REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele
Dott. FILADORO Camillo
Dott. FEDERICO Giovanni
Dott. SPIRITO Angelo
Dott. LANZILLO Raffaella

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
C.S. ***, C.M. ***, C.G. ***, elettivamente domiciliati in Roma, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'Avvocato BERTOLIO GABRIELE in 20122 MILANO, VIA POMPEO LITTA 2, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrenti -

e contro
V.A. SRL ***;

- intimato -

e sul ricorso n. 18790/2007 proposto da:
V.A. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, Sig. V.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 1, presso lo studio dell'avvocato NAPOLI SALVATORE ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- ricorrente -

e contro
C.G., C.S., C.M.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 898/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 28/10/2005, depositata il 26/05/2006 R.G.N. 881/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2010 dal Consigliere Dott. FILADORO Camillo;
udito l'Avvocato BERTOLIO GABRIELE;
udito l'Avvocato NAPOLI SALVATORE ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

Con sentenza 28 ottobre 2005 - 26 maggio 2006 la Corte di appello di Torino confermava la decisione del Tribunale di Novara, che aveva rigettato la domanda di C.G., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale sulle figlie minori M. e C.S., intesa ad ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla morte del loro marito, e padre, C.M., deceduto a seguito di una caduta dall'albero che egli era stato incaricato di tagliare.

Nell'atto di citazione, la attrice aveva dedotto che in data ***, il marito era deceduto a seguito dei traumi riportati dopo essere precipitato al suolo nel corso delle operazioni di abbattimento di un grosso cedro, nella proprietà di M.G., in ***.

La vedova del C. aveva convenuto in giudizio la s.r.l. V., società che in quella occasione aveva assunto l'appalto del lavoro e messo a disposizione due autogrù ed i tecnici relativi (tra i quali, appunto il C.). L'attrice aveva sostenuto che una responsabilità, esclusiva, prevalente, o concorrente doveva essere addebitata alla società convenuta, considerato che i mezzi forniti non erano idonei allo scopo.

La gru recante il cestello porta - operai alla sommità, infatti, aveva il braccio troppo corto (20 metri contro i circa 30 metri dell'albero alla sua sommità).

Ciò aveva costretto il C. ad uscire dal cestello per effettuare il taglio dell'apice della pianta, assicurandosi imprudentemente ad un grosso ramo situato più in basso del livello del taglio.

Per un probabile errore nella valutazione del punto di taglio e del conseguente baricentro del segmento di tronco tagliato, la sommità del cedro, separata dal resto del tronco, non aveva potuto subire il procedimento di "ramatura" ed, invece di restare saldamente sospesa al gancio, si era improvvisamente e parzialmente ribaltata, spezzando in tal modo il ramo a cui era assicurato il C., che era precipitato a terra, decedendo sul colpo.

La società V., costituendosi in giudizio, aveva chiesto il rigetto della domanda, rilevando che la dinamica del sinistro rendeva chiaro che la responsabilità dell'incidente era da addebitare unicamente alla vittima, la quale imprudentemente - e di sua sola iniziativa - era uscita dal cestello porta - operai per effettuare il taglio e le operazioni preliminari ad esso, effettuando manovre al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte del personale della stessa V., che era rimasto a terra, senza poter intervenire nella operazione del taglio dell'albero.

Il Tribunale di Novara, con la sentenza sopra richiamata (16 agosto 2002), respingeva la domanda, compensando le spese di causa.

La Corte di Appello di Torino rigettava sia l'appello principale proposto dalla C.G. e dalle figlie, che l'appello incidentale, relativo alla compensazione delle spese, disposta dal giudice di primo grado.

I giudici di appello, dopo aver rilevato che il C. era un lavoratore autonomo, dotato della necessaria esperienza, concludeva che l'incidente era da imputare alle scelte esclusive del C., che aveva deciso di uscire dal cestello provvedendo alla determinazione del punto in cui operare il taglio e successivamente di quello a cui ancorare la imbracatura.

Il C. aveva operato in piena autonomia, non essendo dipendente della impresa V. che si era limitata a fornire le due autogrù.

Il titolare della impresa aveva raccomandato, da parte sua, di rimanere all'interno del cestello.

Il perito nominato in sede penale aveva affermato che i mezzi utilizzati erano sostanzialmente idonei, per portata, sbracio ed altezza, allo scopo cui erano destinati, oltre che forniti di regolare documentazione.

Attesa la assoluta indipendenza del C., sarebbe stato quest'ultimo a non dover effettuare il lavoro, sottolineando la inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione, posto che il V. non aveva un controllo sui lavori medesimi, ma aveva semplicemente messo a disposizione i propri macchinari.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la C.G. con quattro distinti motivi.
Resiste la V. s.r.l. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale. La società ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Deve innanzi tutto disporsi la riunione dei due ricorsi, proposti contro le medesime decisioni.

Con il primo motivo la ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. in relazione all'art. 1655 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

Il C. era subappaltatore, appaltatrice la impresa V.. Poiché questa ultima aveva partecipato in modo attivo e preponderante alla realizzazione dell'opera, fornendo macchine ed attrezzature, il C. si era limitato a fornire la propria manodopera, disponendo come unico mezzo della propria motosega. Egli era, in sostanza, privo di qualsiasi autonomia.

Il quesito di diritto formulato dalla ricorrente, principale è il seguente: "Posto che l'appaltatore, avendo predisposto i mezzi ed il personale necessari per la esecuzione dell'opera, ha affidato ad un lavoratore autonomo la esecuzione di parte dell'opera stessa, se il medesimo appaltatore sia onerato dell'obbligo di apprestamento delle condizioni di sicurezza del lavoro e di controllo che le stesse siano di tutela della integrità fisica di tutti i lavoratori, compreso il lavoratore autonomo, nonché di impedire la utilizzazione delle proprie attrezzature, se insufficienti a tali scopi".

Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2050 c.c. in relazione all'art. 1655 c.c. ed all'art. 41 c.p., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

L'operazione di taglio di un albero di tali dimensioni, effettuata pezzo a pezzo con una motosega, peraltro senza l'ausilio di un ponte mobile, era certamente da qualificare come attività pericolosa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2050 c.c..
Pertanto, l'appaltatore non poteva procedere o consentire la prosecuzione delle operazioni, nell'evidenza di una situazione di grave pericolo, quale era quella costituita dal fatto che il C. operava fuori del cestello per eseguire il taglio, abbarbicato alla parte terminale dell'albero, tra l'altro non visibile dal basso.

Il motivo conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Posto che l'appaltatore ha i mezzi ed il personale necessari per la esecuzione dell'opera, affidando ad un lavoratore autonomo l'esecuzione di parte della stessa - la quale è manifestamente qualificabile come attività pericolosa per sua natura e per i mezzi adoperati - se lo stesso appaltatore possa essere esentato dalla responsabilità per l'evento mortale occorso al lavoratore autonomo".

Con il terzo motivo la ricorrente principale deduce omessa, insufficiente e contraddittoria su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5".

La conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale -secondo la quale dalla consulenza tecnica di ufficio era risultato che le irregolarità amministrative non incidevano sulla funzionalità dei medesimi - si ponevano in contrasto con gli accertamenti della polizia, che avevano condotto alla contestazione della seguente infrazione al titolare della impresa V.: violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 184 in quanto il cestello portamateriali, sollevato dall'autogrù, marca C., era stato utilizzato per la esecuzione di lavori, in luogo di una piattaforma di lavoro o di un ponte mobile, e non erano state adottate idonee misura precauzionali.

Non vi era dubbio che la infrazione avesse diretta incidenza sulla dinamica delle operazioni e dunque sull'infortunio mortale. Con un ponte mobile sviluppabile il C. avrebbe potuto certamente raggiungere la posizione di lavoro in modo sicuro, raggiungendo un punto più elevato per imbracare la cima del cedro. In ogni caso, se l'appaltatore avesse fornito al C. una apparecchiatura di sollevamento rispondente al dettato normativo, sarebbe stato impossibile procedere con le modalità operative malauguratamente adottate (cestello stabile e bloccato).

In ogni caso, un indispensabile coordinamento per l'azionamento delle gru e degli addetti al taglio avrebbe dovuto impedire la impropria determinazione del baricentro di cima.

In definitiva, proprio i mezzi forniti dalla V.A., le modalità di impiego degli stessi e la organizzazione ed il coordinamento dei lavori operati dalla azienda appaltante non erano risultati non idonei a permettere uno svolgimento sicuro delle operazioni di taglio dell'albero, in conformità delle normative di sicurezza vigenti in materia.

Per questo motivo, non era assolutamente condivisibile la affermazione conclusiva - contenuta nella sentenza impugnata - secondo la quale la responsabilità dell'accaduto era da ascrivere esclusivamente ad un errore di valutazione del C..

Con il quarto motivo del ricorso principale è denunciata violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 181, 169 e 184 in relazione all'art. 2043 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

Le funi e le gru cui le stesse erano collegate appartenevano alla società V.A. ed erano manovrate da personale dipendente della stessa: di conseguenza le verifiche che il tutto non violasse le prescrizioni di stabilità e dunque di sicurezza di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 181 e 169 erano a carico di tale impresa.

In casi analoghi, alcune decisioni di giudici di merito aveva affermato che il titolare della impresa appaltatrice dei lavori di abbattimento di un albero ad alto fusto, che si avvalga per la esecuzione di tale opera della collaborazione di gruista, è da ritenere responsabile dell'infortunio di un proprio dipendente, qualora abbia omesso di scegliere mezzi appropriati per evitare il prevedibile rovesciamento della pianta a seguito della resezione del tronco e assicurarsi che l'imbracamento fosse stato effettuato in maniera adeguata.

Applicando tale principio al caso (analogo) di specie, ad avviso della ricorrente principale doveva concludersi che ogni responsabilità dell'incidente era da attribuire all'impresa V.A..

I giudici di appello non avevano tenuto conto delle disposizioni di legge in materia di prevenzione infortuni e di appalto, limitandosi a porre in evidenza le sole azioni compiute dal C..

Osserva il Collegio:

i quattro motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono fondati nei limiti di seguito indicati. Quanto alla giurisprudenza di questa Corte (richiamata nel primo motivo in tema di appalto), la stessa non appare aderente alla fattispecie in esame. La giurisprudenza citata riguarda, infatti, la ipotesi della ingerenza del committente in corso di opera sulla attività svolta dall'appaltatore. Nel caso di specie, invece, il subcommittente non è intervenuto nella fase esecutiva della specifica attività e proprio per questo aspetto omissivo e di mancata predisposizione organizzativa è stato convenuto in giudizio dalla originaria attrice.

Il richiamo all'art. 2087 c.c. contenuto nel primo motivo, non è, inoltre, del tutto pertinente. Infatti, tale disposizione - la quale prevede l'adozione di tutte le misure necessarie a tutelare le condizioni di lavoro riguarda esclusivamente la posizione dei lavoratori subordinati (che pacificamente il C. non rivestiva al momento dell'incidente) e si colloca nell'ambito della responsabilità contrattuale del datore di lavoro, mentre il presente giudizio risulta impostato come domanda ex art. 2043 c.c. e collocato quindi nell'ambito dell'illecito extracontrattuale (Cass. 16 luglio 2001 n. 9614 e 26 gennaio 1995 n. 933; ma cfr. Cass. 7 gennaio 2009 n. 45).

La qualificazione dell'attività svolta come oggettivamente pericolosa, per gli stessi mezzi adoperati pone, inoltre, il tema della applicabilità dell'art. 2050 c.c. con il relativo regime dell'onere della prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare danni.

È opportuno premettere la assoluta irrilevanza delle conclusioni raggiunte nella sede penale (archiviazione) dato il diverso criterio di giudizio sul nesso di causalità.

Al fine del controllo della congruità della motivazione resa dalla Corte di appello (la quale sottolinea la autonomia decisionale del C. come ragione di imputazione esclusiva del fatto allo stesso danneggiato) che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il limite della responsabilità di cui all'art. 2050 c.c. sta nel fortuito, che attiene al modo di causazione del danno.

Viene così considerato come "fortuito" il fatto imprevedibile o eccezionale che è anche dello stesso danneggiato.

E, parallelamente, la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, ex art. 2050 c.c., richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte è "particolarmente rigorosa" nel senso che: "La presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè' con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già' quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate" (Cass. 4 giugno 1998 n. 5484).

Ora, alla stregua di tali principi questa Corte ha confermato l'esclusione di responsabilità in casi in cui effettivamente il comportamento del danneggiato, ancorché vi fossero premesse di addebito per l'impresa, era da considerare eccentrico ed imprevedibile (Cass. 4 maggio 2004 n. 8457). In pratica, quando il comportamento dell'infortunato si accostava a quello che, in tema di infortunio sul lavoro, viene comunemente indicato come "rischio elettivo", caratterizzato dalla arbitrarietà, estraneità alla finalità contrattuale del lavoro: Cass. 18 maggio 2009 n. 11417).

In alcune pronunce, si è anche precisato che il fatto del danneggiato o del terzo esonerano l'esercente da responsabilità solo se tali da escludere il nesso causale tra attività pericolosa ed evento lesivo, non, invece, quando tali fatti concorrano solo alla produzione del danno (Cass. 21 novembre 1984 n. 5960).

Alla stregua di tali criteri di giudizio, la motivazione adottata dalla Corte territoriale appare in effetti piuttosto assertiva: indubbia, sì, la incidenza della scelta imprudente di uscire dal cestello e di legarsi ad un ramo, adottata dal C..

Ma parimenti si enuclea, per i motivi indicati nel ricorso, un obbligo specifico di protezione volto ad impedire il verificarsi di infortuni, che origina non solo dalla legge (D.P.R. n. 547 del 1955, art. 181 sulla prescrizione della imbracatura, che deve essere effettuata in modo da evitare cadute o squilibri del carico) ma dalle stesse circostanze di fatto. Cass. 22588 del 2004.

Non sembra, dunque, del tutto congruente l'avere accolto appieno l'impostazione per cui l'appaltatore si limita a fornire i mezzi, disinteressandosi di tutto il resto, quasi egli fosse una sorta di noleggiatore delle due autogrù.

Egli, al contrario, era il titolare del rapporto obbligatorio di appalto verso il primo committente (proprietario della villa in ***), il quale aveva affidato parte della sua prestazione al C., in forza di un rapporto derivato.

Egli non poteva, tuttavia, per il principio di continenza, trasferire in pieno tutti gli obblighi collaterali del contratto di appalto sul subappaltatore, anche se questi doveva considerarsi autonomo ed esperto.

Restavano, infatti, a carico dell'appaltatore i doveri protettivi e di sicurezza nei confronti del subappaltatore, oltre che dei propri dipendenti.

In particolare, considerato che, nel caso di specie, la piattaforma arrivava fino a venti metri di altezza, mentre la sommità dell'albero era a trenta metri dal suolo, appare evidente che la collocazione del punto di imbracatura richiedeva una fuoriuscita dal cestello (ovvero la rinuncia alla operazione di taglio).

Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, la scelta del punto di taglio segue, e non precede, quella del punto di imbracatura. E ciò era reso problematico, nel caso di specie, per la mancata operazione di ramatura (non possibile a causa della scarsa lunghezza del braccio gru), e della difficoltà di visione e di misurazione, da lontano, con conseguente errore di prospettiva.

I giudici di appello avrebbero dovuto, pertanto, accertare se il rischio corso dal C. doveva considerarsi "arbitrario" ovvero costituiva esecuzione della prestazione richiesta, seppur svolta in maniera imprudente.

In particolare, la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare la incidenza della assenza totale di comunicazioni dal basso, da parte degli operai che operavano sulle due autogrù, i quali pure disponevano di dispositivi per comunicare tra di loro.

La sentenza che si è basata sulla sola "autonomia" della opera svolta dal C. per giungere ad escludere una qualsiasi responsabilità della società V. appare dunque lacunosa e non rispondente ai criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte.

La sentenza deve pertanto essere cassata nei limiti delle censure accolte, con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame, tenendo conto dei principi di diritto sopra specificati.

Il ricorso incidentale, avente ad oggetto la compensazione delle spese dei giudizi di merito, è assorbito per effetto dell'accoglimento del ricorso principale.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale per quanto di ragione. Cassa in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione. Dichiara assorbito il ricorso incidentale.