• Datore di Lavoro
  • Delega di Funzione
  • Dirigente e Preposto
  • Lavoratore
  • Informazione, Formazione, Addestramento
  • Macchina ed Attrezzatura di Lavoro

 

Responsabilità in merito ad un infortunio sul lavoro, nel quale la persona offesa - incaricata di prestazioni di lavoro da parte di N.B. - era rimasto folgorato mentre operava su una pompa autocarrata utilizzata per la posa del calcestruzzo e messa a disposizione dalla società di cui R.N. era legale rappresentante nell'ambito di lavori per il cui coordinamento era stato incaricato N.G..

  

Le tre persone sopra indicate furono condannate sia in primo grado che in appello.

Ricorre in Cassazione il solo R.N. - Rigetto.

 

In particolare, per quanto riguarda la posizione di R.N., i giudici di merito hanno accertato che il medesimo non aveva provveduto ad evitare che il mezzo, condotto da un suo dipendente, operasse in prossimità di linee elettriche nè questo rischio era stato indicato nel documento per la sicurezza.
Inoltre il preposto da lui nominato, peraltro privo di alcuna delega, non era adeguatamente preparato per la tutela della sicurezza in situazioni consimili.

 

La Corte afferma che:

 

"E' da premettere che non si contesta nel ricorso che la manovra di utilizzazione della pompa utilizzata per il getto del calcestruzzo sia avvenuta con modalità inidonee a salvaguardare la sicurezza dei lavoratori che stavano eseguendo questa attività e in particolare a distanza troppo ravvicinata rispetto alla linea elettrica o, in alternativa, senza che si fosse provveduto a disattivarla.

 

A sua discolpa il ricorrente adduce però la circostanza che egli non era a conoscenza che fosse stato stipulato il contratto con N. B., titolare della ditta datrice di lavoro della vittima, che aveva noleggiato il mezzo su cui era installata la pompa.

 

La circostanza, vera o falsa che sia, è irrilevante. La società di cui R.N. era legale rappresentante non si era infatti limitata a noleggiare il pesante mezzo alla ditta N. ma aveva assunto l'obbligo di fornire una prestazione di servizi comprendente anche l'opera del conducente del veicolo, R.F., dipendente della s.p.a. F.lli R.N., ad una cui erronea manovra è stato ritenuto ricollegabile l'infortunio.

 

Ma poichè la stipulazione e l'esecuzione di questo contratto rientrava nella normale attività d'impresa incombeva comunque sul legale rappresentante della società - fosse o meno a conoscenza del singolo contratto - un obbligo di formazione e informazione del dipendente cui era affidata la guida e la manovra del veicolo così come incombeva su di lui, ove non avesse inteso provvedere personalmente di volta in volta, disporre in generale perchè tutte le attività dell'impresa venissero svolte in sicurezza.

 

Insomma se il ricorrente - come sembrerebbe dall'impostazione delle sue difese - non intendeva seguire personalmente le attività aziendali curando personalmente che venisse garantita la sicurezza nell'esecuzione delle lavorazioni avrebbe dovuto delegare persona idonea, munita dei necessari poteri e delle disponibilità di spesa, per garantire che le attività d'impresa (e quindi anche quella oggetto del contratto stipulato, certamente non con il suo dissenso, con la ditta N.) venissero svolte senza rischi per i dipendenti e per i terzi.

A questi obblighi, secondo le sentenze di merito, l'imputato non ha in alcun modo adempiuto. La redazione del piano per la sicurezza si risolveva in tutte le occasioni nella compilazione di un prestampato; il manovratore della pompa era stato formato e informato solo sul funzionamento della macchina ma non sull'osservanza delle cautele rese necessarie dalla situazione specifica; la persona delegata per la sicurezza non era idonea per insufficiente preparazione a svolgere questa attività.

 

Correttamente dunque la sentenza impugnata ha concluso per la conferma della penale responsabilità del ricorrente per il mancato adempimento - o solo parziale adempimento - degli obblighi di prevenzione antinfortunistica con esiti ricollegabili a questa insufficiente opera prevenzionale."


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

Dott. BRUSCO Carlo G. - rel. Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) R.N.P.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2562/2006 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 11/04/2007;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO GIUSEPPE BRUSCO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ciampoli Luigi che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. Gueli Enrico che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

La Corte:

 

FattoDiritto

 

1) La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza 11 aprile 2007, ha parzialmente confermato la sentenza 1 dicembre 2005 del Tribunale di Bergamo - che aveva condannato N.B., R.N.P.M. e N.G. rispettivamente alle pene di anni uno e mesi sei, anni uno e mesi tre e anni uno di reclusione per il delitto di omicidio colposo in danno di P.S. - confermando l'affermazione di responsabilità di tutti gli imputati e riducendo la pena (ad anni uno di reclusione) al solo R.N..

 

Il fatto addebitato agli imputati si riferisce ad un infortunio sul lavoro, verificatosi il (OMISSIS), nel quale la persona offesa - incaricata di prestazioni di lavoro da parte di N.B. - era rimasto folgorato mentre operava su una pompa autocarrata utilizzata per la posa del calcestruzzo e messa a disposizione dalla società di cui R.N. era legale rappresentante nell'ambito di lavori per il cui coordinamento era stato incaricato N.G..

E' stato accertato, nel giudizio di merito, che la pompa autocarrata era manovrata da tale R.F., dipendente della s.p.a. f.lli R.N. e che non era stata osservata la distanza di sicurezza tra la pompa e la linea elettrica sovrastante che era stata urtata con la conseguente folgorazione del lavoratore.

In particolare, per quanto riguarda la posizione di R.N., è stato accertato che il medesimo non aveva provveduto ad evitare che il mezzo, condotto da un suo dipendente, operasse in prossimità di linee elettriche nè questo rischio era stato indicato nel documento per la sicurezza.
Inoltre il preposto da lui nominato, peraltro privo di alcuna delega, non era adeguatamente preparato per la tutela della sicurezza in situazioni consimili.

 

2) Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso il solo R.N.P.M. il quale ha dedotto i seguenti motivi di censura:

- la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. perchè al ricorrente erano state contestate condotte colpose indipendenti mentre il primo giudice ha ritenuto che si trattasse di cooperazione colposa;

- l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 43 e 589 cod. pen. perchè il ricorrente non aveva avuto alcuna notizia della stipulazione del contratto avvenuta ad opera di un dipendente;

- l'inesistenza della prova che, anche con l'osservanza delle regole cautelari, l'evento non si sarebbe verificato;

- la mancata considerazione che, pur in assenza di una delega formale di poteri, l'imputato aveva conferito una serie di poteri riguardanti la sicurezza ad un preposto;

- il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante e al mancato riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 114 cod. pen.;

- la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione.

 

3) Il ricorso è infondato e deve conseguentemente essere rigettato.

 

Va preliminarmente esaminato il motivo che si riferisce alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di condanna.

Com'è noto la giurisprudenza di legittimità si ispira, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, al principio secondo cui il parametro che consente di verificare, nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato, l'esistenza della violazione del principio in questione è costituito dal rispetto del diritto di difesa nel senso che l'imputato deve avere avuto, in concreto, la possibilità di difendersi dall'addebito contestatogli.

Si ha dunque il rispetto del principio nei casi in cui della violazione poi ritenuta in sentenza si sia trattato nelle varie fasi del processo ovvero in quelli nei quali sia stato lo stesso imputato ad evidenziare il fatto diverso quale elemento a sua discolpa (si vedano in questo senso, da ultimo, Cass., sez. 4^, 15 gennaio 2007 n. 10103, Granata, rv. 236099; sez. 2^, 23 novembre 2005 n. 46242, Mignatta, rv. 232774; sez. 4^, 17 novembre 2005 n. 2393, Tucci, rv. 232973; 10 novembre 2005 n. 47365, Codini, rv. 233182; 25 ottobre 2005 n. 41663, Canonizzo, rv. 232423; 4 maggio 2005 n. 38818, De Bona, rv. 232427; sez. 1^, 10 dicembre 2004 n. 4655, Addis, rv. 230771).

Naturalmente non deve trattarsi di fatto completamente diverso ed eterogeno in cui l'imputazione venga immutata nei suoi elementi essenziali (v. Cass., sez. 1^, 14 aprile 1999 n. 6302, Iacovone; sez. 6^, 14 gennaio 1999 n. 2642, Catone).

E' inoltre indiscusso che, se effettivamente verificatasi, la nullità è di ordine generale a regime intermedio e deve essere dedotta nei limiti previsti dagli artt. 180 e 182 c.p.p. (in questo senso v. Cass., sez. 2^, 17 maggio 2006 n. 19585, Antonuccio, rv. 234199; sez. 4^, 29 novembre 2005 n. 14180, Pelle, rv. 233952; sez. 5^, 28 settembre 2005 n. 44008, Di Benedetto, rv. 232805).

In materia colposa è poi applicabile il principio, affermato in numerose decisioni di legittimità (tra le quali quelle già ricordate 2393/2005, 47365/2005, 38818/2005), secondo cui la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa non integra la violazione del principio di correlazione in esame.

E' sufficiente la riaffermazione dei principi ricordati per avere conferma della correttezza della tesi sostenuta dalla sentenza impugnata atteso che la configurazione della cooperazione, rispetto alla contestata indipendenza delle cause, in realtà integra l'accusa sotto il profilo soggettivo ma non muta il fatto oggettivamente contestato che, già nella formulazione dell'accusa, lasciava intravedere il collegamento psicologico tra le condotte degli agenti in contrasto con l'asserita natura indipendente delle cause.

 

Deve ancora rilevarsi come appaia dubbia l'esistenza dell'interesse a proporre la censura in esame. Il sistema delle impugnazioni in materia (non solo) penale non è infatti finalizzato soltanto alla corretta applicazione delle norme giuridiche e all'esatto inquadramento di un fatto in istituti giuridici ma altresì alle conseguenze che dalla scorretta applicazione delle norme possono derivare.

L'erronea tesi giuridica applicata dal giudice, ove non si rifletta sull'erroneità della decisione, non rileva ai fini dell'impugnazione perchè in questi casi difetta l'interesse ad impugnare. Questo principio, nel giudizio di legittimità, è esplicitato nell'art. 619 c.p.p., comma 1 secondo cui "gli errori di diritto nella motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo".

Questa disposizione si ricollega al principio generale sulle impugnazioni contenuto nell'art. 568 c.p.p., comma 4 che prescrive che "per proporre impugnazione è necessario avervi interesse" con la conseguente sanzione di inammissibilità quando difetti questo requisito (art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a). E l'interesse preso in considerazione dalla legge non è mai un interesse teorico alla correttezza della tesi giuridica sostenuta o accolta dal giudice ma quello pratico che si riflette sul contenuto della decisione (analoga soluzione è prevista per il giudizio civile davanti alla Corte di cassazione dall'art. 384 c.p.c., comma 2).

Nel caso in esame neppure il ricorrente è stato in grado di indicare l'effetto pratico che deriverebbe dall'accoglimento della sua tesi.

Interesse pratico che avrebbe potuto essere ipotizzato nel caso di riconoscimento delle aggravanti previste dall'art. 113 cod. pen., comma 2 che, peraltro, nel caso in esame non sono state contestate (e tanto meno ritenute) ovvero nel caso (assai discusso in dottrina e comunque nella specie neppure ipotizzato) in cui la partecipazione cosciente all'altrui comportamento colposo non sia accompagnata dalla violazione di una regola precauzionale.

 

4) I motivi riguardanti l'affermazione della responsabilità dell'imputato ricorrente - che possono essere congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione - sono parimenti infondati e, per alcuni aspetti relativi alla ricostruzione dei fatti, anche inammissibili.

 

E' da premettere che non si contesta nel ricorso che la manovra di utilizzazione della pompa utilizzata per il getto del calcestruzzo sia avvenuta con modalità inidonee a salvaguardare la sicurezza dei lavoratori che stavano eseguendo questa attività e in particolare a distanza troppo ravvicinata rispetto alla linea elettrica o, in alternativa, senza che si fosse provveduto a disattivarla.

A sua discolpa il ricorrente adduce però la circostanza che egli non era a conoscenza che fosse stato stipulato il contratto con N. B., titolare della ditta datrice di lavoro della vittima, che aveva noleggiato il mezzo su cui era installata la pompa.

La circostanza, vera o falsa che sia, è irrilevante. La società di cui R.N. era legale rappresentante non si era infatti limitata a noleggiare il pesante mezzo alla ditta N. ma aveva assunto l'obbligo di fornire una prestazione di servizi comprendente anche l'opera del conducente del veicolo, R.F., dipendente della s.p.a. F.lli R.N., ad una cui erronea manovra è stato ritenuto ricollegabile l'infortunio.

Ma poichè la stipulazione e l'esecuzione di questo contratto rientrava nella normale attività d'impresa incombeva comunque sul legale rappresentante della società - fosse o meno a conoscenza del singolo contratto - un obbligo di formazione e informazione del dipendente cui era affidata la guida e la manovra del veicolo così come incombeva su di lui, ove non avesse inteso provvedere personalmente di volta in volta, disporre in generale perchè tutte le attività dell'impresa venissero svolte in sicurezza.

Insomma se il ricorrente - come sembrerebbe dall'impostazione delle sue difese - non intendeva seguire personalmente le attività aziendali curando personalmente che venisse garantita la sicurezza nell'esecuzione delle lavorazioni avrebbe dovuto delegare persona idonea, munita dei necessari poteri e delle disponibilità di spesa, per garantire che le attività d'impresa (e quindi anche quella oggetto del contratto stipulato, certamente non con il suo dissenso, con la ditta N.) venissero svolte senza rischi per i dipendenti e per i terzi.

A questi obblighi, secondo le sentenze di merito, l'imputato non ha in alcun modo adempiuto. La redazione del piano per la sicurezza si risolveva in tutte le occasioni nella compilazione di un prestampato; il manovratore della pompa era stato formato e informato solo sul funzionamento della macchina ma non sull'osservanza delle cautele rese necessarie dalla situazione specifica; la persona delegata per la sicurezza non era idonea per insufficiente preparazione a svolgere questa attività.

Correttamente dunque la sentenza impugnata ha concluso per la conferma della penale responsabilità del ricorrente per il mancato adempimento - o solo parziale adempimento - degli obblighi di prevenzione antinfortunistica con esiti ricollegabili a questa insufficiente opera prevenzionale.

Quanto all'efficienza causale di questo inadempimento sul verificarsi dell'evento si sottrae al vaglio di legittimità la valutazione positiva dei giudici di merito: basti pensare come la sentenza impugnata abbia rilevato che il carattere di pericolosità dell'attività che doveva essere svolta in quell'occasione in relazione alla situazione dei luoghi "avrebbe dovuto imporre il distacco della linea in quel momento".

 

5) Infondati sono infine anche gli altri motivi di ricorso relativi al trattamento sanzionatorio.

Quanto alla mancata dichiarazione di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante e al mancato riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 114 c.p., comma 1 si osserva che la motivazione della sentenza impugnata - che fa riferimento alla gravita della colpa - si sottrae al vaglio di legittimità essendo esente da alcuna illogicità mentre il beneficio della non menzione non risulta essere stato richiesto con i motivi di appello.

 

6) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

P.Q.M.

 

 

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2010