REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico
Dott. DE RENZIS Alessandro
Dott. CURCURUTO Filippo
Dott. TOFFOLI Saverio
Dott. NOBILE Vittorio

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
S.P., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Camerino 15, presso lo studio dell'avv. Cipriani Giuseppe, che lo rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente, con gli avv. Imberbi Valentino del foro di Milano e Michele Cardone del foro di Torino per procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
R. G. S.R.L. in liquidazione e in concordato preventivo, in persone del liquidatore giudiziale Dott. S.S. e del liquidatore R.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giorgio Vasari n. 4, presso lo studio dell'Avv. Pietro Boria, rappresentata e difesa dall'Avv. Caffù Giovanni Enrico del foro di Vigevano per procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro
F. S. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio 42, presso lo studio dell'Avv. Vincenzo La Russa, che la rappresenta e difende per procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

per la cassazione della sentenza n. 29/06 della Corte di Appello di Milano del 20.12.2005/17.01.2006 nella causa iscritta al n. 867 del R.G. anno 2004;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20.01.2010 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;
udito l'Avv. Romolo Giuseppe Cipriani per il ricorrente, l'Avv. Gaeta Michele (per delega Avv. Giovanni Caffù) per la controricorrente R. G. e l'Avv. Anna Maria Petralia (per delega Avv. Vincenzo La Russa) per la controricorrente F.;
sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 3658 del 2003 respingeva la domanda proposta da S.P. nei confronti della sua datrice di lavoro R. G. S.r.l. per il risarcimento del danno biologico differenziale e del danno morale conseguente ad infortunio sul lavoro avvenuto il ***.

Il Tribunale rigettava la domanda formulata ex art. 2087 cod. civ., perché l'infortunio era avvenuto negli *** in locali di una impresa cliente e il ricorrente non era un tecnico, ma un impiegato addetto alle vendite.

Il giudizio si svolgeva anche nei confronti dalla F. A., chiamata in causa dalla convenuta R. G..

Proposto gravame da parte dello S., la Corte di Appello di Milano con sentenza n. 29 del 2006 dichiarava inammissibile la domanda nei confronti della F. e nel merito confermava la decisione di primo grado.

Quanto alla posizione della F. il giudice di appello osservava che la domanda di condanna di tale società era stata proposta per la prima volta in appello.

In punto di merito la Corte territoriale rilevava che nel ricorso di primo grado mancava l'allegazione di fatti addebitabili al datore di lavoro a titolo di colpa e quindi era anche assente l'indicazione delle regole violate.

Aggiungeva la Corte che anche nel ricorso in appello la narrazione delle modalità dell'infortunio era carente.

Lo S. ricorre per cassazione con unico articolato motivo, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resistono con distinti controricorsi le società R. G. e F..

Motivi della decisione

1. In via preliminare va disatteso il ricorso proposto nei confronti della F., in quanto non risulta impugnato il capo della sentenza di appello di dichiarazione di inammissibilità della domanda proposta dal ricorrente S. nei confronti di tale società.

2. Con l'unico motivo del ricorso lo S. deduce errata e falsa applicazione delle norme di diritto in materia di obbligo di sicurezza (art. 2087 cod. civ. e D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547), nonché vizio di motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare il ricorrente lamenta che il giudice di appello non ha proceduto ad una esatta e puntuale verifica dei fatti e ad una corretta applicazione dei principi interpretativi delle norme in materia di obbligo di sicurezza.

Aggiunge che la società R. G. concordò con la versione dei fatti descritta da esso S. e sull'esistenza dei presupposti (esistenza del danno, nocività dell'ambiente di lavoro e nesso di causalità) ai fini della riconducibilità dell'infortunio all'attività lavorativa.


Lo S. osserva ancora che nella situazione così delineata inammissibilmente il giudice di appello ha invertito l'onere della prova, pretendendo che fosse il lavoratore a provare le specifiche misure di sicurezza violate dalla datrice di lavoro.


Su quest'ultima, ad avviso del ricorrente, gravava anche l'onere di provare che il lavoratore si trovasse in trasferta e che fossero state adottate le necessarie e doverose misure di sicurezza, tanto più che nel caso di specie esso ricorrente sarebbe stato inviato in trasferta per il collaudo di macchinari intrinsecamente pericolosi.


Lo S. rileva ancora di essere stato esposto al rischio di funzionamento di macchine in collaudo prive di qualsiasi meccanismo di protezione (nel caso di specie macchina tranciasfridi) e di non avere posto in essere alcun comportamento abnorme od imprevedibile.

Tale motivo, che riguarda la posizione della controricorrente R. G., è infondato.

I giudici di appello hanno ritenuto che nel ricorso di primo grado mancasse l'allegazione dei fatti addebitabili al datore di lavoro a titolo di colpa e fosse assente anche l'indicazione delle regole violate; mentre nel ricorso in appello, integrati i fatti sotto il profilo delle mansioni svolte da S. e sul motivo della trasferta all'estero, la narrazione delle modalità dell'infortunio fosse rimasta la medesima.


Questa ratio decidendi, sorretta da adeguata e coerente motivazione, non risulta efficacemente contestata dal ricorrente, avendo escluso i giudici di appello, sulla base degli elementi forniti dal medesimo S., qualsiasi profilo di colpa della R. G. per un fatto avvenuto in locali di società estera, i cui pavimenti non erano puliti, ma coperti di sfridi, ossia di frammenti di plastica da lavorazione di celle frigorifere.

Nella delineata situazione le censure formulate in sede di legittimità non sono quindi ammissibili, giacché tendono a colmare le mancanze ed insufficienze rilevate dai giudici di merito, involgendo l'accertamento di questioni di fatto non prospettate o non del tutto indicate in sede di merito.

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.


Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo a favore di ciascuna delle società controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida, per ciascuna delle controricorrenti, in Euro 45,00 per R. G. e 16,00 per F. S. s.p.s. oltre Euro 2.000,00 per onorari ed oltre IVA. CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2010