REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido
Dott. DE RENZIS Alessandro
Dott. LA TERZA Maura
Dott. IANNIELLO Antonio
Dott. AMOROSO Giovanni

- rel. Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
T.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 131, presso lo studio dell'avvocato ZACCARIA GIUSEPPE, rappresentato e difeso dagli avvocati SANTELLI ERNESTO, CAPEZZERA MICHELE, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
- R.- ... S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
- C. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CORTINA D'AMPEZZO 65, presso lo studio dell'avvocato NOLA STEFANO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MANZOLI PAOLO, giusta mandato in calce al controricorso;

- controricorrenti -

contro
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ' CULTURALI SOPRINTENDENZA PER I BENI ARTISTICI E STORICI;

- intimato -

avverso la sentenza n. 119/2005 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 25/02/2005 R.G.N. 917/03;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 25/01/2010 dal Consigliere Dott. VIDIRI Guido;
udito l'Avvocato GIUSEPPE ZACCARIA per delega MICHELE CAPEZZERA;
uditi gli Avvocati NOLA STEFANO e SPADAFORA GIORGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con il ricorso al Tribunale di Milano T.F. conveniva in giudizio la s.r.l. C. ed il Ministro per i beni e le attività culturali esponendo di avere lavorato alle dipendenze della società dal 9 settembre 1991 come muratore specializzato e poi come caposquadra e di essersi gravemente infortunato il ***, mentre nell'eseguire una riparazione urgente delle vetrate del lucernario posto sul tetto della Pinacoteca di *** per il cedimento dei vetri era precipitato per cinque metri, cadendo su una sottosante trave di ferro e battendo la gamba sinistra.
Chiedeva quindi la condanna al risarcimento dei danni subiti sostenendo la responsabilità di entrambi i convenuti, quanto alla datrice di lavoro per non avere adottato le necessarie misure di prevenzione e quanto al Ministero perché soggetto che impartiva gli ordini in cantiere.

Il T. impugnava inoltre il licenziamento disposto dalla società per superamento del periodo di comporto chiedendo la riassunzione o l'indennità risarcitoria nella misura massima.

Dopo la costituzione della s.r.l. C., che aveva chiesto al giudice di essere autorizzata a chiamare in causa la R. ... per essere da questa mallevata in caso di condanna, e dopo la costituzione anche del Ministero, il primo giudice dichiarava infondato il ricorso relativamente alle domande inerenti il danno da infortunio, rilevava il difetto di prova da parte della società cui incombeva l'onere probatorio del superamento del periodo di comporto e condannava, per l'effetto, la società a riassumere il ricorrente in servizio o in mancanza a risarcirgli il danno nella misura di cinque mensilità.

A seguito di gravame principale del T. ed incidentale della società e del Ministero, che hanno impugnato il capo della decisione del Tribunale relativa alla declaratoria della illegittimità del licenziamento, la Corte d'appello di Milano con sentenza del 25 febbraio 2005, in parziale riforma della impugnata sentenza, rigettava anche la domanda relativa all'intimato licenziamento accolta invece in primo grado e dichiarava compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi.

Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava - per quanto interessa ancora in questa sede di legittimità - che, in base alle risultanze istruttorie ricavabili anche dalle dichiarazioni rese da alcuni testi nel corso del procedimento penale avviato a carico del legale rappresentante della C., andava esclusa per i fatti di causa ogni responsabilità della società e del Ministero, per ricavarsi da tale istruttoria che il T. era salito sui vetri del lucernaio della Pinacoteca di ***, compiendo una operazione di sua iniziativa, perché non richiesta né dal datore di lavoro né dal personale della stessa Pinacoteca.

Con riferimento al licenziamento del T. il giudice d'appello osservava che, a fronte della documentazione esibita dalla società, che attestava il numero delle assenze del lavoratore ed il superamento per tali assenze del periodo di comporto, incombeva al lavoratore provare la illegittimità del computo effettuato da controparte ovvero che le assenze non erano collegate a fatti comportamentali imputabili al datore di lavoro. Il T. aveva invece contestato le affermazioni di controparte con osservazioni generiche, sicché la sua domanda volta a far valere l'illegittimità del licenziamento andava rigettata.

Avverso tale sentenza T.F. propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria.

Resistono con controricorso la s.r.l. C. e la s.p.a. R., che ha depositato memoria.

Non si è costituito il Ministero per i beni e le attività culturali.

Motivi della decisione

Con i primi tre motivi del ricorso il T. impugna la sentenza della Corte d'appello di Milano nella parte relativa alla ricostruzione dell'infortunio per cui è causa, denunziando difetto di motivazione e violazione di norme processuali e sostanziali (artt. 184 bis e 294 c.p.c.; art. 2087 c.c. nonché D.P.R. n. 164 del 1956, art. 10).
In particolare il ricorrente lamenta che il giudice d'appello ha errato nel rimettere in termini la società consentendole di dimostrare il suo assunto nonostante che il verificarsi della decadenza dalle prove fosse imputabile ad essa soltanto.
Rileva inoltre il T. che il giudice d'appello, in relazione alla causa dell'infortunio, ha operato una non coerente valutazione delle dichiarazioni dei testi escussi ed evidenzia, infine, che è stata omessa nella sentenza impugnata la motivazione sull'effettiva causa dell'infortunio che, nel caso di specie, doveva farsi risalire al fatto che la corda allacciata per evitare il rischio di cadute, era stata recisa da una lastra di vetro perché inidonea ad impedire il pericolo di danni alla persona.


Gli esposti motivi - da esaminarsi congiuntamente per comportare la valutazione di questioni tra loro strettamente connesse - vanno rigettati perché privi di fondamento.

La Corte d'appello di Milano - sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi e dando particolare rilievo agli atti del giudizio penale instaurato per i fatti oggetto della presente controversia - ha concluso, confermando sul punto quanto ritenuto dal primo giudice, e cioè che il T. era salito sui vetri del lucernario della Pinacoteca di ***, agendo di propria iniziativa, compiendo in tal modo una operazione non richiesta né dal datore di lavoro né dal personale della suddetta Pinacoteca.

Ed invero - ha aggiunto il giudice d'appello a conforto del suo assunto - il contratto che vincolava la società C. prevedeva soltanto la revisione del tetto con la rimozione e sostituzione delle tegole rotte, escludendo qualsiasi intervento sulle vetrate, per il quale di regola deve farsi ricorso ad un vetraio, e cioè ad un operaio specializzato ed ad un muratore, capaci di assolvere a tale compito.
L'esclusione del nesso di causalità portava, quindi, ad escludere che potesse configurarsi una operatività dell'art. 2087 c.c., che vincola il datore di lavoro nell'ambito di una attività comandata o comunque compresa nell'incarico affidato.
La motivazione della Corte d'appello di Milano, sebbene succinta, si presenta ugualmente congrua, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici in materia antinfortunistica sicché si sottrae ad ogni censura in questa sede di legittimità.
Ed invero, la ritenuta esclusione del nesso di causalità rende privo di alcun rilievo ogni accertamento circa l'inidoneità della corda cui era allacciato il T. e di tutte le altre modalità riguardanti il verificarsi dell'incidente, che è stato fatto risalire, come detto, ad una iniziativa personale del lavoratore alla quale sono rimasti estranei gli attuali controricorrenti.

Né può comportare alcuna ricaduta sul presente giudizio la doglianza volta a denunziare la mancata declaratoria di decadenza dalle prove, eccepita dall'attuale ricorrente.

Ed invero come emerge dagli atti processuali, la società C. è stata rimessa in termine per provare la effettiva causa dell'infortunio e ciò si è verificato nel pieno rispetto del principio più volte affermato da questa Corte di Cassazione, secondo cui nel rito del lavoro le decadenze e le preclusioni possono essere superate sulla base del potere istruttorie d'ufficio del giudice di cui all'art. 421 c.p.c. - e, in appello dell'art. 437 c.p.c., comma 2, - nel caso in cui il giudice, sulla base di un potere discrezionale, non valutabile in sede di legittimità, ritenga tali mezzi di prova, non indicati dalle parti tempestivamente, comunque ammissibili perché rilevanti ed indispensabili ai fini della decisione (cfr. tra le tante : Cass. 13 marzo 2009 n. 6188 cui add. da ultimo Cass. 2 ottobre 2009 n. 21124, che evidenzia come i poteri d'ufficio del giudice del lavoro siano rivolti a contemperare il principio dispositivo con l'esigenza della ricerca della "verità materiale").
Non merita accoglimento neanche il terzo motivo del ricorso con il quale si addebita alla impugnata sentenza di non avere tenuto conto, ai fini del superamento del periodo di comporto, dei periodi di malattia ed infortunio dovuto alla violazione del dovere di sicurezza ai sensi dell'art. 2087 c.c..

Il giudice d'appello ha affermato che era pacifico tra le parti che il numero delle assenze era superiore a quello previsto dal contratto collettivo per la conservazione del posto e che doveva escludersi l'erroneità del calcolo per essere lo stesso stato contestato dal lavoratore con osservazioni generiche.
A fronte di tale assunto il ricorso per cassazione si presenta privo del requisito dell'autosufficienza perché, oltre a non essere in esso riportata la clausola del contratto collettivo regolante il comporto, nessuna indicazione vi è in ordine al numero ed alla durata delle assenze dovute per malattia o infortunio né sulla causale delle stesse ma si adduce nuovamente che alla prova del superamento del periodo numero si era pervenuto sulla base di una prova documentale dalla quale era la società decaduta; deduzione questa che non tiene nel dovuto conto dei poteri d'ufficio del giudice del lavoro e della già ricordata giurisprudenza consolidatasi sull'esercizio di detti poteri e sui suoi effetti.

Ricorrono giusti motivi - tenuto conto dell'esito della controversia nei due gradi di merito nonché della natura di detta controversia e delle questioni trattate - per compensare tra le parti costituite le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa tra le parti costituite le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010