REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco
Dott. PETTI Giovanni Battista
Dott. FILADORO Camillo
Dott. AMBROSIO Annamaria
Dott. LANZILLO Raffaella

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3562/2006 proposto da:
F.P. ***, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BOEZIO 92, presso lo studio dell'avvocato PETRILLO Andrea, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FARESE STEFANO giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

P.-C. SRL *** in persona dell'Amministratore Unico Geom. P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell'avvocato CONTALDI Mario, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GAIDANO FABRIZIO giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro

E. DI F.P. & C. S.N.C.;

- intimata -

avverso la sentenza n. 1992/2004 della CORTE D'APPELLO di TORINO, Sezione Terza Civile, emessa il 4/6/2004, depositata il 02/12/2004, R.G.N. 738/2003;
udita la relazione della causa svelta nella Pubblica udienza del 22/06/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;
udito l'Avvocato MARTO CONTALDI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto.

Svolgimento del processo

F.P. ha convenuto davanti al Tribunale di Torino la s.r.l. P.-C., chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un infortunio occorsogli il *** nel cantiere della convenuta, ove si trovava per eseguire tramite l'impresa E., di cui era socio, lavori di tamponamento esterno in paramano della facciata.
Ricevuto dal responsabile del cantiere l'incarico di rimuovere residui di calce presso una parete, mentre attraversava una piattaforma in legno all'interno del vano ascensore una delle tavole aveva ceduto, provocando la sua caduta dall'altezza di circa 90 cm.
La convenuta, ha resistito alla domanda, assumendo che la responsabilità della custodia del cantiere era da attribuire alla s.n.c. E., di cui ha chiesto ed ottenuto la chiamata in causa. Ha comunque addebitato la responsabilità dell'incidente allo stesso danneggiato, che aveva utilizzato per il passaggio un vano a ciò non destinato, nonostante diverse e più sicure alternative.
Esperita l'istruttoria anche tramite CTU, il Tribunale ha attribuito la responsabilità per il 50% alla convenuta e per il 50% all'attore, liquidando in favore di quest'ultimo la somma di Euro 35.653,49 e rigettando la domanda di manleva proposta da P.-C. contro E..
Proposto appello principale da P.-C. e incidentale dal F. e da E., con sentenza 4 giugno-2 dicembre 2004 n. 1992 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto l'appellante principale da ogni responsabilità, ritenendo di dover escludere il nesso causale fra il mancato rispetto delle norme antinfortunistiche, accertato dall'ispettore della USL, e l'infortunio.
Il F. propone due motivi di ricorso per cassazione.
Resiste P.-C. con controricorso.

Motivi della decisione

1.- La Corte di appello ha ritenuto che la versione dei fatti resa dall'infortunato - secondo cui una tavola della piattaforma in legno all'interno del vano ascensore aveva ceduto, perché non idoneamente fissata - non sia stata confermata dalle prove acquisite agli atti; che anzi la circostanza che l'infortunato è caduto non all'interno del vano ascensore, ma sulla piattaforma posta davanti alla struttura in legno, dimostra che la caduta è stata determinata non dall'irregolare sistemazione dell'impalcatura, ma dalla non corretta esecuzione del salto effettuato dal F. dal piano delle tavole in legno al sottostante pianerottolo (come egli stesso ebbe a riferire dopo il fatto).
Ha ritenuto altresì inapplicabile il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 - circa la necessità di proteggere il passaggio con parapetto e con tavola fermapiede - poiché la norma riguarda solo le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro.
2.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 1218, 2050, 2051, 2087 e 2697 cod. civ., D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 68, nonché insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha omesso di attribuire a P.-C. - ritenuta responsabile della custodia del cantiere - la responsabilità per il danno da cose in custodia, ed ha erroneamente ritenuto inapplicabile la disposizione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68, comma 1. Afferma che le misure di protezione debbono essere adottate in ogni caso in cui vi sia la possibilità del passaggio sopra un vano esposto, pur se questa non sia la funzione specifica del vano; che l'apertura, se non poteva essere utilizzata come passaggio, avrebbe dovuto essere chiusa con sbarre di protezione alte un metro; se poteva essere utilizzata come tale ed era comunque accessibile, avrebbe dovuto essere munita delle protezioni di cui all'art. 68.
Soggiunge che il nesso causale deve essere ravvisato nel fatto stesso della mancata adozione delle misure di sicurezza e che l'eventuale concorso di colpa del lavoratore non vale ad esimere il datore di lavoro da responsabilità, ove tali misure egli non abbia adottato.
3.- Il motivo è fondato, sotto il profilo della violazione dell'art. 2087 cod. civ. e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 e dell'insufficiente motivazione.
La Corte di appello ha escluso la sussistenza del nesso causale fra la situazione dei luoghi e l'infortunio, omettendo di prendere in esame la circostanza - da essa stessa accertata - che P.-C., a cui era affidata la custodia e la direzione del cantiere (cfr. p. 8 della sentenza impugnata), non ha rispettato le norme antinfortunistiche che attengono specificamente alle situazioni del genere di quella in oggetto.
In particolare, non ha rispettato il disposto del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 cit., che impone di attrezzare con parapetto e con tavola fermapiede le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro, oppure di predisporne la copertura mediante tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti di servizio (art. 68, comma 1).
La Corte di merito ha ampiamente e congruamente motivato in ordine alle modalità ed alle cause della caduta del F., ma non ha affatto preso in esame la circostanza che il comportamento dell'infortunato (ancorché ritenuto colposo) e i danni che ne sono conseguiti sono stati resi possibili dal fatto che il vano ascensore non era adeguatamente protetto secondo le prescrizioni di legge: non ne era stato impedito l'accesso, tramite adeguato sbarramento, né era stato attrezzato con tavola fermapiede e parapetto.
La motivazione della Corte di appello, secondo cui le disposizioni dell'art. 68 sarebbero inapplicabili poiché l'apertura non si trovava sulla piattaforma di lavoro, risulta apodittica e non congruente con la circostanza di fatto - risultante dalla stessa motivazione - che il vano era accessibile, ed è stato effettivamente utilizzato, proprio nello svolgimento delle normali attività di lavoro del cantiere; ed anzi, per l'esecuzione di un incarico affidato al F. dal geom. P., diretto collaboratore dell'ammm.re unico di P.-C. (sentenza impugnata, p. 9).
La Corte di merito avrebbe dovuto specificare che cosa intende per piattaforma di lavoro e perché non vi possa essere compreso il luogo in cui si è verificato l'incidente.
In sintesi, il fatto che il F. abbia sbagliato nell'esecuzione del salto sopra il vano, o che in ipotesi fossero da lui utilizzabili altri e più sicuri percorsi, non costituisce motivazione idonea e sufficiente ad escludere ogni responsabilità della committente e custode del cantiere, a fronte dell'accertata violazione di norme di prevenzione degli infortuni appositamente predisposte per i casi simili a quello in oggetto.
È appena il caso di ricordare che le severe leggi antinfortunistiche hanno lo scopo di salvaguardare l'incolumità dei lavoratori anche e soprattutto nei casi in cui il pericolo sia provocato dalla loro stessa distrazione, negligenza od imprudenza.
Il lavoratore accorto, diligente, esperto e responsabile è in grado di evitare incidenti anche a prescindere da gran parte delle protezioni di legge.
Ma non è questa la condizione normale dei prestatori d'opera (soprattutto se manuale, generica e faticosa), bensì quella in cui l'inesperienza, la fretta, a volte l'ignoranza, la stanchezza e l'inconsapevolezza del pericolo, possono sollecitare comportamenti imprudenti.
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte deciso che le norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, hanno lo scopo di tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a sua imperizia, negligenza ed imprudenza. Sicché il datore di lavoro è da ritenere responsabile dell'infortunio in tutti i casi in cui ometta di adottare le idonee misure protettive, o di vigilare affinché vengano osservate, mentre l'eventuale concorso di colpa del lavoratore non ha di per sé solo alcun effetto esimente. Esso può comportare l'esonero totale dell'imprenditore da responsabilità solo quando si tratti di comportamento abnorme, inopinabile ed esorbitante in relazione alle mansioni svolte, al procedimento lavorativo "tipico" al quale è addetto ed alle direttive ricevute (Cass. Civ. 10 settembre 2009 n. 19494; Cass. Civ. 28 ottobre 2009 n. 22818).
La sentenza impugnata ha disatteso questi principi e non ha affatto motivato in ordine alle circostanze che avrebbero consentito di escludere la responsabilità della committente e custode del cantiere.
4.- Il secondo motivo di ricorso, proposto in subordine, risulta assorbito.
5.- In accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai principi sopra indicati.
6.- Il giudice di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.