l'errore del medico non può prescindere dall'evento che ha fatto sorgere la necessità della prestazione sanitaria, per cui la "catena causale" resta integra."


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. IACOPINO Silvana Giovan - Consigliere -
Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) R.L. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 631/2001 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 26/01/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/01/2010 la relazione fatta dal  Consigliere Dott. MAISANO Giulio;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) Luca del foro di Mantova il quale conclude per l'accoglimento del ricorso.

Fatto

Con sentenza del 26 gennaio 2009 la Corte d'Appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Verona del 27 settembre 2000 con la quale, fra l'altro e per quanto rileva in questa sede, R.L. è stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 41 c.p., comma 1, art. 589 c.p., commi 1 e 2 poichè, quale legale rappresentante dell'impresa Costruzioni Edile R. per colpa consistita, genericamente, in negligenza, imprudenza e imperizia e specificatamente, nella violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16 (per avere installato opere provvisionali non idonee per i lavori eseguiti ad un'altezza superiore a due metri) e D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 34 (per non avere predisposto il piano di lavoro per la rimozione di materiale contenente amianto) cagionava la morte del lavoratore M.M.; in particolare, dovendo operare la rimozione di lastre in fibro cemento contenenti amianto e la loro sostituzione con lastre in fibrocemento nuovo presso il capannone della ditta E. 2000 s.r.l., disponeva che il lavoratore M.M., titolare di impresa artigiana ma impiegato come mero prestatore di manodopera, si recasse, per eseguire il lavoro, sul tetto del capannone stesso ove, per il cedimento di una lastra di appoggio e per il fatto di non lavorare con l'ausilio di mezzi di protezione, precipitava al suolo, riportando lesioni personali gravi alla colonna vertebrale con conseguente ricovero presso il Reparto di NEurochirurgia dell'Ospedale Civile (OMISSIS) ove decedeva, in data (OMISSIS).
 
Con la stessa sentenza confermata, il R. è stato condannato alla pena di anni uno di reclusione con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, mentre gli altri imputati, sanitari del nosocomio ove è stato ricoverato la vittima dell'incidente ed ove vi è successivamente deceduto, sono stati assolti dal medesimo reato di omicidio colposo, per non avere commesso il fatto.
 
La Corte territoriale ha motivato la propria sentenza considerando che l'imputato era comunque responsabile e garante della sicurezza del lavoro svolto dal M. in suo favore, indipendentemente dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro fra le parti, per il solo fatto che prestava la propria attività in favore della società di cui l'imputato era legale rappresentante.
La Corte d'Appello ha inoltre rilevato che la responsabilità dei sanitari era stata esclusa dai giudici di primo grado con motivazione completa ed esauriente, senza che l'imputato, appellante in quella sede, abbia proposto nuovi elementi di valutazione, che possano indurre a ritenere che la condotta dei sanitari abbia interrotto il nesso di causalità fra quella dell'imputato e l'evento.

Il R. propone ricorso avverso tale sentenza lamentando, con il primo motivo, inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b).
In particolare il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto irrilevante l'autonomia dell'attività artigianale svolta dal M. ed abbia erroneamente ritenuto che il lavoro svolto dall'imputato e dal M. fosse di subappalto mentre viceversa si sarebbe trattato di contratto di prestazione d'opera ex art. 2222 c.c..
Con secondo motivo si lamenta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e); con riferimento alla valutazione del comportamento dei sanitari che, come risulterebbe dalla espletata perizia e dalle testimonianze dei periti, avrebbe causato l'evento morte interrompendo il nesso di causalità con il contestato comportamento dell'imputato.
In particolare si deduce che la morte della vittima sarebbe stata determinata da insufficienza respiratoria, cioè da insufficiente ossigenazione del paziente dovuta ad un colposo comportamento dei sanitari, in particolare degli anestesisti.

 
Diritto

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.
 
In ordine al primo motivo, si osserva che esattamente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro della vittima dell'incidente, in quanto è certo che questi prestava la propria attività per l'imputato, e, anche a voler considerare un rapporto di lavoro autonomo, si configurerebbe un'ipotesi di subappalto in cui anche la ditta appaltatrice o subappaltatrice è responsabile dell'organizzazione del cantiere ove si svolge il lavoro, ed anche ad essa incombono gli obblighi di vigilanza in ordine al rispetto delle norme antinfortunistiche e all'osservanza dei comuni precetti di prudenza, perizia e diligenza (per tutte Cass. 20 aprile 2006 n. 21471).
 
Anche il secondo motivo non è fondato.
 
Questa Corte ha costantemente affermato che l'eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito (Cass. 4 ottobre 2007 n. 41293).
In particolare nel caso di lesioni personali (nella specie, provocate da infortunio sul lavoro) cui sia seguito il decesso della vittima, la colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente - tale da interrompere il nesso causale ex art. 41 c.p., comma 2 - rispetto al comportamento dell'agente, perchè questi, provocando tale evento (le lesioni), ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale; va altresì precisato che, mentre è possibile escludere il nesso causale in situazioni di colpa commissiva addebitabili ai sanitari, nel caso di omissioni di terapie che dovevano essere applicate per impedire le complicanze (come nel caso in esame in cui si rimprovera agli anestesisti di non avere assicurato una sufficiente ossigenazione all'infortunato mediante una costante e permanente intubazione), l'errore del medico non può prescindere dall'evento che ha fatto sorgere la necessità della prestazione sanitaria, per cui la "catena causale" resta integra (Cass. 4 ottobre 2006 n. 41943).
E comunque i medici sono stati definitivamente assolti.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
 
La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2010