REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico
Dott. MONACI Stefano
Dott. DI NUBILA Vincenzo
Dott. IANNIELLO Antonio
Dott. MELIADÓ Giuseppe

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell'avvocato GHERA EDOARDO, rappresentato e difeso dall'avvocato CAZZATO STEFANIA, giusta mandato in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro
I. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO, rappresentata e difesa dall'avvocato SCHIAVONE ENRICO CLAUDIO;

- controricorrente -

e contro
F. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato MARESCA ARTURO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO, giusta procura speciale atto notar ENRICO PARENTI di Roma del. 15/01/07, rep. 90490;

- resistente con procura -

avverso la sentenza n. 185/2005 della SEZ. DIST. CORTE D'APPELLO di TARANTO, depositata il 22/10/2005 r.g.n. 172/04;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 10/11/2009 dal Consigliere Doti. IANNIELLO Antonio;
udito l'Avvocato CHERA FEDERICO per delega CAZZATO STEFANIA;
udito l'Avvocato EOCCIA FRANCO per delega ENRICO CLAUDIO SCHIAVONE per (I.) e avv. BOCCIA FRANCO per F.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 22 ottobre 2005, la Corte d'appello di Lecce ha confermato la sentenza dell'8 luglio 2003, con la quale il giudice del lavoro di Taranto aveva respinto le domande svolte con ricorso del 9 maggio 2000 da B.G. nei confronti della I. s.p.a. e della F. s.p.a., dirette ad ottenere il risarcimento del danno biologico conseguente alla ipoacusia contratta, secondo il lavoratore, a causa della mancata adozione da parte della datrice di lavoro I. delle misure - idonee a ridurre la rumorosità presente nel luogo di lavoro - di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, al D.Lgs. n. 277 del 1991 e alla disposizione di carattere generale di cui all'art. 2087 c.c. nonché per la violazione del generale precetto di neminem ledere di cui all'art. 2043 c.c..
In proposito, la Corte ha confermato la valutazione del giudice di primo grado relativa al fatto che con una quietanza liberatoria sottoscritta al termine del rapporto di lavoro (e non tempestivamente impugnata, ai sensi dell'art. 2113 c.c.) l'appellante avrebbe in realtà rinunciato anche al diritto al risarcimento del danno per violazione degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c., sostenendo tale valutazione col rilievo che nella cd. quietanza era espressamente menzionata la rinuncia ai danni ex art. 2087 c.c. e con la considerazione che alla data della rinuncia (1995) il lavoratore era già consapevole di avere contratto la ipoacusia da rumore di origine professionale, come sarebbe dimostrato dal fatto che nel 1994 aveva all'uopo presentato domanda di rendita vitalizia all'INAIL, ottenendola poi nel 1999.

Avverso tale sentenza propone ora ricorso per Cassazione B. G. con tre motivi.

Resiste alle domande la I. con rituale controricorso, illustrato poi con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., mentre la F. s.p.a., regolarmente intimata, ha depositato la procura ai propri difensori, che hanno poi discusso la causa all'odierna udienza.

Motivi della decisione

1 - Col primo motivo di ricorso, la difesa di B.G. deduce la violazione dell'art. 1362 c.c. e segg., nonché la contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla interpretazione della quietanza al saldo.

Il tenore letterale di tale quietanza, riprodotto in ricorso, sarebbe stato infatti disatteso dalla Corte territoriale, la quale non avrebbe rilevato che questo non includeva affatto la rinuncia al diritto azionato dal ricorrente.

Da qui la violazione del criterio testuale di interpretazione dei contratti e dei negozi unilaterali recettizi.

Inoltre, la Corte territoriale, se fosse stata veramente convinta che il testo della quietanza contenesse la rinuncia al diritto azionato, avrebbe dovuto secondo il ricorrente, concludere la sua interpretazione del contratto sulla sola base del dato letterale; viceversa, i giudici avrebbero in maniera contraddittoria proseguito le loro argomentazioni facendo ricorso da un altro criterio interpretativo, quello relativo al comportamento del sottoscrivente anteriore alla sottoscrizione.
D'altronde, il fatto che il ricorrente avesse nel 1994 fatto richiesta di rendita all'INAIL non sarebbe significativo sul piano interpretativo (del fatto che fosse consapevole della responsabilità del datore di lavoro in ordine alla causazione della malattia) quanto lo sarebbe viceversa il fatto che egli non a-veva proposto domanda di risarcimento danni all'I. al momento della sottoscrizione nel 1995 della c.d. quietanza a saldo (e quindi ignorava che del danno subito fosse responsabile l'impresa).

2 - Col secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 1342 c.c. e il vizio di motivazione della sentenza impugnata.
A fronte di una quietanza dal contenuto generico, la sentenza non riuscirebbe a dimostrare che il lavoratore fosse consapevole del proprio diritto e intendesse rinunciarvi.

La Corte avrebbe travisato il concetto di determinatezza e/o determinabilità dell'oggetto della pretesa rinuncia nonché quello della analiticità dei titoli oggetto del preteso negozio abdicativo.

Il testo della quietanzala l'altro su di un modulo predisposto dalla società) si esprimerebbe infatti in termini di danni eventuali, il che significherebbe che non si fa riferimento ad una specifica pretesa avanzata nei confronti della società, ma a tutte le possibili pretese dei dipendenti I..
Mancherebbe nella quietanza anche l'indicazione della somma a cui il lavoratore avrebbe rinunciato, eventualmente desumibile anche solo dalla percentuale di invalidità coinvolta.
Del resto, la somma, del percepimento della quale la quietanza da atto, sarebbe quella e solo quella spettante al lavoratore al termine del rapporto.
In proposito, il ricorrente fa riferimento ad una serie di decisioni di questa Corte, che imporrebbero un estremo rigore nella valutazione della volontà abdicativa del lavoratore in sede di sottoscrizione delle c.d. quietanze a saldo (Cass. nn. 9407/01, 8921/87, 3872/78, 6615/87, 10762/94).

3 - Col terzo motivo di ricorso, la difesa del B. denuncia l'omessa e insufficiente motivazione della sentenza impugnata, laddove nella valutazione complessiva del significato delle espressioni usate nella quietanza a saldo avrebbe trascurato le seguenti circostanze:
a) il contesto in cui è avvenuta la firma, vale a dire il ritiro della liquidazione finale, in uno spirito che non era certamente di rinuncia ad alcunché;
b) il fatto che il documento sia un modulo a stampa predisposto dal datore di lavoro e;
c) che era stato firmato da un lavoratore isolato e non assistito.
Il ricorso conclude con la richiesta di annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.
Il ricorso, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente, in quanto tra di loro connessi, è fondato.
In via di premessa, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'interpretazione di una norma contrattuale è operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, come tale riservato al giudice di merito e pertanto incensurabile in cassazione se non per vizi attinenti ai criteri legali di ermeneutica contrattuale o ad una motivazione carente o contraddittoria nello svolgimento delle relative argomentazioni.
In proposito, va ribadito che i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale, secondo questa Corte, quelli strettamente interpretativi (artt. 1362 e 1365 c.c.) prevalgono su quelli interpretativi - integrativi (artt. 1366 e 1371 c.c.) ove la concreta applicazione degli stessi risulti da sola sufficiente a rendere pienamente conto della comune intenzione delle parti (cfr., al riguardo, ex plurimis, Cass. 9 febbraio 2006 n. 9553).

Nell'ambito dei canoni strettamente interpretativi risulta poi, nella legge, prioritario il criterio fondato sul significato letterale delle parole, di cui all'art. 1362 c.c., comma 1, con la conseguenza che questo può in alcuni casi orientare in maniera conclusiva, da solo, l'operazione ermeneutica.
Non va peraltro taciuto che il dato letterale della norma possa risultare ambiguo, per cui si renda necessario ricorrere agli altri canoni strettamente interpretativi, in particolare a quello di cui all'art. 1363 c.c. e, in caso di insufficienza, a quelli interpretativi - integrativi (cfr., per tutte, Cass. 28 agosto 2007 n. 18180 e 10 marzo 2008 n. 6366).
Con riguardo alla individuazione della volontà abdicativa nelle c.d. quietanze a saldo o liberatorie sottoscritte dal lavoratore al termine del rapporto, questa Corte ha peraltro ripetutamente confermato che esse costituiscono di regola la semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti (concretando pertanto una dichiarazione di scienza: cfr. ad es. Cass. 4 maggio 1999 n. 4442).

Ove tale quietanza contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme, va ribadito che è necessaria la massima cautela nella ricerca della reale volontà abdicativa, in ragione del contesto normale in cui tali quietanze vengono sottoscritte (al termine del rapporto di lavoro, all'atto della ricezione delle spettanze finali e su di un testo predisposto dal datore di lavoro etc), obiettivamente idoneo ad attenuare o escludere la consapevolezza del dipendente in ordine al carattere impegnativo o meno della dichiarazione (cfr. diffusamente, la giurisprudenza di questa Corte citata dal ricorrente).

Pertanto ove la dichiarazione di rinuncia a maggiori somme sia "riferita, in termini generici, a titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto", essa "può assumere valore di rinuncia ... alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre circostanze desumibili aliunde, che essa è stata rilasciata con la consapevolezza della esistenza di diritti determinati o obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi" (cfr., per tutte, Cass. 17 maggio 2006 n. 11536).
Nel caso in esame, la Corte territoriale non si è attenuta a tali regole nella individuazione della eventuale volontà abdicativa del B., quale espressa con la dichiarazione riprodotta in ricorso, del seguente tenore, "Io sottoscritto... dichiaro di aver ricevuto dalla I.... a seguito della risoluzione del mio rapporto di lavoro la somma globale lorda di lire ... . Prendo inoltre atto che nella somma suddetta è compreso l'importo di L. ... già corrisposto a titolo di anticipo di t.f.r.. Mediante la corresponsione della sopra citata somma di I. delle quali rilascio quietanza finale e liberatoria, dichiaro di essere tacitato dalla I.... anche in via di transazione, stralcio e rinuncia di ogni mio credito o altra ragione o diritto verso la società stessa con specifico riferimento all'applicazione degli accordi aziendali del 26 maggio 1972 e 20 maggio 1989, alla misura e al calcolo del trattamento di fine rapporto, ivi compresa l'indennità di anzianità maturata alla data del 31 maggio 1982 e con riferimento altresì ad emolumenti arretrati, indennità e compensi, anche per lavoro straordinario, spettantimi in dipendenza del mio rapporto di lavoro e della sua risoluzione avvenuta ed accettata in data 30 settembre 1995 nonché a quelli relativi ad eventuali danni ex artt. 1124, 2087, 2116 c.c. e ex art. 429 c.p.c., comma 3 per modo che null'altro ho da pretendere dalla società medesima a qualsiasi titolo e causa".

Ed invero i giudici di appello, dichiarando apoditticamente che il testo della dichiarazione indicherebbe chiaramente l'intento abdicativo del lavoratore e che ciò sarebbe confermato che alla data della sottoscrizione questi era a conoscenza del fatto di aver contratto una malattia professionale, per la quale aveva già richiesto all'INAIL la relativa rendita, hanno in realtà trascurato di analizzare compiutamente anzitutto il dato letterale della dichiarazione interpretata, che coniuga termini normalmente indicativi di una dichiarazione di scienza ("dichiara di essere stato tacitato") a causali molteplici e indicate in maniera congiunta, sebbene abbiano un effetto sovrapponibile ("anche in via di transazione" - della quale peraltro non risulta dalla quietanza l'aliquid retentum -, "stralcio e rinuncia"), il tutto con riferimento, per quanto qui interessa, a diritti risarcitori indicati solo con numeri di articoli del codice civile e per giunta qualificati come eventuali (per un caso analogo, cfr. Cass. 18 aprile 2008 n. 10218).

L'insufficienza nell'analisi del testo della dichiarazione contenuta nella quietanza ha altresì impedito alla Corte, ove di esso avesse conseguentemente ritenuto l'ambiguità di significato, di valutare nel suo complesso la quietanza medesima nonché il contesto in cui essa era stata sottoscritta dal lavoratore, dando eventualmente il giusto rilievo anche alla circostanza che alla data della sottoscrizione il B. aveva presentato domanda all'INAIL della rendita vitalizia per malattia professionale, ma non aveva svolto alcuna richiesta, neppure informale, di risarcimento danni alla datrice di lavoro in relazione a tale malattia.

La rilevazione degli errori nell'applicazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e delle omissioni commesse dalla Corte territoriale nella interpretazione della dichiarazione in parola fonda la decisione di accoglimento del ricorso, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla corte d'appello di Potenza.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Potenza.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2009