REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio
Dott. ZECCA Gaetanino
Dott. FOTI Giacomo
Dott. BIANCHI Luisa
Dott. MASSAFRA Umberto

- Presidente
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) N.R. N. IL ***;
2) S.R. N. IL ***;
avverso la sentenza n. 2223/2007 CORTE APPELLO di BARI, del 16/06/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FOTI Giacomo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VOLPE Giuseppe che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in ordine alle contravvenzioni ascritte a N. per non avere commesso il fatto; rigetto dei ricorsi nel resto ovvero, in subordine annullato per prescrizione;
udito, per la parte civile, avv. *** che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
Udito il difensore Avv. *** che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1 - Con sentenza del 13 aprile 2007, il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Barletta, ha ritenuto N.R. e S. R. colpevoli del delitto di lesioni colpose gravissime commesse, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di Sa.M., dipendente della "T. I. s.p.a.", e li ha condannati, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate, alla pena di due mesi di reclusione ciascuno, dichiarata condonata ex L. n. 241 del 2006, nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della costituita parte civile, cui ha assegnato una provvisionale di 25.000,00 Euro; con la stessa sentenza, il tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei due imputati per i reati di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 11 e 27, comma 1, D.P.R. n. 164 del 1956, art. 18 e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, commi 2 e 3, essendo gli stessi estinti per prescrizione.

Del fatto sono stati chiamati a rispondere anche l'amministratore delegato ed il direttore dello stabilimento, C.C. e P.S., separatamente giudicati, avendo optato per il rito abbreviato.

Secondo l'accusa, condivisa dal tribunale, i due imputati, nelle rispettive qualità: il N., di preposto, al momento dell'infortunio, ai servizi tecnici e di manutenzione dello stabilimento della "T.", il S., di amministratore unico e rappresentante legale della "Costruzioni S. s.r.l.", avevano determinato, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia ed inosservanza di norme antinfortunistiche, l'incidente a causa del quale il Sa. ha riportato una contusione cranica con frattura del parietale di destra, cui è residuata una sindrome neurasteniforme fisiogena post trauma cranico con associati disturbi psichici ed uditivi ed inabilità permanente nella misura del 16%.

Fatto accaduto il *** presso lo stabilimento di *** della "T.".

La vicenda è stata ricostruita nei seguenti termini.

Sa.M., operaio alle dipendenze della "T.", addetto alla pulizia del reparto di granulazione dello stabilimento, durante il turno di servizio dalle ore 14 alle ore 20, era stato incaricato dal direttore P. di eliminare il cumulo di polveri formatosi sul retro dell'apparecchio granulatore, area ove insisteva altro macchinario, denominato readler nonché un ponteggio a due piani realizzato da circa due mesi dalla "Costruzioni S.". Mentre era intento al compito assegnatogli, il Sa. era stato colpito al capo dallo sportello di ispezione in ferro del readler che, a causa di un blocco del macchinario, dopo essere stato aperto per un'ispezione, era stato rimosso ed appoggiato sul ponteggio per ordine del N.. Lo sportello, però, per le forti vibrazioni causate dal funzionamento dell'impianto, non era rimasto fermo nella posizione originaria, ma si era spostato lungo il piano e, a causa dell'assenza, sullo stesso ponteggio, di presidi anticaduta, era precipitato in basso colpendo il Sa..

In ordine alle specifiche responsabilità dei due imputati, il giudice del merito ha osservato, quanto al S., che essa nasceva dall'essere stata la sua impresa a realizzare il ponteggio risultato carente dei dispositivi di sicurezza ed in relazione al quale egli aveva assunto la posizione di custode e di garante della sua rispondenza alle disposizioni di legge in materia, anche in virtù del contratto di manutenzione sottoscritto con l'azienda committente.

Quanto al N., che la responsabilità era riconducibile alla sua posizione di preposto, presente nello stabilimento al momento dei fatti, che gli attribuiva una posizione di garanzia e quindi l'obbligo di attuare le misure necessarie a garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, di accertarsi che fossero rispettate le norme di prevenzione degli infortuni, di dare disposizioni per la messa in sicurezza dei luoghi a rischio. Era stato lui, invece, ad ordinare ai dipendenti la rimozione degli sportelli del readler, a consentire che uno di essi fosse appoggiato sul ponteggio, benché lo stesso fosse privo dei presidi protettivi, a non dare disposizioni affinché l'impianto rimanesse fermo fino all'avvenuta riparazione del readler per evitare il prodursi di pericolose vibrazioni, a non avere impedito al Sa. di accedere in un luogo a rischio, a non avere ottemperato agli obblighi di cooperazione tra imprese (nel caso di specie con la "Costruzioni S.") per l'attuazione di misure di prevenzione e di coordinamento degli interventi.

Su impugnazione proposta dai due imputati, la Corte d'Appello di Bari, con sentenza del 16 giugno 2008, ha confermato la decisione del primo giudice.

2 - Avverso tale sentenza propongono ricorso, per il tramite dei rispettivi difensori, i due imputati.

1) N.R. deduce:
a) violazione dell'art. 495 c.p.p. per mancata assunzione di prova decisiva e vizio di motivazione in ordine alle censure mosse nei motivi d'appello nei confronti dell'ordinanza del tribunale di Trani, del 6.10.06, che ha dichiarato la difesa dell'imputato decaduta dalla prova testimoniale articolata con lista testi depositata in atti;
b) violazione degli artt. 192 e 129 c.p.p. e vizio di motivazione, in relazione all'evidenza dell'insussistenza delle contravvenzioni contestate, dichiarate prescritte dal tribunale; mancanza di motivazione in punto di sussistenza del reato di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 32;
c) violazione ed errata applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., art. 192 c.p.p., vizio di motivazione in punto di affermazione di responsabilità dell'imputato che, si sostiene nel ricorso, non ricopriva alcuna posizione di garanzia;
d) Violazione ed errata applicazione degli artt. 1226, 1292, 1304, 1362, 1363 e 2043 c.c. e dell'art. 538 c.p.p. e art. 539 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione quanto alla condanna solidale al risarcimento del danno, al pagamento delle spese processuali e della provvisionale; la corte territoriale avrebbe disatteso l'efficacia negoziale dell'atto di transazione sottoscritto dalla parte offesa, sul rilievo della inoperatività dello stesso in quanto relativo solo al licenziamento del lavoratore ed alle azioni ad esso connesse, senza considerare che il lavoratore infortunato aveva rinunciato al credito residuo dovuto dalla "T." derivante dal giudizio penale ed alle azioni penali di responsabilità intraprese in merito all'infortunio in questione, laddove la remissione di querela aveva il senso della rinuncia al risarcimento del danno derivante dal reato; rinunce che riguardavano non solo la società ma anche i suoi dipendenti; quanto alla provvisionale, il ricorrente ne ha rilevato l'eccessivo ammontare denunciando anche la omessa motivazione sul punto;
e) violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna.

2) S.R. deduce:
a) insussistenza delle contravvenzioni ascritte e, in subordine, la loro irrilevanza causale rispetto al reato di lesioni colpose, vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione agli artt. 125, 192 e 547 c.p.p.; il ponteggio, sostiene il ricorrente, era stato regolarmente realizzato nel rispetto di tutte le norme antinfortunistiche, come hanno sostenuto diversi testi;
b) violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla declaratoria di prescrizione dei reati contravvenzionali, alla quale il giudice del merito è pervenuto attraverso una incompleta o travisata valutazione degli elementi probatori acquisiti;
c) insussistenza, in capo al S., del delitto di lesioni colpose, erronea applicazione dell'art. 41 c.p., comma 2; sostiene il ricorrente che nessun rapporto causale vi sarebbe tra la condotta colposa attribuita all'imputato e l'evento; l'infortunio, si sostiene nel ricorso, si è verificato perché l'impianto è stato messo in funzione prima che fosse eseguito e completato l'intervento di manutenzione, decisione presa dai dirigenti della "T.", non certo dal S..

3 A - Osserva, anzitutto, la Corte che, non ravvisandosi ragioni d'inammissibilità dei motivi di doglianza proposti dagli odierni ricorrenti, il reato di lesioni colpose gravissime del quale essi sono stati, in via residuale, ritenuti responsabili, deve essere dichiarato estinto per prescrizione. Considerato, invero, che l'infortunio si è verificato il *** e che, avuto riguardo alla pena prevista per il delitto contestato, come ritenuto dai giudici del merito, il termine massimo di prescrizione è, ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 4 (nella formulazione precedente l'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, applicabile nel caso di specie, in virtù della norma transitoria di cui all'art. 10, perché più favorevole rispetto alla disciplina sopravvenuta), di cinque anni, estensibile a sette anni e sei mesi, deve prendersi atto del fatto che tale termine è interamente decorso in epoca successiva all'emissione della sentenza impugnata.

D'altra parte, le diffuse e coerenti argomentazioni svolte dalla corte territoriale escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ex art. 129 c.p.p., comma 2, posto che dall'esame di detta decisione non solo non emergono elementi di valutazione idonei a riconoscere la prova evidente dell'insussistenza del fatto contestato agli imputati o della loro estraneità allo stesso, ma sono rilevabili valutazioni di segno del tutto opposto, conducenti alla loro responsabilità.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata senza rinvio, essendo rimasto estinto per prescrizione il reato ascritto all'imputato.

3 B - A questo punto occorre, tuttavia, rilevare che - in tema di declaratoria di estinzione del reato - l'art. 578 c.p.p. prevede che il giudice d'appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta, come nel caso di specie, "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti civili; a tal fine, quindi, richiamata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, occorre procedere all'esame dei motivi di ricorso, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2.

Orbene, ritiene la Corte che, anche sotto lo specifico profilo appena menzionato, le censure mosse dagli odierni ricorrenti alla sentenza impugnata sono infondate.

1) N.R..
Premesso che il primo dei motivi proposti, relativo alla mancata assunzione di prova asseritamente decisiva, deve ritenersi superato dalla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, che non consente, ovviamente, la proposizione e l'esame di elementi probatori esclusi dal giudice del merito, così come superato da detta declaratoria deve ritenersi l'ultimo motivo di ricorso, relativo alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna.

Premessa, ancora, l'infondatezza del secondo dei motivi proposti, relativo alla declaratoria di prescrizione dei reati contravvenzionali contestati (D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 11 e 27, D.P.R. n. 164 del 1956, art. 18 e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, commi 2 e 3), legittimamente adottata del giudice di primo grado in ragione della constatata non evidenza dell'insussistenza dei fatti contestati o della loro non riconducibilità all'imputato e non estesa al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 32, ritenuto evidentemente non oggetto di formale contestazione.

Tanto premesso, dunque, osserva la Corte che anche i restanti motivi di ricorso, afferenti all'esistenza degli elementi della fattispecie penale, esaminati al solo fine di verificare il fondamento delle condanna al risarcimento del danno pronunciata dai giudici del merito, sono infondati.

Congruo e coerente, invero, si presenta il diffuso argomentare della corte territoriale che, partendo dagli addebiti mossi all'imputato e dalle considerazioni svolte dal primo giudice, confrontate con le censure elaborate nell'atto di appello, ha ritenuto di dovere ribadire la responsabilità del N., in ragione del fatto che egli:
a) aveva la responsabilità della manutenzione dell'impianto; responsabilità non esclusa dall'essere stato egli posto, da alcuni giorni, in mobilità, essendo presente, il giorno dell'incidente, nello stabilimento, ed avendo quindi ricoperto, in ragione delle mansioni affidategli, una precisa posizione di garanzia,
b) non aveva disposto il blocco dell'intero impianto fino al completamento dei lavori di manutenzione,
c) aveva dato l'ordine di lasciare il coperchio di ispezione sul ponteggio malgrado il mancato arresto delle macchine e benché l'evento determinatosi fosse prevedibile in vista delle forti vibrazioni.
Circostanze dalle quali legittimamente il giudice del gravame ha tratto conferma della responsabilità dell'imputato che, in vista della sua qualità di preposto, dotato dei poteri di organizzazione del lavoro, non aveva impartito ogni opportuna disposizione al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori; prima tra tutte, quella di fermo dell'intero impianto.

Oltretutto, era stato proprio il N., secondo quanto accertato dai giudici del gravame, ad autorizzare la collocazione del coperchio d'ispezione sul ponteggio, senza essersi preventivamente accertato della corretta realizzazione e manutenzione dello stesso.

Argomentazioni del tutto coerenti rispetto agli elementi probatori acquisiti, a fronte dei quali il ricorrente si è limitato alla generica negazione della posizione di garanzia rilevata dai giudici del merito ed alla rivalutazione di emergenze probatorie già oggetto di diffuso e coerente esame da parte degli stessi giudici. Mentre in tema di nesso causale, la pretesa del ricorrente di attribuire alla ditta costruttrice del ponteggio ed incaricata della manutenzione dello stesso l'esclusiva responsabilità dell'infortunio, si presenta priva di fondamento ove si consideri, da un lato, che la qualifica ricoperta all'interno dello stabilimento imponeva all'imputato di verificare sotto ogni aspetto la sicurezza dei luoghi di lavoro, pur se messa a rischio da componenti esterne e tuttavia presenti sul posto; dall'altro, che specifici profili di colpa sono stati giustamente rilevati nella condotta dell'imputato che, non solo non aveva fornito alcuna preventiva indicazione dei rischi connessi con l'attività in corso, ma non era intervenuto per coordinare i lavori di manutenzione con l'ordinaria produzione, non aveva disposto che fosse isolata la zona dell'intervento, né che fossero fermati tutti gli impianti fino all'avvenuta riparazione del readler. Condotta che legittimamente i giudici del merito hanno ritenuto quale concausa efficiente alla produzione dell'evento determinatosi.

Per quanto più direttamente riguarda l'azione civile risarcitoria, oggetto di specifico motivo di ricorso in relazione alla condanna dell'imputato, in solido con S.R., al risarcimento del danno, contestata dall'imputato in vista dell'atto di transazione - allegato in copia al ricorso - intervenuto tra il Sa. e la "T.", osserva la Corte che anche tale censura è priva di fondamento. Come hanno esattamente osservato i giudici del merito, da un lato, la remissione di querela non implica di per sé, necessariamente, la rinuncia al risarcimento del danno, dall'altro, la transazione in questione richiama espressamente la questione lavoristica, specifico oggetto dell'atto, e cioè la revoca del licenziamento del lavoratore, e risolve le connesse vertenze, anche di natura economica, insorte tra le parti in relazione a pretese del Sa. collegate al licenziamento. Mentre la dichiarazione, nello stesso atto, di rinuncia "anche ad eventuali azioni penali di responsabilità intraprese (querela) in merito all'infortunio occorsogli in data ***", riguarda il profilo penale della vicenda, non anche l'aspetto civilistico e risarcitorio, in relazione al quale la tesi del ricorrente potrebbe ritenersi fondata solo se fosse intervenuta una formale dichiarazione, da parte del Sa., di integrale soddisfazione di pretese connesse con le lesioni patite, ovvero di rinuncia alle stesse. Dichiarazioni mai prodotte. Mentre le affermazioni del difensore riportate nel verbale di dibattimento del 30.9.04, non valgono a modificare il significato dell'atto transattivo prodotto.

Quanto alla provvisionale, rileva la Corte che giustamente ne è stata riconosciuta la legittimità sul rilievo che le somme liquidate dall'INAL comprendono solo parte delle voci indennizzabili; certamente, come ammette lo stesso ricorrente, tale liquidazione non ricomprende l'intero danno biologico né quello morale, addebitarle agli autori dell'illecito. Mentre in punto di congruità della somma liquidata, i giudici del gravame ne hanno, sia pure in termini sintetici, rilevato la congruità, in relazione ai profili di danno considerati in vista della gravità delle lesioni riportate dal lavoratore a causa dell'illecita condotta dell'imputato.

2) S.R..
Anche con riguardo al S. deve rilevarsi la piena sussistenza degli elementi della fattispecie penale contestata e la palese inconsistenza dei motivi di ricorso proposti, e dunque la legittimità della condanna al risarcimento del danno.

I giudici del gravame, invero, dopo avere esaminato le censure proposte dall'imputato nei motivi d'appello, hanno ribadito che dagli elementi probatori acquisiti in atti era sicuramente emerso che il ponteggio, costruito dalla ditta di cui l'imputato è amministratore unico e rappresentante legale, non era stato realizzato nel rispetto della normativa antinfortunistica in quanto mancante della tavola ferma piedi, oltre che del corrimano. Certa, in ogni caso, hanno ritenuto i giudici del merito, doveva ritenersi l'assenza di detta tavola al momento dell'incidente, in ragione dell'ovvia considerazione secondo cui, se la stessa si fosse trovata al suo posto, lo sportello sarebbe stato trattenuto sul ponteggio e non sarebbe mai precipitato sul capo del Sa.. Di tale assenza, hanno poi aggiunto gli stessi giudici, non poteva non farsi carico l'imputato in virtù dell'obbligo, contrattualmente assunto con la "T.", di provvedere alla periodica vigilanza, manutenzione e custodia dei ponteggi costruiti. E dunque, ove anche il ponteggio in questione fosse stato realizzato nel pieno rispetto della legislazione antinfortunistica, certamente carenti erano stati, da parte della ditta "S.", gli interventi volti alla custodia ed alla manutenzione dello stesso, se al momento dell'infortunio detto ponteggio è risultato privo delle condizioni minime di sicurezza, e cioè, per quanto in questa sede interessa, della tavola fermapiede.

Correttamente, quindi, i giudici del merito hanno rilevato precisi profili di colpa, generica e specifica, a carico dell'imputato che, quale legale rappresentante della "S. Costruzioni" avrebbe dovuto, dapprima, accertarsi che il ponteggio fosse stato realizzato nel rispetto di tutte le regole di sicurezza, quindi, in ogni caso, che la manutenzione e la custodia dello stesso fossero eseguite in guisa tale da garantire la costante dotazione di tutti i presidi di sicurezza. Il mancato rispetto di tali obblighi si è posto, secondo il coerente argomentare dei giudici del merito, in diretto rapporto causale rispetto all'evento determinatosi posto che, se il richiamato presidio di sicurezza fosse stato realizzato, ovvero fosse stato mantenuto, secondo precisi impegni assunti dalla "S.", l'infortunio non si sarebbe verificato poiché detto presidio avrebbe certamente impedito la caduta del pesante sportello.

È pur vero, come si sostiene nel ricorso, che l'incidente si è verificato a causa della condotta colpevole del N., che avrebbe dovuto fermare l'intero impianto in attesa del completamento delle opere di manutenzione, è tuttavia altrettanto vero che all'evento ha cooperato la condotta ugualmente colpevole del S., come sopra rilevata.

A fronte di tali coerenti argomentazioni, il ricorrente ha solo opposto, attraverso la formale denuncia del vizio motivazionale e della violazione di legge, considerazioni generiche ovvero dirette ad offrire alla Corte di legittimità una inammissibile, diversa valutazione degli elementi probatori sui quali i giudici del merito hanno fondato la decisione contestata.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, senza rinvio, essendo il reato estinto per prescrizione, mentre devono essere confermate le statuizioni civili in essa contenute, dovendosi rigettare, ai soli effetti civili, i ricorsi degli imputati, con conseguente condanna degli stessi, in solido, alla rifusione delle spese del presente di giudizio, in favore delle parti civili, che si liquidano in Euro 3.152,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione; rigetta i ricorsi ai fini civili e condanna i ricorrenti, in solido, in favore della parte civile, alla rifusione delle spese da quest'ultima sostenute e liquida le stesse in Euro 3.125,00 oltre accessori come per legge.