REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero
Dott. IZZO Fausto
Dott. MASSAFRA Umberto
Dott. MARINELLI Felicetta
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da: 1) C.G. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 242/2008 CORTE APPELLO di TRENTO, del 20/02/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;
udito il P.G. in persona del Dott. Delehaye Enrico che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, l'avv. Mayr Marco del foro di Bolzano chiede i rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Sartori Marco del foro di Rovereto che chiede l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

C.G. è stato condannato con sentenza emessa in data 3.12.2007 dal Tribunale di Trento - Sezione distaccata di Cavalese alla pena di un anno di reclusione per il reato di omicidio colposo in seguito ad infortunio sul lavoro in danno di V.N., infortunio avvenuto in ***, nonché al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale in favore delle parti civili costituite, con provvisoria esecuzione delle disposizioni civili.

Il V. era stato assunto da pochi giorni alle dipendenze della ditta del C., specializzata nella estrazione del porfido.

Il giorno dell'infortunio l'imputato aveva condotto l'operaio nella cava di ***, ad oltre 1500 metri di altitudine, dove l' *** erano state fatte brillare delle mine per separare dalla montagna massi da destinare alla lavorazione e dove, subito dopo, le attività erano rimaste sospese per il periodo invernale.

A seguito della deflagrazione di novembre si era staccato un masso di porfido di circa 180 tonnellate, rimasto in posizione sub verticale per il lato più lungo, su di uno zoccolo di roccia, in bilico sull'orlo di un precipizio verso il fondo cava che gli sottostava, ma discosto di alcuni metri dalla parete della montagna, verso cui era inclinato. In vista della ripresa dell'attività e di un suo spostamento di messa in sicurezza ai fini della lavorazione, il giorno dell'infortunio, il C. si era recato con il V. sul posto, secondo la sua versione dei fatti, solo per studiare la situazione. L'operaio si era trovato sul retro del masso, allorché il gigantesco pietrone si era rovesciato, cadendo verso il monte e schiacciando sotto di sé il malcapitato lavoratore. Sul posto erano stati poi trovati alcuni strumenti da lavoro quali un piccone, un badile e, vicino al corpo della vittima, un palanchino di circa un metro e mezzo.
Contro la decisione del Tribunale di Trento ha proposto appello il difensore dell'imputato.

La Corte di Appello di Trento, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 20.2.2009, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Trento - Sezione distaccata di Cavalese e condannava l'imputato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili. Contro la sentenza della Corte d'appello di Trento il C. proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore e concludeva chiedendo di volerla annullare senza rinvio e, in subordine, con rinvio.

All'udienza pubblica del 15/01/2010 il ricorso era deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione


Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:


1) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 589 c.p., commi 1 e 2 in rapporto all'art. 2087 c.c.; D.P.R. n. 128 del 1959, art:. 27 e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 10 anche in riferimento alle disposizioni degli artt. 40 e 41 c.p.; dell'art. 194 c.p.p., comma 3, - art. 606 c.p.p., lett. b. In particolare sarebbe inconferente secondo il ricorrente il richiamo alla previsione del D.P.R. n. 128 del 1959, art. 27, perché non si è di fronte ad alcuna attività estrattiva neppure ipotizzata, in quanto datore di lavoro e lavoratore avrebbero passeggiato semplicemente all'interno di un cantiere chiuso. I Giudici di merito avrebbero effettuato una ricostruzione errata dei fatti, avulsa dai riscontri probatori e fondata su mere congetture. Il Giudice di appello avrebbe fatto riferimento ad una violazione della residuale norma di chiusura, ma senza individuare alcuna condotta diversa che il C. avrebbe dovuto assumere, riconoscendo che il masso era immobile nella medesima posizione da oltre 130 giorni, che nessuna forza umana avrebbe potuto movimentarlo, che il V. si era solo avvicinato e che aveva avuto la sventura di trovarsi in corrispondenza della traiettoria al momento della sua improvvisa caduta. In tale contesto non ci sarebbe alcuna prova dell'esistenza del nesso causale tra la condotta tenuta dal C. e il sinistro, atteso che irrilevante sarebbe comunque la movimentazione del pietrame vicino al masso eventualmente effettuata dal V. con il palanchino, essendo la caduta del masso da ricondursi ad un complesso di condizioni assolutamente imprevedibili.

2) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192 c.p.p.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, mancata assunzione di prova decisiva al fine del decidere ex art. 606 c.p.p., lett. b ed e, in quanto il giudice di appello avrebbe effettuato un esame sommario degli elementi probatori, dai quali ha tratto il proprio convincimento, confermando la penale responsabilità del C. e trascurando la prospettazione difensiva a cui non ha dato alcun credito.

3) Violazione ed errata applicazione degli artt. 62 bis e 133 c.p..

Ingiustificata negazione delle attenuanti generiche in giudizio di prevalenza e/o equivalenza - art. 606 c.p.p., lett. e. Lamenta a tal proposito il ricorrente che i Giudici di merito non avrebbero spiegato compiutamente i motivi per cui gli avevano negato le attenuanti generiche, limitandosi ad accennare ad un suo precedente penale, che comunque non sarebbe tale da giustificare un giudizio di disvalore sulla sua personalità.


Tanto premesso, si osserva che il ricorso proposto per mancanza e manifesta illogicità della motivazione contrasta una decisione che si costruisce attraverso due motivazioni conformi. Le decisioni sono dunque un compendio motivazionale complesso, rispetto al quale non è dato di riconoscere la denunciata mancanza e illogicità della motivazione. Il ricorso che censura una mancanza di motivazione seleziona un percorso che si esonera dalla individuazione dei capi o dei punti della decisione cui si riferisce l'impugnazione ed egualmente si esonera dalla indicazione specifica degli elementi di diritto che sorreggono ogni richiesta. Le censure che investano la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione impongono una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza nel testo scritto dei vizi denunziati. Viceversa,la censura che denunzia la mancanza di motivazione ha il compito di far emergere una assenza, un vuoto di motivazione, cioè ha il compito di portare ad emersione ciò che manca e che esclude il raggiungimento della funzione giustificativa (della decisione adottata) di ogni motivazione. Una censura che denunzia mancanza di motivazione deve fornire specifica indicazione delle questioni precedentemente poste, specifica comparazione tra questioni proposte e risposte date, approfondita e specifica misurazione della motivazione impugnata per evidenziare come nonostante l'apparente esistenza di una compiuta motivazione si sia viceversa venuta a determinare la totale mancanza di motivazione, deve fornire attenta individuazione dei vuoti specifici che hanno determinato quella mancanza complessiva.

Tutto ciò non è rintracciabile nel ricorso del C.; che manca di qualsiasi considerazione per la confermata e integrata motivazione del Tribunale di Trento - Sezione distaccata di Cavalese da parte della Corte di Appello di Trento, costitutiva del complesso motivazionale censurato, e lungi dall'individuare specifici vuoti o difetti di risposta che costituirebbero la complessiva mancanza di motivazione, si duole del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumula fatti che intenderebbero ridisegnare il grave infortunio in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere, in tal modo, una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.

Nella sentenza oggetto di ricorso, appare infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto i Giudici della Corte di Appello di Trento a ritenere che il gravissimo infortunio si sia verificato a causa della condotta dell'imputato; che avrebbe dovuto prendere tutte le iniziative possibili per garantire la sicurezza all'interno della cava, che era pur sempre un cantiere di lavoro, nonostante durante l'inverno fossero rimaste sospese le attività. In primo luogo il C. avrebbe dovuto neutralizzare la pericolosità del masso in bilico, assestandone l'assetto fin dall'esplosione delle mine o, almeno, chiudendo la zona pericolosa, in attesa dell'intervento che doveva essere effettuato con macchinari adatti. Il C., invece, non fece nulla di tutto questo, ma anzi condusse sul posto l'operaio senza preoccuparsi di proteggerlo dal pericolo. I Giudici della Corte di Appello, poi evidenziano come sia risultato provato che il V. si sia recato sul luogo provvisto di attrezzi da lavoro,in quanto il palanchino era stato trovato a poca distanza dalla mano dell'operaio, schiacciato dal peso, mentre un badile e un piccone sono stato rinvenuti appoggiati alla parete del monte, da ciò potendosi desumere che egli stesse espletando una attività preparatoria al rovesciamento del masso.

Sulla base di queste argomentazioni, correttamente i Giudici della Corte di Appello confermavano la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato il C. responsabile del gravissimo infortunio, sia sul piano della colpa generica, in quanto il C. aveva omesso di prendere le opportune precauzioni affinché il V. non stazionasse nella zona pericolosa, sia sul piano della colpa specifica, in quanto egli, nella sua qualità di datore di lavoro, era tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c. a preservare l'incolumità fisica del dipendente.

Anche in merito alle attenuanti generiche appare corretta la motivazione dei Giudici della Corte di Appello, che le negano al C. in quanto egli ha un precedente specifico per contravvenzione, proprio in materia antinfortunistica.

Pertanto; né rispetto ai capi né rispetto ai punti della sentenza impugnata, né rispetto all'intera tessitura motivazionale, che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata assenza o manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorso proposto non va in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque esso è inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio.

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2500,00 oltre onorari come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010