REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo
Dott. AMOROSO Giovanni
Dott. BANDINI Gianfranco
Dott. DI CERBO Vincenzo
Dott. NOBILE Vittorio

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
RAI - RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell'avvocato BOURSIER NIUTTA CARLO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
C.R.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 6598/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/12/2005 R.G.N. 2859/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/03/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per accoglimento per quanto di ragione.

Svolgimento del processo

1. C.R., dipendente della RAI - Radiotelevisione Italiana s.p.a. si rivolse al Tribunale di Napoli in funzione di giudice del lavoro con ricorso depositato in data 11/6/99 esponendo che in data 19/12/96, mentre prestava servizio nella rivestita qualità di ausiliario di riprese presso il centro di produzione RAI di Napoli, aveva ricevuto un colpo al capo cagionato dalla caduta di una staffa nel corso dello svolgimento del montaggio luci, cui era addetto un operaio specializzato che operava mediante l'uso di un carrello elevatore. Nel rilevare che l'infortunio subito era ascrivibile alla condotta colposa del datore di lavoro, il quale non aveva predisposto le cautele necessarie per l'espletamento della attività, convenne in giudizio la RAI s.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito per effetto della inabilità temporanea totale e parziale, da inabilità permanente, del danno biologico e del danno morale.
Costituitasi in giudizio, la società contestò il fondamento del ricorso con diffuse argomentazioni, chiedendo che la domanda fosse respinta.
Venne espletata attività istruttoria mediante il libero interrogatorio delle parti, l'escussione di alcuni testi, e l'espletamento di accertamenti medico-legali, quindi con sentenza 7/1/02 il Tribunale accolse parzialmente il ricorso, condannando la società alla corresponsione, in favore di controparte, della somma di L. 6.125.000 a titolo di risarcimento del danno biologico e del danno morale - sul presupposto che il danno patrimoniale connesso alla riduzione della capacità lavorativa rientrasse nella sfera di tutela correlata all'intervento dell'INAIL - e compensò per metà le spese di lite fra le parti, ponendo il residuo a carico della Rai.

2. Avverso tale pronuncia, con ricorso depositato in data 23/12/02 ha interposto gravame la società che ha contestato la fondatezza della decisione sotto il profilo della omessa considerazione da parte del giudice di prima istanza, dell'intervenuta interruzione del nesso causale ascrivibile alla condotta colposa del lavoratore, della carenza di prova del danno biologico e della insussistenza dei presupposti per la risarcibilità del danno morale. Sulla scorta di tali premesse, ha concluso per la riforma dell'impugnata sentenza con integrale rigetto delle domande formulate in prime cure.
Ritualmente instaurato il contraddittorio, si è costituito il C. che ha resistito con diffuse argomentazioni al gravame deducendone l'infondatezza e chiedendone il rigetto.
Nel contempo ha spiegato appello incidentale onde conseguire, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, l'integrale accoglimento delle domande tutte formulate in prime cure.

3. Con sentenza del 25.10-16.12.2005 la Corte d'appello di Napoli ha rigettato l'appello principale e quello incidentale compensando tra le parti le spese del grado.

4. Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione la RAI con due motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.
Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver considerato che erano state impartite concrete istruzioni al lavoratore che, se osservate, avrebbero evitato l'incidente. La società ricorrente lamenta che l'impugnata sentenza, in punto di accertamento di una piena responsabilità a carico dell'azienda, avrebbe errato non ritenendo l'ascrivibilità esclusiva dell'infortunio in questione, al comportamento negligente del lavoratore, il quale si sarebbe spostato sul luogo di lavoro, omettendo di prestare la dovuta attenzione alle operazioni tecniche in corso.
Con il secondo motivo di ricorso la società censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha riconosciuto al lavoratore il risarcimento del danno morale pur mancandone i presupposti perché la Corte d'appello non ha accertato la ricorrenza degli estremi di reato (art. 185 c.p.).

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Le censure della ricorrente afferiscano alla valutazione delle risultanze processuali che ha condotto i giudici di merito, d'appello e di primo grado, a ritenere da una parte sussistente l'infortunio sul lavoro e d'altra parte non raggiunta la prova liberatoria (di esclusione di ogni colpa) da parte della società datrice di lavoro.

Si tratta di tipiche valutazioni di merito non censurabili in sede di legittimità avendo la Corte d'appello offerto una motivazione sufficiente e non contraddittoria.

D'altra parte il ricorrente non indica elementi di contraddittorietà nella sentenza impugnata che, nel valutare in fatto le risultanze istruttorie, è correttamente partita in diritto al principio - più volte affermato da questa Corte (Cass., sez. lav., 28 luglio 2004, n. 14270) secondo cui, in caso di infortunio sul lavoro, il lavoratore che si infortuni in occasione della utilizzazione di un macchinario cui è addetto, ha l'onere di provare il danno e l'esistenza del nesso causale tra l'utilizzazione del macchinario ed evento dannoso; la colpa del datore di lavoro può essere esclusa allorché quest'ultimo dimostri di aver adottato, ex art. 2087 c.c., tutte le misure che, in considerazione della peculiarità della attività e tenuto conto dello stato della tecnica, siano necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore, vigilando altresì sulla loro osservanza; per contro, il comportamento del lavoratore è idoneo ad escludere il rapporto causale tra inadempimento del datore di lavoro ed evento, esclusivamente quando detto comportamento sia autosufficiente nella determinazione dell'evento, ovvero che rivesta il carattere dell'abnormità per essere assolutamente anomalo ed imprevedibile.

3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Dalla responsabilità della società datrice di lavoro in ordine all'evento infortunistico occorso al dipendente la Corte d'appello ha correttamente fatto discendere l'obbligo di risarcimento del danno biologico nonché di quello morale.
Sostiene la società ricorrente che la norma di cui all'art. 2059 c.c., si applicherebbe solo quando all'illecito civile, costituente anche reato, consegue anche un danno morale subiettivo, osservando che nel caso di specie, sarebbe mancata la dimostrazione da parte del danneggiato, degli elementi costitutivi del presunto reato di cui sarebbe stato vittima, alla quale la disposizione codicistica annette la descritta tutela risarcitoria.
Questa tesi in diritto non è fondata avendo la Corte d'appello fatto corretta applicazione dei più recenti principi giurisprudenziali affermati da questa Corte (Cass., sez. 3^, 31 maggio 2003, n. 8828) che ha affermato che deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale soggiaccia al limite di cui all'art. 2059 c.c. e art. 185 c.p., allorché vengano lesi valori della persona costituzionalmente garantiti; pertanto è risarcibile con liquidazione equitativa il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto consistente nella perdita definitiva del rapporto parentale. Cfr. anche Cass., sez. 3^, 31 maggio 2003, n. 8827, che ha ulteriormente precisato che l'unica possibile forma di liquidazione di ogni danno privo, come il danno morale, delle caratteristiche della patrimonialità è quella equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico.
C'è poi da considerare l'ultimo arresto della giurisprudenza sul danno non patrimoniale. Le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972) hanno infatti precisato che il danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., non può essere suddiviso in diverse pretese risarcitorie, ma va considerato essenzialmente come unicum; il danno non patrimoniale è quindi risarcibile unicamente nei casi di violazione di diritti costituzionalmente qualificati. Da una parte è stata esclusa nel nostro ordinamento l'autonoma categoria di "danno esistenziale", inteso quale generale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti- reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione.
D'altra parte, in particolare, quanto al danno non patrimoniale da lesione della salute, le Sezioni Unite nella citata pronuncia hanno affermato che questo costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, che copre sia il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva (pur se quest'ultimo non costituisce categoria autonoma), come pure il danno c.d. estetico, quello alla vita di relazione e quello c.d. esistenziale.

Quindi nel caso di danno all'integrità fisica del lavoro non occorre che ricorrano i presupposti di cui all'art. 185 c.p. perché sia risarcibile il danno non patrimoniale, nella specie identificato nella sommatoria di danno biologico e di danno morale.
È vero che la citata pronuncia ritiene preclusa ogni duplicazione di risarcimento con la congiunta attribuzione del danno morale e del danno biologico, ma poi precisa che il danno morale soggettivo può costituire una voce del danno biologico e che comunque il giudice deve procedere ad adeguata "personalizzazione" della liquidazione del danno biologico. Quindi, seppur sotto forma di "voci" distinte, ben ha fatto la Corte territoriale a risarcire sia il danno biologico (all'integrità fisica) sia il danno morale soggettivo (la sofferenza per l'ingiuria fisica subita) essendo riferibili ad un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito.

3. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese di questo giudizio di Cassazione non avendo la parte intimata svolto alcuna difesa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di Cassazione.