REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE

SEZIONE CIVILE CONTROVERSIE DEL LAVORO

 

Il Tribunale Ordinario di Trieste, sezione civile - controversie del lavoro, nella persona del Giudice del lavoro dott.ssa Annalisa Barzazi, all'udienza del 10 marzo 2010 ha pronunciato, ai sensi dell'art. 429 c. I c.p.c, come sostituito dall'art. 53 del D.L. 25.6.2008, n. 112, convertito dalla L. 6.8.2008, n. 133, la seguente

 

SENTENZA

 

 

nella causa iscritta al n. 345/09, promossa con ricorso depositato in data 8.5.2009

DA

M. D. W., rappresentato e difeso dagli avv. Ciberò e Antonella Coslovich, presso gli stessi domiciliato, per procura a margine del ricorso per ingiunzione;

CONTRO

S. D. E. N. SOC. COOP., con sede in Trieste, omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Raffaella Del Punta, domiciliataria, per procura a margine della memoria di costituzione;

resistente;

in punto: impugnazione del licenziamento; condanna al risarcimento del danno.

 

FattoDiritto

 

Con ricorso al Tribunale Ordinario di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, depositato l'8.5.2009, M. D. W. esponeva di essere stato assunto alle dipendenze della S. D. E. N. soc. coop. dal 16.7.2003, con mansioni di guardia giurata.

A causa dei postumi delle lesioni riportate al ginocchio destro in un incidente stradale, occorsogli nel 1994, per le quali aveva subito un intervento di osteosintesi, in data 3.5.2007 il medico competente per la sorveglianza sanitaria lo aveva ritenuto idoneo allo svolgimento delle mansioni di guardia giurata, con la prescrizione di non adibirlo ad attività comportanti il mantenimento per periodi prolungati della stazione eretta o la salita e la discesa delle scale.

Ancorché gli fossero state assegnate incombenze conformi alla citata prescrizione, il 17.6.2007 aveva accusato un cedimento del ginocchio, in relazione al quale aveva fruito di assenza per malattia sino al 2.7.2007; il giorno successivo era stato sottoposto a nuova visita medica da parte del medico competente già citato, il quale lo aveva ritenuto inidoneo, con valutazione confermata dal Servizio Sanitario Regionale per la durata di mesi tre, termine allo scadere del quale doveva procedersi a nuova visita prima della riammissione in servizio.

La resistente dal 9.7.2007 aveva preteso che il ricorrente fruisse di ferie; il 14.8.2007, recatosi presso il Servizio di Prevenzione e Sicurezza dell'A.S.S. n. 1 Triestina per ritirare la documentazione relativa al procedimento, era stato sottoposto ad un etil-test, che aveva evidenziato una concentrazione di alcool nel sangue pari a 0,18 g/l; erano stati eseguiti ulteriori accertamenti ematochimici, all'esito dei quali il Servizio di Prevenzione e Sicurezza citato lo aveva segnalato al Prefetto di Trieste, come alcool dipendente in fase di ricaduta. Il Prefetto, con provvedimento del 28.1.2008, aveva disposto la revoca del porto d'armi, con decreto poi annullato dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza del 26.5.2008, impugnata dal Prefetto avanti al Consiglio di Stato, che il 28.10.2008 aveva rigettato l'istanza di sospensiva dell'Amministrazione.

Con lettera del 29.2.2008, la società resistente aveva comunicato al ricorrente il suo recesso con effetto immediato dal rapporto di lavoro, motivato sia con riferimento al giudizio di inidoneità espresso dal medico competente, sia in relazione alla revoca del porto d'armi. In relazione ad entrambe le motivazioni indicate il ricorrente sosteneva la possibilità per l'azienda di assegnargli mansioni diverse, confacenti al suo stato di salute e non comportanti l'uso dell'arma, comunque non obbligatorio durante il servizio; il recesso doveva ritenersi illegittimo anche in quanto disposto prima del decorso del termine di centottanta giorni previsto per poter esercitare il recesso dall'art. 138 dal CCNL per i dipendenti da Istituti di vigilanza privata, applicato al rapporto, nei casi, quali quello di specie, di sospensione del porto d'arma. Ciò premesso, il ricorrente concludeva per la declaratoria dell'illegittimità del licenziamento, per la condanna della convenuta alla reintegrazione e al risarcimento dei danni, instando in via istruttoria per l'ammissione di prove per interpello e testi.

La società convenuta si costituiva soltanto nella prima udienza, dunque tardivamente, sostenendo che il ricorrente aveva nascosto di essere affetto da patologie tali da comprometterne l'idoneità alle mansioni per le quali era stato assunto; il licenziamento era stato imposto dalle risultanze di due distinti procedimenti, quello relativo all'accertamento dell'idoneità al lavoro e quello relativo alla revoca dell'autorizzazione al porto d'arma. Né era stata possibile un'assegnazione a diverse mansioni, in quanto non rispondenti alle esigenze aziendali. La resistente concludeva per il rigetto delle domande attoree, chiedendo l'ammissione dell'interrogatorio formale del ricorrente e di una consulenza tecnica d'ufficio medico legale.

 

Il giudice ha ritenuto la causa matura per la decisione sulla base della sola documentazione depositata dalla parte ricorrente.

 

La datrice di lavoro, infatti, si è costituita tardivamente, con ciò incorrendo nelle decadenze di cui all'art. 416 c.p.c. in ordine alle allegazioni di fatti e alle istanze istruttorie svolte, ovviamente rilevabili d'ufficio, in considerazione dell'interesse di natura pubblicistica alla durata ragionevole del processo ed al suo regolare funzionamento sotteso al regime delle precisioni.

La documentazione prodotta dal D. W. conferma che egli, al termine di un periodo di malattia per il riacutizzarsi dei postumi al ginocchio destro, venne dichiarato dal medico competente per la sorveglianza sanitaria non idoneo alle mansioni di guardia giurata il 3.7.2007, con valutazione confermata, per la durata di tre mesi, a seguito di ricorso ex art 17 del D.Lgs. n. 626/1994, dal Servizio di Prevenzione e Sicurezza dell'A.S.S. n.1 Triestina, nonché ribadita dal medesimo medico competente in data 18.12.2007 (doc. nn. 2, 3, 10, 11).

Il ricorrente ha altresì prodotto il decreto del Prefetto della Provincia di Trieste del 28.1.2008 (doc. 6), con il quale gli è stata revocata l'autorizzazione al porto d'armi per difesa personale; dalla motivazione del procedimento si evince che tale autorizzazione era stata sospesa con un precedente provvedimento del 7.9.2007, che il ricorrente era stato in cura presso il Servizio di Alcologia della locale U.S.L. negli anni 1993 e 1998, per dipendenza da alcool, che l'esito degli accertamenti medici cui egli era stato sottoposto il 10.7.2007 aveva evidenziato che il D. W., non avendo mantenuto la prescritta astinenza, era classificabile come alcool dipendente in fase di ricaduta.

Nella lettera di licenziamento del 29.2.2008 (doc. 7), si invocano due concorrenti cause di recesso e cioè il giudizio di inidoneità alle mansioni di guardia giurata del 18.12.2007, dinanzi citato, nonché la disposta revoca del porto d'armi; nell'intimare il licenziamento la società resistente ha affermato l'impossibilità sia della continuazione anche solo provvisoria del rapporto di lavoro che della assegnazione di altre mansioni nel rispetto dell'organizzazione aziendale.

È stata allegata al ricorso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia del 26.5.2008, con la quale è stato annullato il sopra citato provvedimento prefettizio, per l'evidente carenza della motivazione e dell'istruttoria, nonché l'ordinanza del 28.10.2008 del Consiglio di Stato, con la quale è stata rigettata l'istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza dianzi menzionata, proposta dal Ministero dell'Interno appellante.

La società resistente ha fatto valere a giustificazione del recesso due concorrenti ipotesi di giustificato motivo oggettivo (non già di giusta causa); a fronte delle allegazioni del ricorrente, relative alla possibilità di un suo reimpiego in mansioni diverse, compatibili con le sue residue capacità lavorative e non richiedenti il possesso dell'autorizzazione al porto d'arma, la datrice di lavoro aveva l'onere di allegare e provare l'impossibilità della prospettata adibizione, nell'ambito dell'organizzazione aziendale, a mansioni confacenti differenti non richiedenti il titolo revocato dall'autorità amministrativa (in questo senso, con riferimento al caso di sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, Cass., SS.UU: Civ., 7.8.1998, n. 7755; Cass., sez. lav., 7.1.2005, n. 239, con riferimento al caso della revoca dell'autorizzazione al porto d'arma, Cass., sez. lav., 24.10.2000, n. 13986).

Essendosi costituita tardivamente, la società resistente è rimasta inadempiente all'onere di allegazione e prova, dianzi richiamato; ne consegue che il licenziamento intimato al ricorrente deve ritenersi illegittimo, per violazione dell'obbligo di repechage e va annullato, con contestuale ordine alla resistente di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro.

La convenuta deve essere altresì condannata al risarcimento del danno in favore del ricorrente, ragguagliato alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento sino all'effettiva reintegrazione; l'importo della retribuzione globale di fatto è ricavabile dai prospetti paga prodotti dallo stesso ricorrente, a favore del quale deve altresì essere disposta la regolarizzazione della situazione contributiva.

Le spese (eccettuate quelle relative alle prestazioni professionali richieste dal ricorrente, in quanto l'una superflua e l'altra non correlata alla presente causa), liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

 

 

P.Q.M.

 

 

ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, definitivamente pronunciando:

1) annulla il licenziamento intimato al ricorrente in data 29.2.2008, ordinando alla società resistente di reintegrarlo nel posto di lavoro e di risarcirgli il danno, ragguagliato alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione;

2) condanna la società resistente alla regolarizzazione della posizione contributiva del ricorrente, in conformità alla precedente statuizione

3) condanna la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 2.977,13, di cui Euro 15,00 per spese imponibili, Euro 783.00 per diritti. Euro 1.850,00 per onorari, Euro 329,13 per rimborso forfetario spese generali, oltre ad IVA, se dovuta, e C.P.A.; capo provvisoriamente esecutivo.

Così deciso in Trieste il 23 marzo 2010

Depositata in cancelleria il 16 aprile 2010