• Coordinatore per la Progettazione
  • Coordinatore per l'Esecuzione
  • Infortunio sul Lavoro
  • Piano di Sicurezza e Coordinamento
  • Piano Operativo di Sicurezza

 

Responsabilità del coordinatore per la progettazione di un cantiere edile e coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori per la morte di Th., carpentiere dipendente della P.H. s.r.l.: il lavoratore era intento ad eseguire, unitamente ad altri due colleghi (pure dipendenti della ditta di carpenteria) lavori di isolamento del tetto, nel contesto di lavori di ristrutturazione di un Hotel.
All'impresa edile P.R., della quale era legale rappresentante P.R., erano stati commessi i lavori in muratura; alla ditta P.H. erano stati commessi i lavori in carpenteria, in particolare quelli concernenti il rifacimento del tetto dell'albergo.

 

In quel gennaio 2002 si era determinata una sovrapposizione dei lavori, nel senso che mentre la ditta P. eseguiva ancora i lavori di demolizione del sottotetto, la ditta Pe. dava inizio ai lavori di ricostruzione del tetto.

 

In accordo tra i responsabili di entrambe le ditte, era stata lasciata libera un'apertura sul tetto, delle dimensione di m. 1,5 per 1,5, per rendere possibile il trasporto di materiale attraverso tale apertura; la sera prima dell'infortunio questa era stata coperta con un telo in naylon, inchiodato ai margini tramite tavole sulla superficie di costruzione, per evitare una eventuale infiltrazione di acque piovane, ed il telo si era presto ricoperto di brina.

Quel giorno il Th.WA. era intento a posare delle lastre isolanti sul tetto e stava eseguendo delle misurazioni con una corda; con questa in mano aveva indietreggiato giungendo sulla suddetta apertura nel tetto, sul telo di naylon, che a causa del suo peso aveva ceduto, provocando così la caduta, da un'altezza di circa cinque metri, sul sottostante pavimento in cemento del lavoratore, che riportava lesioni che lo avevano tratto a morte.

  

Condannato, il coordinatore ricorre in Cassazione - Inammissibile

 

La Corte afferma che è pacifico e non contestato che l'apertura nel tetto "non era assistita dai presidi antinfortunistici voluti dalla legge, in particolare in riferimento al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 68 che prescrive che "le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti in servizio".

Soggiunge la norma che, "qualora le aperture vengano usate per il passaggio di materiali o di persone, un lato del parapetto può essere costituito da una barriera mobile non asportabile che deve essere aperta soltanto per il tempo necessario al passaggio".

Tali misure, dunque, non vennero sicuramente adottate nella fattispecie che occupa e rileva la sentenza impugnata che "i carpentieri operanti ..., a causa della formazione di brina non erano in grado di rendersi conto che la copertura fosse stata realizzata soltanto con un telone di naylon e che sotto non fossero state fissate delle solide tavole fermapiede ..., sicchè per i medesimi l'apertura coperta rappresentava una vera e propria "insidia" invisibile" (ivi, pagg. 6-7).

Posto che non può sussistere dubbio che siffatta circostanza si sia posta in imprescindibile nesso di relazione causale con l'evento prodottosi, in siffatto gravemente deficitario contesto, dunque, si inserisce, e va valutata, la condotta del ricorrente.

 

Questi era coordinatore per la progettazione del cantiere ed in quanto tale, in virtù del disposto del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 12 (all'epoca vigente), aveva sicuramente l'obbligo di redigere il piano di sicurezza che doveva contenere "l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata del lavoro, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori ...", nonchè "le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva di più imprese o dei lavoratori autonomi ..."."

 

E ancora "Conferma e ribadisce la sentenza ora impugnata che "nè nel piano di sicurezza, il quale è stato redatto dal medesimo ( A.) nella sua veste di coordinatore di sicurezza sia nella fase di progettazione sia nella fase di esecuzione, nè nel piano operativo di sicurezza delle ditte operanti nel cantiere ... è stata eseguita nè una concreta valutazione di rischi della situazione pericolosa verificatasi in sede di interferenza dei lavori di muratura e carpenteria effettuati simultaneamente sul tetto, nè erano previste le rispettive misura di sicurezza ..."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero - Presidente

Dott. MARZANO Francesco - rel. Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana Giovanna - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.J., n. in (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano - in data 24.10.2007;

Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Francesco Marzano;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione, fatte salve le statuizioni civili;

Udito il difensore della parte civile, avv. Valentini Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore del ricorrente, avv. Figà Giacomo, in sostituzione dell'avv. Hubert Gapp, che ha concluso associandosi alla richiesta del P.G. ed in subordine per l'accoglimento del ricorso.

Osserva:

 

 

Fatto

 

 

1.0. Il 27 settembre 2005 il Tribunale di Bolzano - Sezione distaccata di Silandro - condannava A.J. (e P. R.), riconosciutegli le attenuanti generiche, a pena ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa nella sua esecuzione, nonchè al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle costituite parti civili, Tr.Ve., T.E. e T.M., questi ultimi rappresentati dalla madre Tr. V., cui assegnava delle provvisionali, per imputazioni, riunite sotto il vincolo della continuazione, di cui all'art. 589 c.p., comma 2, art. 4 c.p., comma 1, lett. a), in relazione al D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 21, comma 1, art. 5, comma 1, lett. b), dello stesso D.Lgs..

 

Sul gravame dell'imputato (e del coimputato P.), la Corte di Appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano -, con sentenza del 24 ottobre 2007, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell' A. (e del coimputato) in ordine alle contravvenzioni contestate, perchè estinte le stesse per prescrizione; riduceva, conseguentemente, per il residuo reato la pena inflitta dal primo giudice e confermava nel resto la sentenza impugnata.

 

1.1. Riferivano i giudici del merito che la mattina del 23 gennaio 2002, Th.Wa., carpentiere dipendente della P. H. s.r.l., era intento ad eseguire, unitamente ad altri due colleghi (pure dipendenti della ditta di carpenteria) lavori di isolamento del tetto, nel contesto di lavori di ristrutturazione dell'Hotel (OMISSIS): all'impresa edile P.R., della quale era legale rappresentante P. R., erano stati commessi i lavori in muratura; alla ditta Pe.Ho. erano stati i commessi i lavori in carpenteria, in particolare quelli concernenti il rifacimento del tetto dell'albergo:

A.J. rivestiva la funzione di coordinatore della sicurezza, sia nella fase di progettazione che in quella esecutiva.

In quel gennaio 2002 si era determinata una sovrapposizione dei lavori, nel senso che mentre la ditta P. eseguiva ancora i lavori di demolizione del sottotetto, la ditta Pe. dava inizio ai lavori di ricostruzione del tetto.

In accordo tra i responsabili di entrambe le ditte, era stata lasciata libera un'apertura sul tetto, delle dimensione di m. 1,5 per 1,5, per rendere possibile il trasporto di materiale attraverso tale apertura; la sera prima dell'infortunio questa era stata coperta con un telo in naylon, inchiodato ai margini tramite tavole sulla superficie di costruzione, per evitare una eventuale infiltrazione di acque piovane, ed il telo si era presto ricoperto di brina.

Quel giorno il Th.WA. era intento a posare delle lastre isolanti sul tetto e stava eseguendo delle misurazioni con una corda;

con questa in mano aveva indietreggiato giungendo sulla suddetta apertura nel tetto, sul telo di naylon, che a causa del suo peso aveva ceduto, provocando così la caduta, da un'altezza di circa cinque metri, sul sottostante pavimento in cemento del lavoratore, che riportava lesioni che lo avevano tratto a morte.

 

1.2. All' A., quale coordinatore per la progettazione del cantiere edile e coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori, si era contestato di avere cagionato la morte del Th. W., per colpa generica e specifica, in particolare per aver disatteso, nelle predette qualità, il disposto del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 4, comma 1, lett. a), e art. 5, comma 1, lett. b).

Nel pervenire alla confermativa statuizione di responsabilità, la Corte territoriale osservava che "non può sussistere alcun dubbio che l'apertura sul tetto ... ai sensi del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 68 dovesse essere delimitata o con una ringhiera o tramite tavole fermapiede solide, per proteggere i lavoratori operanti sul tetto contro il pericolo di cadute dall'alto.

La copertura con un solo telo di naylon per la mera protezione degli influssi meteorologici non soltanto era assolutamente inidonea ad impedire un pericolo di caduta, ma nella specie addirittura fuorviava il carpentiere Th.Wa. operante sul tetto, perchè lo stesso evidentemente supponeva che sotto il telo di naylon si trovasse una copertura solida ...".

Quanto alla specifica posizione dell' A., rilevava che "dalle acquisite risultanze istruttorie emerge in modo chiaro ed univoco che, nè nel piano di sicurezza, il quale è stato redatto dal medesimo nella sua veste di coordinatore di sicurezza sia nella fase di progettazione sia nella fase di esecuzione, nè nel piano operativo di sicurezza delle ditte operanti in cantiere ... è stata eseguita nè una concreta valutazione dei rischi della situazione pericolosa verificatasi in sede di interferenza dei lavori di muratura e carpenteria effettuati simultaneamente sul tetto, nè erano previste le rispettive misure di sicurezza ...".

Evidenziava che "i lavori di carpenteria sul tetto erano iniziati circa due settimane prima dell'infortunio mortale ... e che "l'apertura esisteva già da una settimana prima dell'infortunio"; che "l'imputato ing. A. - sia personalmente ovvero tramite un collaboratore del suo studio - si era recato in cantiere almeno una volta alla settimana ..., sicchè il medesimo era concretamente sempre in grado di coordinare i lavori delle due ditte sul tetto e nel sottotetto sotto l'aspetto della sicurezza ...".

Rilevava, inoltre, "anche se si seguisse l'assunto dell'imputato, secondo cui il medesimo non sarebbe stato a conoscenza dell'apertura sul tetto, il medesimo non andrebbe esente dalla sua responsabilità, poichè una tale eventuale ignoranza della situazione sul cantiere equivarrebbe in ogni caso ad una negligenza degli obblighi previsti dalla legge a carico del coordinatore di sicurezza per la fase di progettazione ed esecuzione, tanto più che al medesimo spetta, ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5, comma 1, il compito di verificare, mediante idonee misure di controllo, l'osservanza delle misure di sicurezza previste nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonchè di adattare continuamente il piano di sicurezza e di coordinamento all'evoluzione del lavori sul cantiere e, in caso di carente adattamento dei piani operativi di sicurezza, di sospendere i lavori...".

 

2.0. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l' A., per mezzo del difensore, denunziando:

a) il vizio di violazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4.

Assume che "non vi è chi non veda come l'affermazione che A. J. si sarebbe limitato a stampare un piano assolutamente generico riproducete i dettami normativi in materia di prevenzione costituisca una mera petizione di principio ...; la ricostruzione dei fatti come emersa in dibattimento avrebbe dovuto condurre a diverse conclusioni..; pare a questa difesa che nè il Tribunale, nè la Corte di Appello abbiano preso in esame altre circostanze, anch'esse emerse in dibattimento al fine di valutare diversamente la posizione dell'imputato ...; il piano di sicurezza redatto non solo è pienamente conforme ai dettami della legge ..., ma prevedeva per i casi di pericolo di cadute dall'alto anche un espresso richiamo alla L. n. 164 del 1956 ...; prescrizioni precise e dettagliate erano previste altresì nel piano operativo della ditta Pe. ...": in sostanza, "non sembra che vi sia alcunchè da rimproverare all'ingegnere che ha redatto il piano di sicurezza ..., dato che, contrariamente a quanto dichiarato dall'ispettore del lavoro, e quanto sostenuto dall'accusa, A.J. ha previsto nel dettaglio tutte le misure di sicurezza per le lavorazioni in quota ...", e "nessuna delle norme summenzionate prescrive a cura del coordinatore per la progettazione di indicare nel piano di sicurezza e quindi di prevedere nello stesso anche le modalità di trasporto del materiale di risulta, sicchè non si capisce in cosa abbia mancato l'imputato per considerarlo responsabile";

 

b) il vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 5.

Premesso che "non vi è dubbio" che tale norma "prescriva l'obbligo per il coordinatore, tra l'altro, di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza e di adeguarlo all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, nonchè di organizzare tra i lavoratori la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonchè la reciproca informazione", assume che "è anche vero che nel caso di specie ... non si vede quale adeguamento il coordinatore avrebbe dovuto porre in essere, dato che la procedura di trasporto del materiale di risulta era stata già dettagliatamente prevista e regolamentata ...".

Soggiunge che "la presenza o meno in cantiere del coordinatore di sicurezza non può avere come corollario una responsabilità del coordinatore per sua colpa omissiva, in quanto nessuna norma ... prevede una presenza minima ..."; inoltre, "nessuna responsabilità poteva essere addebitata al coordinatore per il fatto stesso che fosse a conoscenza della sovrapposizione e/o interferenza di due imprese nel cantiere ...".

Rileva che "le ditte P. e Pe. autonomamente decidevano di lasciare un'apertura sul tetto, però stranamente, anzichè avvisare di tale decisione il coordinatore di sicurezza, ne davano notizia al committente, il quale prestava il suo consenso ...; erano le stesse imprese esecutrici che semmai ... avrebbero dovuto proporre le eventuali modifiche al piano di sicurezza, ma senza che dette modifiche andassero ad incidere in qualche misura sulla diminuzione di livello di sicurezza e/o ad incidere negativamente sui relativi costi di sicurezza": in conclusione, "nessuna responsabilità quindi va addebitata al coordinatore di sicurezza ..., nè l'imputato era obbligato ... a sospendere le lavorazioni, in quanto il coordinatore per l'esecuzione potrà essere ritenuto responsabile per siffatta omissione e conseguentemente per non aver impedito l'evento solamente in quelle situazioni, ove egli direttamente in cantiere riscontri un pericolo grave ed immediato ...";

 

c) vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all'art. 589 c.p. e art. 2087 c.c..

Assume che "nella fattispecie il coordinatore mai avrebbe potuto prevedere nè avere il dubbio che si potesse verificare l'evento ..., dato che aveva predisposto tutte le misure e redatto il piano di sicurezza con previsione di come eseguire le operazioni di trasporto del materiale di risulta attraverso ponteggi esterni e non attraverso apertura effettuate autonomamente dalle ditte esecutrici sul tetto"; inoltre, "ai fini dell'elemento soggettivo della colpa, per poter formalizzare l'addebito colposo, ammesso e non concesso che il coordinatore abbia effettivamente violato la norma cautelare, non basta soffermare l'attenzione sulla predetta violazione, ma è necessario verificare se questa sia diretta ad evitare proprio il tipo di evento dannoso verificatosi...";

 

d) il vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 758 del 1994, artt. "19, 20 e ss.".

"La Corte di Appello ha dichiarato la prescrizione delle contravvenzioni contestate ... quando in realtà andava dichiarata l'improcedibilità dell'azione penale, per omessa applicazione della speciale procedura dell'oblazione amministrativa ..."; in particolare, sarebbe stato disatteso il disposto dell'art. 22 del citato testo normativo.

Conclusivamente rileva che "pur non potendosi far valere il difetto di improcedibilità in questa sede, si appalesa comunque una violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. in riferimento all'art. 686 c.p.p. come modificato dal D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in quanto a quelle ipotesi contravvenzionali estinte in via amministrativa con la formula "ora per allora" non è prevista alcuna iscrizione al casellario giudiziale, mentre per quelle dichiarate prescritte ai sensi dell'art. 425 c.p.p., in sede penale e quindi in sentenza, la stessa iscrizione opera di diritto".

 

2.1. Il ricorrente ha prodotto, per mezzo del difensore, una memoria con la quale deduce la intervenuta prescrizione del reato.

 

2.2. Anche la parte civile ha prodotto, per mezzo del difensore, una memoria con la quale confuta le ragioni del ricorso, che chiede venga dichiarato inammissibile o rigettato.

 

 

Diritto

 

 

3.0. Il ricorso è inammissibile, essendo manifestamente infondati o non consentiti in questa sede di legittimità i motivi addotti a suo sostegno.

 

3.1. Quanto, invero, ai primi tre profili di censura (che conviene esaminare congiuntamente per la interdipendenza che li connota) hanno accertato i giudici del merito che, come s'è già detto, quel telo in naylon era stato apposto per coprire un'apertura sul tetto m. 1,5 per m. 1,5, utilizzata "per rendere possibile il trasporto di materiale attraverso questa apertura" (pag. 4 della integrativa sentenza di primo grado).

E' pacifico e non contestato che tale apertura non era assistita dai presidi antinfortunistici voluti dalla legge, in particolare in riferimento al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 68 che prescrive che "le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da normale parapetto e da tavola fermapiede oppure devono essere coperte con tavolato solidamente fissato e di resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio dei ponti in servizio".

Soggiunge la norma che, "qualora le aperture vengano usate per il passaggio di materiali o di persone, un lato del parapetto può essere costituito da una barriera mobile non asportabile che deve essere aperta soltanto per il tempo necessario al passaggio".

Tali misure, dunque, non vennero sicuramente adottate nella fattispecie che occupa e rileva la sentenza impugnata che "i carpentieri operanti ..., a causa della formazione di brina non erano in grado di rendersi conto che la copertura fosse stata realizzata soltanto con un telone di naylon e che sotto non fossero state fissate delle solide tavole fermapiede ..., sicchè per i medesimi l'apertura coperta rappresentava una vera e propria "insidia" invisibile" (ivi, pagg. 6-7).

Posto che non può sussistere dubbio che siffatta circostanza si sia posta in imprescindibile nesso di relazione causale con l'evento prodottosi, in siffatto gravemente deficitario contesto, dunque, si inserisce, e va valutata, la condotta del ricorrente.

Questi era coordinatore per la progettazione del cantiere ed in quanto tale, in virtù del disposto del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 12 (all'epoca vigente), aveva sicuramente l'obbligo di redigere il piano di sicurezza che doveva contenere "l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, gli apprestamenti e le attrezzature atti a garantire, per tutta la durata del lavoro, il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e la tutela della salute dei lavoratori ...", nonchè "le misure di prevenzione dei rischi risultanti dalla eventuale presenza simultanea o successiva di più imprese o dei lavoratori autonomi ...".

Ebbene, danno atto i giudici del merito che nel piano di sicurezza "non ... sono state previste alcune misure particolari in relazione alla sicurezza per le attività di trasporto del materiale e anche durante la fase esecutiva non vi sono state apportate alcune correzioni", ulteriormente chiarendo che "il piano di sicurezza nella fase di progettazione si limita a rimandare genericamente alle normative di legge in merito alla protezione contro pericoli di cadute dall'alto ...", all'uopo richiamando il punto 9B intitolato "Misure generali di protezione da adottare contro il rischio di caduta dall'altro" ed annotando che al riguardo "non vi sono alcune disposizioni" (così a pag. 6 della integrativa sentenza di prime cure).

Conferma e ribadisce la sentenza ora impugnata che "nè nel piano di sicurezza, il quale è stato redatto dal medesimo ( A.) nella sua veste di coordinatore di sicurezza sia nella fase di progettazione sia nella fase di esecuzione, nè nel piano operativo di sicurezza delle ditte operanti nel cantiere ... è stata eseguita nè una concreta valutazione di rischi della situazione pericolosa verificatasi in sede di interferenza dei lavori di muratura e carpenteria effettuati simultaneamente sul tetto, nè erano previste le rispettive misura di sicurezza ...(ivi, pag. 9).

Tali accertamenti in fatto non possono non ritenersi definitivamente acquisiti alla realtà processuale e, perciò, insindacabili in questa sede di legittimità.

I rilievi gravatori al riguardo si sostanziano, al postutto, nella prospettazione di una diversa realtà fattuale, che dovrebbe scaturire - secondo l'assunto del ricorrente - da "altre circostanze, anch'esse emerse in dibattimento ...", così anche proponendosi una diversa valutazione delle acquisite circostanze probatorie, che, ancora una volta, non può costituire compendio del compito delibativo demandato al giudice della legittimità, non dandosi sostanziale conto di una eventuale illogicità del percorso argomentativo seguito dai giudici del merito, illogicità che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi.

In siffatto accertato contesto, poi, viene in rilievo, come hanno giustamente evidenziato i giudici del merito, il disposto del citato D.P.R. n. 494 del 1996, art. 5 che impone al coordinatore per l'esecuzione dei lavori, tra l'altro, "di verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro", nonchè di "verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza ... e adeguare il piano di sicurezza e coordinamento ... in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute ..., nonchè verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza ...", con l'obbligo anche di segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta, le inosservanze, tra l'altro, dell'art. 8 dello stesso disposto normativo, che fa riferimento anche alle "condizioni di movimentazione dei vari materiali".

Del tutto logicamente i giudici del merito hanno ritenuto la inottemperanza di tali obblighi da parte del ricorrente, rilevando, tra l'altro che "i lavori di carpenteria sul tetto erano iniziati circa due settimane prima dell'infortunio mortale ... e che l'apertura esisteva già da una settimana primo dell'infortunio", essendo anche risultato che "l'imputato ing. A. - sia personalmente ovvero tramite un collaboratore del suo studio - si era recato sul cantiere almeno una volta alla settimana ..., sicchè il medesimo era concretamente sempre in grado di coordinare i lavori delle due ditte sul tetto e nel sottotetto sotto l'aspetto della sicurezza ..." (pagg. 9-10 della sentenza impugnata).

E del tutto pertinentemente annotano i giudici del gravame che, "anche se si seguisse l'assunto dell'imputato, secondo cui il medesimo non sarebbe stato a conoscenza dell'apertura del tutto, il medesimo non andrebbe esente dalla sua responsabilità, poichè una tale eventuale ignoranza della situazione sul cantiere equivarrebbe in ogni caso ad una negligenza (nella esecuzione) degli obblighi previsti dalla legge a carico del coordinatore di sicurezza per la fase di progettazione e di esecuzione", all'uopo richiamando le prescrizioni del D.Lgs. n. 494 del 1996, precitato art. 5. (ibid, pag. 10).

In sostanza, e conclusivamente, i giudici del merito, con argomentazioni congrue, pertinenti e logiche, hanno già esaurientemente risposto ai rilievi gravatori che vengono ora riproposti in questa sede di legittimità; i quali, in definitiva, scontano evidentemente la proposizione di una, in parte, diversa allegazione di merito e di una diversa valutazione di quelle circostanze già evidenziate e logicamente apprezzate in sede di merito.

 

3.2. Del tutto infondato è, infine, l'ultimo profilo di censura, afferente alla statuizione di non doversi procedere in ordine alle contravvenzioni contestate per essere le stesse estinte per prescrizione.

Pure rilevando il ricorrente di non poter "far valere il difetto di improcedibilità in questa sede", una siffatta questione ("improcedibilità dell'azione penale per omessa applicazione della speciale procedura dell'oblazione amministrativa") non risulta essere mai stata prospettata in sede di merito; e l'assunto gravatorio solo ora prospettato è smentito dal letterale disposto del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, art. 3, lett. f).

 

4.0. La rilevata inammissibilità del gravame preclude il rilievo della frattanto intervenuta prescrizione del reato.

 

4.1. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente, come evidenziata dallo stesso vizio genetico rilevato (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2010