REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo
Dott. MONACI Stefano
Dott. DE RENZIS Alessandro
Dott. DI NUBILA Vincenzo
Dott. MELIADO' Giuseppe

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
D.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell'avvocato LUCISANO CLAUDIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente - contro

S.C. DI ASSICURAZIONE COOP. A.r.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell'avvocato COLETTI PIERFILIPPO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato MATTA GIANLUIGI, giusta delega in calce al controricorso;
I.N.A.I.L, - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI e ROMEO LUCIANA, che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale Atto Notar CARLO FEDERICO TUCCARI di ROMA del 21/07/2006, rep. n. 71365;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 336/2 006 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 08/04/2006 R.G.N. 1410/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/02/2010 dal Consigliere Dott. MONACI Stefano;
udito l'Avvocato LUCISANO CLAUDIO;
uditi gli Avvocati LUCIA PUGLISI per delega LUCIANA ROMEO e COLETTI PIERFILIPPO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco che ha concluso per: inammissibilità, in subordine rigetto.

Svolgimento del processo

1. Il prof. D.C.G. ha convenuto in giudizio la s.C. di Assicurazione coop. a r.l., e l'Inail, esponendo, in particolare, per quanto ora interessa: di avere lavorato per la società I. in qualità di dirigente e con la qualifica di direttore generale, che la società aveva stipulato in suo favore una polizza assicurativa, di essere stato coinvolto in una inchiesta (sul ciclo dei rifiuti e con contestazione del reato di truffa aggravata a danno di un ente pubblico), che successivamente il procedimento penale nei suoi confronti era stato archiviato, di essere stato progressivamente emarginato da parte dei vertici della datrice di lavoro, di avere accusato di conseguenza una sintomatologia caratterizzata da disturbi del sonno, ansia, algie diffuse, depressione con calo motivazionale, difficoltà di concentrazione, di essere stato estromesso da ogni attività rilevante, di avere, infine, rassegnato le dimissioni il 2 luglio 2001, di avere subito di conseguenza un danno biologico di tipo psichico nella misura del 20-25%.
Chiedeva perciò il risarcimento del danno da parte della società assicuratrice in virtù della polizza stipulata in suo favore dalla I. e la costituzione di una rendita da parte dell'Inail.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda, e questa decisione veniva confermata, in sede di impugnazione, dalla Corte d'Appello di Torino, che, con sentenza n. 336/06, rigettava l'appello del D.C..

2. La pronunzia rilevava che era già stata negata, in un precedente giudizio proposto nei confronti della I., che il comportamento aziendale avesse una valenza di emarginazione e di mobbing e sostiene che il D.C. non poteva avvalersi dei medesimi fatti, nella loro oggettività, per costruire su di essi un rapporto causale nei confronti della patologia che ne sarebbe insorta.
Le coperture assicurative, tanto più quella obbligatoria da parte dell'Inail, non potevano attivarsi per qualsiasi forma di usura psicologica dovuta al protrarsi di un rapporto di lavoro, tanto più per un soggetto investito di responsabilità di vertice. Non si rientrava nell'ambito dell'esposizione a rischio lavorativo.

3. Avverso questa sentenza, depositata in cancelleria l'otto aprile 2008, e notificata il 12 maggio 2006, il ricorrente prof. D.C. ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi di impugnazione, notificato, a mezzo del servizio postale, con plichi inviati, in termine, il 28 giugno 2006. Entrambi gli intimati hanno resistito, in termine, con appositi controricorsi, quello dell'Inail notificato il primo agosto 2006, quello della C. Assicurazioni notificato, a mezzo del servizio postale, con plico inviato il 9 agosto 2006.

Motivi della decisione

1. Nel primo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta l'erronea interpretazione dell'art. 2087 c.c. per l'asserita irrilevanza di patologie di natura psicologica insorte da decisioni che rientravano in un limite organizzativo, e la contraddittorietà della motivazione.
Contesta che i comportamenti aziendali, dedotti nella loro oggettività, non potessero costituire fonte di danno ai sensi dell'art. 2087 c.c. quando - come nel caso di specie - non era stata dedotta e provata l'illegittimità del comportamento del datore di lavoro.
Quest'ultimo aveva il dovere di astenersi da comportamenti che risultassero lesivi dell'integrità psicofisica del lavoratore. Né era possibile effettuare distinzioni tra integrità fisica e integrità psichica.

2. Nel secondo motivo di impugnazione il prof. D.C. denunzia la ritenuta legittimità delle condotte mobbizzanti poste in essere dalla I., e l'insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

Secondo il ricorrente, la motivazione espressa su questo punto dalla Corte d'Appello di Torino era contraddittoria perché lo stesso giudice aveva ritenuto che fossero legittime le dimissioni del dipendente in relazione al mutato clima aziendale.

3. Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento.

I due motivi, connessi tra loro, possono essere trattati unitariamente.

Le censure proposte dal ricorrente sono parzialmente inammissibili, e, in ogni caso, infondate.

Sono inammissibili nelle parti in cui si risolvono nella riproposizione di questioni di fatto, relative in particolare alla valutazione dei fatti e alla interpretazione dei comportamenti delle parti, che, appunto perché attengono al fatto, non sono suscettibili di un nuovo esame in sede di legittimità.

I due motivi di impugnazione sono anche infondati.

L'effettuazione da parte della ditta di un comportamento tale da costituire mobbing è stata già esclusa in un precedente giudizio proposto dall'interessato nei confronti del datore di lavoro (cfr. pp. 12 e 13 della motivazione della sentenza impugnata, e p. 22 dello stesso ricorso, dove si precisa, peraltro, che la sentenza d'appello, sfavorevole al prof. D.C., era stata impugnata in cassazione). Anche la sentenza d'appello qui impugnata è giunta alla medesima conclusione: si tratta di una valutazione di fatto, su cui la sentenza in esame ha motivato ampiamente, e con coerenza, e le cui argomentazioni non vengono scalfite dalle critiche generiche del ricorrente.

4. Secondo quanto risulta dalla sentenza, e sostanzialmente dallo stesso ricorso (dato che, per la verità, la materialità dei fatti non è contestata, ma lo è soltanto la loro valutazione) il prof. D.C. soffre per uno stato di prostrazione, con conseguente patologia di carattere psicologico, sia a causa del coinvolgimento in un processo penale, sia a causa del deteriorarsi del rapporto fiduciario tra lui ed i vertici aziendali, e della sua conseguente perdita di rango all'interno dell'impresa (con il ritiro delle carte di credito aziendali, la sostituzione della macchina a disposizione con altra ritenuta non adeguata, il mancato invito a partecipare ai consigli di amministrazione, ecc).
Va premesso, per chiarezza, che non risulta dagli atti a disposizione di questa Corte se sussista, o meno, un rapporto tra i due fatti scatenanti (il coinvolgimento nel processo penale, e la perdita della fiducia dei vertici aziendali), ma, per verità, questa circostanza, soggettivamente rilevante, non rileva però ai fini di questa causa.
In ogni caso quella esposta dal ricorrente è una affezione di carattere psicologico che, già in prospettazione, non è legata causalmente al rapporto di lavoro, e neppure intervenuta in occasione di lavoro, ma semplicemente sopravvenuta, per fatti sostanzialmente personali, mentre era in corso il rapporto di lavoro.

Come giustamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Torino, la mancanza di ogni collegamento causale con il rapporto di lavoro, neppure nella forma della semplice occasione di lavoro, esclude la risarcibilità di qualsiasi danno non solo da Parte dell'istituito assicurativo pubblico Inail, ma anche da parte dell'assicurazione privata C. Assicurazioni per la copertura derivante dalla polizza assicurativa stipulata in suo favore dalla società datrice di lavoro, per i danni derivati dal rapporto di lavoro (e non per quelli derivati, pur in costanza di rapporto di lavoro, da fatti ad esso estranei).
Di conseguenza il ricorso non può che essere rigettato.

5. Tenuto conto della peculiarità della fattispecie sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra il ricorrente e la resistente s.C. Assicurazioni. Nulla va disposto per le spese dell'altro resistente Inail.

Nei confronti di quest'ultimo il prof. D.C. ha richiesto, in qualità di assicurato, una prestazione di carattere previdenziale, e, dato che non risulta che il giudizio sia stato introdotto dopo che il testo dell'art. 152 disp. att. c.p.c. venisse modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42 convertito con L. 24 novembre 2003, n. 326, la norma si applica nella sua precedente formulazione, e, di conseguenza, l'assicurato ora ricorrente non può essere assoggettato all'onere delle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Compensa le spese nei confronti della Cattolica Assicurazioni. Nulla per le spese nei confronti dell'Inail.