REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI POTENZA
SEZIONE LAVORO

La Corte di Appello di Potenza - Sezione del Lavoro - nelle persone dei magistrati:
dott. Pio Ferrone - Presidente
dott.ssa Maura Stassano - Consigliere
dott.ssa Caterina Marotta - Consigliere/Relatore
ha pronunziato all'udienza del 27/5/2010 la seguente
 

SENTENZA

 

 nel giudizio di appello iscritto al n. 629 del ruolo generale appelli lavoro dell'anno 2009
TRA
CA.RA., rappresentato e difeso, in virtù di procura a margine del ricorso in appello dall'avv. C.P. ed elettivamente domiciliato in Potenza presso lo studio dell'avv. R.T.;
APPELLANTE
E
E. S.R.L., in persona del suo legale rappresentante pro - tempore, rappresentato e difeso, in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione in appello, dall'avv. C.R. ed elettivamente domiciliata in Matera presso lo studio dello stesso;
APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE
NONCHÉ
FI.GI., rappresentato e difeso, giusta mandato a margine della comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, dall'avv. P.S. ed elettivamente domiciliato in Matera presso lo studio dell'avv. C.P.;
APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE
NONCHÉ
N.A. S.p.A. (già M.A. e L N.A. S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro - tempore, rappresentato e difeso, giusta mandato in calce all'atto di appello notificato, dall'avv. S.P. ed elettivamente domiciliato in Potenza presso lo studio dell'avv. G.M.;
APPELLATO - APPELLANTE INCIDENTALE
OGGETTO: Risarcimento danni - Appello avverso la sentenza recante il n. 87/2009 emessa dal Giudice del lavoro del Tribunale di Matera.



 

Fatto

 


Il Giudice del lavoro del Tribunale di Matera, con sentenza pronunziata in data 29/1/2009, accoglieva parzialmente il ricorso proposto da Ca.Ra. con ricorso depositato in data 16/9/99 nei confronti della Ed. S.r.l. condannando la società a corrispondere al Ca., a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 14.509,00, nonché condannando la N.A. S.p.A. (chiamata in causa su richiesta della E. S.r.l.) a manlevare la Ed. della complessiva somma di Euro 57.421,00 ed altresì condannando Fi.Gi. (chiamato in causa su richiesta della N.A. S.p.A.) a corrispondere alla Na.As. la somma di Euro 28.710,50.

Nel rapporto processuale tra il Ca. e la E. S.r.l., le spese processuali venivano compensate per metà e condannata la società al pagamento, in favore del ricorrente, della residua quota; nel rapporto processuale tra la E. S.r.l. e la N.A. S.p.A., le spese venivano compensate per intero; nel rapporto processuale tra Fi.Gi. e la N.A. S.p.A., le spese venivano compensate per metà e condannato il Fi. al pagamento in favore della società della residua quota.


Con il ricorso indicato, Ca.Ra. aveva esposto che:

- era dipendente della E. S.r.l. ed era rimasto vittima di un incidente sul lavoro verificatosi il 5/12/96 a Parma;

- su direttiva di Fi.Gi., consulente tecnico e direttore del cantiere della E., si era calato in uno scavo non puntellato ed era stato investito da uno smottamento di ghiaia;

- aveva subito un intervento chirurgico ed aveva avuto quali conseguenze una inabilità temporanea assoluta di 60 giorni, una inabilità temporanea relativa di 60 giorni e gli erano residuati postumi invalidanti 28/30%;

- la società gli aveva corrisposto Lire 25.000.000 a titolo di risarcimento per le lesioni, somma trattenuta dal ricorrente a titolo di acconto.

Aveva, quindi, chiesto il risarcimento del danno biologico per Lire 144.900.000 e del danno morale per Lire 100.000.000.


Si era costituita la E. S.r.l. ed aveva contestato l'an e il quantum debeatur.

Aveva chiesto chiamarsi in causa la N.A. S.p.A. per essere manlevata di quanto dovuto al Ca.

Disposta tale chiamata in causa, si era costituita la N. e chiesto a sua volta chiamarsi in causa Fi.Gi. Autorizzata anche tale chiamata in causa, si era costituito il Fi. ed aveva contestato la legittimità della domanda formulata nei suoi confronti, evidenziando la mancanza dei presupposti per poter riversare su di lui responsabilità naturalmente connesse alla posizione dell'imprenditore, datore di lavoro; in ogni caso aveva contestato sia l'an sia il quantum debeatur come dedotto dal ricorrente.


Svolta l'istruttoria con l'interrogatorio formale del Ca., l'escussione dei testi ammessi e l'espletamento di C.T.U., il giudice aveva deciso la causa ritenendo accertata la responsabilità della E. S.r.l. e del Fi. in ordine alla causazione dell'infortunio, aveva quantificato il danno biologico, in relazione a postumi del 24%, in misura pari ad Euro 64.598,00 e ridotto tale importo di 1/3 per il fatto che le Tabelle milanesi, utilizzate per la quantificazione del danno civilistico, avevano tenuto conto anche della diminuzione della capacità lavorativa generica, già indennizzata dall'I.N.A.I.L.

Quindi aveva determinato, sull'ottenuto importo di Euro 43.066,00, il danno morale nella misura di 1/3 e dunque in un importo di Euro 14.255,00.

Aveva, poi, ritenuto che nulla spettasse al Ca. a titolo di danno biologico per l'inabilità temporanea assoluta e parziale, essendo stato tutto indennizzato dall'I.N.A.I.L.

Dal complessivo importo di Euro 57.421,00 aveva, quindi, decurtato la somma di Euro 12.911,42 già corrisposta dalla E. S.r.l., nonché l'ulteriore somma di Euro 30.000,00 corrisposta in corso di causa dalla N.A. S.p.A., giungendo, così, a quantificare in complessivi Euro 14.509,00 il risarcimento residuo ancora dovuto al Ca. Aveva, perciò, condannato la Ed. S.r.l. a corrispondere al Ca. la suddetta somma di Euro 14.509,00.

Aveva, infine, condannato la N.A. a manlevare la E. S.r.l. della complessiva somma di Euro 57.421,00 ed altresì condannato Fi.Gi. a corrispondere alla N. il 50% (in ragione della pari responsabilità in ordine alla causazione dell'evento) della suddetta somma di Euro 57.421,00 e cioè di Euro 28.710,50.

 

Avverso tale sentenza, con atto depositato in data 17/9/2009, proponeva appello Ca.Ra. e contestava la ritenuta inclusione nell'indennizzo operato dall'I.N.A.I.L. della riduzione della capacità lavorativa generica (che aveva portato il primo giudice a diminuire ad Euro 43.066,00 l'importo del danno quantificato in Euro 64.598,00), l'esclusione del risarcimento del danno biologico per l'inabilità temporanea (assoluta e relativa), il calcolo del danno morale operato sulla base di decurtazioni che non andavano effettuate, l'erroneo computo degli acconti versati sulla somma complessivamente dovuta senza tener conto del fatto che gli stessi erano intervenuti medio tempore.

Chiedeva, pertanto, all'adita Corte di Appello di Potenza, Sezione del Lavoro, di voler accogliere le conclusioni come in epigrafe riportate.

Fissata dal Presidente, con decreto del 22/9/2009, ex art. 435 c.p.c., l'udienza di discussione dinanzi al Collegio per il 18/2/2010, con memoria difensiva depositata il 16/1/2009 si costituiva nel giudizio di gravame la N.A. S.p.A. (già M. e L N.A. S.p.A.) e deduceva l'infondatezza dell'appello evidenziando la correttezza del calcolo come effettuato dal primo giudice.

Spiegava la società appello incidentale e chiedeva la riforma della sentenza appellata nella parte in cui era stata ritenuta una corresponsabilità del Fi. nella causazione dell'evento de quo evidenziando che il Fi., libero professionista e con mansioni autonome e dirette competenze gestionali e di coordinamento sul cantiere, doveva essere considerato l'unico responsabile di quanto accaduto.
Con memoria depositata in data 8/2/2010 si costituiva la E. S.r.l. e pur controdeduceva in ordine ai motivi dell'appello principale.

Spiegava detta società appello incidentale e chiedeva la riforma della sentenza nella parte relativa al quantum debeatur evidenziando che andava considerato, ai fini della corretta quantificazione, il comportamento del Ca., che andava decurtata tutta la somma corrisposta dall'I.N.A.I.L. a titolo di rendita, che sulla somma liquidata, come già rivalutata, non potevano corrispondersi gli interessi legali, che le somme corrisposte a titolo di acconto non potevano essere portate in detrazione da un importo rivalutato ad oggi.

Con memoria depositata in data 8/2/2010 si costituiva nel giudizio di appello Fi.Gi. e pure proponeva appello incidentale evidenziando la carenza di ius postulandi del difensore della N.A. S.p.A., l'infondatezza della sua chiamata in causa ad opera della N.A. S.p.A. Evidenziava che tra il Fi. e la E. S.r.l. all'epoca dei fatti era in essere un rapporto di collaborazione, con un suo inserimento nell'organizzazione della società, in forza del quale nessuna azione di rivalsa poteva essere esercitata dalla Na. in forza della polizza stipulata con la E. S.r.l.
All'odierna udienza, all'esito della discussione da parte dei procuratori presenti, la Corte si pronunciava come da dispositivo, pubblicamente letto.



 

Diritto

 

 


Alla disamina dei motivi di gravame, è, poi, opportuno premettere che il dovere di motivazione del giudice di appello resta sempre correlato ai motivi di impugnazione (v., tra le altre, Cass. n. 9177/97), ragion per cui ogni altra questione, non specificamente riproposta dalle parti, è, ormai, coperta da giudicato.
Così, nello specifico, è da ritenersi ormai preclusa ogni questione relativa all'accertamento della responsabilità della E S.r.l. per l'infortunio occorso a Ca.Ra. per violazione dell'obbligo di tutelare la sicurezza e la salute del lavoratore sul luogo di effettuazione della prestazione (an debeatur).

Di tale accertamento, così come effettuato dal primo giudice sulla base della ricostruzione operata dal dipartimento di prevenzione della ASL di Parma, non si duole, infatti, la società che ha impugnato la sentenza solo nella parte relativa alla quantificazione del danno.

Invero, al punto a) dell'appello incidentale della E. S.r.l. viene censurata la decisione in ordine al quantum debeatur, evidenziandosi che il primo giudice erroneamente non avrebbe tenuto conto del fatto che lo stesso Ca. aveva concorso nella produzione dell'evento.

Tale deduzione, però, non era mai stata avanzata in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado e, dunque, determina, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., una inammissibile introduzione di un thema decidendum completamente nuovo rispetto alle questioni di cui si occupò il primo giudice.

Sempre in via preliminare, va osservato che la E. S.r.l. non ha mai posto la questione della responsabilità di Fi.Gi. come terzo estraneo eventualmente obbligato a tenere indenne la società per una responsabilità originaria dovuta al fatto di questi (anzi, come si rileva dalla comparsa di costituzione della società nel giudizio di primo grado, viene escluso ogni comportamento negligente, imprudente e/o imperito del geom. Fi. sul presupposto di una riconducibilità dell'attività da quest'ultimo svolta ad esso datore di lavoro) né risulta avanzata dal Ca. una domanda risarcitoria anche nei confronti del Fi.
Il ruolo di quest'ultimo, come si evince dalla ricostruzione in fatto come operata dal primo giudice, è, dunque, in sede di regolazione del rapporto tra infortunato e datore di lavoro, descritto al solo fine di ascrivere alla società la responsabilità di quanto accaduto in conseguenza di una omessa valutazione (tanto da parte del Fi. - che in qualità di direttore di cantiere curava la sicurezza dell'esecuzione delle opere - tanto dell'amministratore della E. S.r.l.) del pericolo di frana del terreno, delle condizioni di quest'ultimo (reso meno compatto dai ripetuti mescolamenti), della necessità di adottare misure di sostegno.


Il Fi., però, è stato chiamata in causa dalla L.N.A. S.p.A. (ora N.A. S.p.A.) al fine di essere manlevata dallo stesso per i pagamenti dovuti al Ca. Va, al riguardo, innanzitutto rigettata l'eccezione di carenza dell'ms postulandi in capo all'avv. Sa.Pa. come formulata da Fi.Gi. Si rileva, infatti, dal mandato conferito in data 22/6/2000 in calce alla comparsa di costituzione e risposta della E. S.r.l. (contenente la richiesta di manleva nei confronti della N.A. S.p.A.) anche la facoltà di chiamare terzi in causa che implicitamente, considerato l'ambito della lite come delineato dalla vocatio in ius, comportava la facoltà di porre al terzo chiamato domande in qualche modo dirette a sollevare il convenuto stesso dall'eventuale soccombenza nei confronti di parte attrice (cfr. in tal senso Cass. n. 12672 del 17/10/2001, Cass. n. 4356 del 7/4/2000, Cass. n. 13001 del 2/10/2000, Cass. n. 15619 del 26/7/2005).

Va, poi, rilevato che la società assicuratrice ha chiesto chiamarsi in causa il Fi. "... per le sue oggettive responsabilità connesse alla figura di direttore di cantiere, perché è libero professionista pagato su fattura, perché non è dipendente della ditta E. S.r.l. ...". Invero il primo giudice ha qualificato tale domanda come esercizio del diritto di surroga dell'assicurato verso il terzo (ai sensi dell'art. 1916 c.c.) e, con riferimento a tale qualificazione, nessun rilievo è stato mosso dalla stessa società di Assicurazioni.

Dunque, il presupposto della chiamata in causa del Fi. è che quest'ultimo sia appunto un terzo responsabile dell'infortunio, esterno al rischio protetto dall'assicurazione, e non un intraneus rispetto al datore di lavoro ovvero un soggetto del cui comportamento il datore di lavoro sia comunque chiamato a rispondere.
Del resto, l'ampiezza della clausola di cui all'art. 13 lett. b) del contratto di assicurazione è tale da far ritenere l'obbligo assicurativo volto a tenere indenne il datore di lavoro, quale civilmente responsabile (e, dunque, anche quale responsabile per il fatto di un proprio dipendente ovvero di un preposto), di quanto questi sia tenuto a pagare per l'infortunio occorso al prestatore.

In sostanza, come la circostanza che l'infortunio sia stato determinato da un comportamento colposo del dipendente ovvero del preposto, non libera di per sé il datore di lavoro/committente così, in ragione della permanenza di un obbligo civile, resta per intero la garanzia assicurativa.

Diversamente va opinato laddove sia chiamato in causa un terzo e cioè un soggetto non rientrante nell'elencazione di cui allo stesso contratto di assicurazione - cfr. art. 15 lett. e) nel quale sono indicate tra le persone "non considerate terzi" i dipendenti, i soggetti legati alla società da un rapporto si subappalto ovvero coloro che abbiano svolto una partecipazione manuale all'attività della società -. Orbene, sulla base della stessa ricostruzione di cui alla sentenza appellata (sul punto, come detto, non oggetto di censura) oltre che sulla base delle affermazioni confessorie della E. S.r.l., il Fi. non era certo un soggetto estraneo all'organizzazione aziendale e tale, appunto, da essere considerato terzo.

 

In accoglimento dell'appello incidentale di Fi.Gi., la domanda avanzata nei suoi confronti dalla Na.As. S.p.A. deve, perciò, essere rigettata.

Vanno, poi, trattate congiuntamente, la questione posta dall'appellante principale e relativa alla ritenuta erronea riduzione ad Euro 43.066,00 dell'importo del danno civilistico quantificato in Euro 64.598,00 per il fatto che le Tabelle milanesi, utilizzate per tale quantificazione, avevano tenuto conto anche della diminuzione della capacità lavorativa generica, già indennizzata dall'I.N.A.I.L. e la questione posta dalla Ed. S.r.l. secondo la quale, per evitare ingiuste locupletazioni, dall'importo complessivamente determinato andrebbe, invece, decurtata tutta la somma corrisposta dall'I.N.A.I.L. a titolo di rendita, trattandosi di questioni entrambe attinenti all'esistenza ed all'ammontare del c.d. "differenziale" con riferimento ad un infortunio verificatosi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 38 del 2000.

In termini generali si è pressoché unanimemente affermato che la regola dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni subiti dal lavoratore infortunato di cui all'art. 10 del T.U. 1124 del 1965 dovesse essere interpretata come riferentesi al solo danno "patrimoniale" oggetto dell'assicurazione obbligatoria.
Si è, così, sostenuto che la tutela apprestata dall'assicurazione sociale si riferisse unicamente alla perdita della c.d. capacità lavorativa generica, con esclusione delle altre voci di danno.

Tra queste ultime (che dovevano essere risarcite dal datore di lavoro) rientravano il danno biologico, il danno morale, il danno da perdita della capacità lavorativa specifica.
Controversa è stata la riconducibilità al danno biologico, quale componente dello stesso, della perdita della capacità lavorativa generica e ciò specialmente ai fini di una eventuale detrazione di parte dell'importo liquidato dall'Inail da quello ritenuto spettante a titolo di danno biologico.
La giurisprudenza, sul punto non è stata, sempre univoca, tuttavia prevalente è risultato l'indirizzo secondo il quale fosse da distinguere tra menomazione della "capacità lavorativa specifica", configurante un pregiudizio patrimoniale e come tale riconducibile nell'ambito del danno patrimoniale (oggetto di assicurazione obbligatoria ai sensi del T.U. n. 1124 del 1965) e non nell'ambito del danno biologico e menomazione della "capacità lavorativa generica" ricollegabile ad altri ambiti ed ad altre modalità di espressione della personalità del danneggiato nella vita di relazione e come tale riconducibile nell'ambito del danno non patrimoniale.
Il suddetto distinguo è stato operato dalla giurisprudenza che ha, in particolare, evidenziato come la capacità lavorativa generica debba intendersi quale potenziale attitudine all'attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttive di reddito, né è in procinto, presumibilmente di svolgerla, e come tale va conglobata nella liquidazione del danno biologico che ricomprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato.

Così si è, infatti, espressa la Cass. n. 8325 del 1992 secondo la quale, "In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l'art. 10 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, a seguito della giurisprudenza della Corte Costituzionale espressa delle sentenze n. 87 e n. 356 del 1991, va interpretato non (più) nel senso che l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile comprende il danno biologico, la risarcibilità del quale, come danno differenziale, è possibile solo nell'ipotesi di responsabilità penale, ma nel senso che tale esonero opera nell'ambito della copertura assicurativa e non comprende il danno biologico; peraltro, il risarcimento di tale danno, finché il legislatore non ottemperi ai moniti rivoltigli dalle citate pronunce costituzionali, spetta al lavoratore - che può richiederlo autonomamente (e non più a titolo differenziale) al proprio datore di lavoro (indipendentemente dalla prestazione previdenziale dell'INAIL) - nei casi di infortunio o malattia professionale addebitabile ad una colpa (anche se concorrente e non di rilievo penale) dell'imprenditore, o di qualsiasi suo sottoposto di cui egli debba rispondere civilmente, restando esso escluso (fino all'auspicato intervento legislativo suddetto) in ipotesi di eventi che dipendano da caso fortuito, forza maggiore o da colpa esclusiva dello stesso lavoratore".

Egualmente si è espressa la Cass. n. 9401 del 1997 secondo cui: "l'Inail, a seguito della modifica normativa conseguente ad alcune decisioni della Corte Costituzionale (nella specie n. 356 del 1991), non può surrogarsi all'assicurato per le somme dovutegli dal responsabile del sinistro stradale per risarcimento del danno biologico non soltanto se questo non è collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica, ma altresì se, pur essendovi tale collegamento, è difficile scindere tale voce dall'"unicum" che costituisce il danno biologico" (cfr. in senso conforme Cass. n. 12247 del 3/12/1998).


I giudici di legittimità hanno ulteriormente specificato che "il danno biologico e quello patrimoniale (considerato cioè per i riflessi della lesione sul piano economico reddituale) attengono a due distinte sfere di riferimento, dovendosi avere riguardo per il secondo alla riduzione della capacità di guadagno, e, per il primo, prevalentemente alla gravita dell'inabilità" - così Cass. n. 475 del 19/1/1999 -.

Con l'ulteriore pronuncia della Cass. n. 11428 del 30/8/2000 si è precisato che "La copertura assicurativa prevista dall'attuale sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, pur non avendo per oggetto esclusivamente il danno patrimoniale in senso stretto - posto che la prestazione dell'Inail spetta a prescindere dalla sussistenza o meno di una effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell'assicurato - non ha per oggetto il danno biologico, poiché le indennità previste dal D.P.R. n. 1124 del 1965 sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svanta22i. le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento ad ambiti diversi da quelli riconducibili all'attitudine al lavoro".

Ancora con la Cass. n. 6291 del 18/04/2003 si è puntualizzato che: "non può farsi discendere in modo automatico dall'invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica. Detto danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un'attività lavorativa produttiva di reddito, ed inoltre attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l'infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. La prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento, e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di guadagno".


Va ancora segnalata la pronuncia della Cass. n. 15187 del 6/8/2004 - ed in senso conforme la precedente Cass. n. 15859 del 15/12/2000 - secondo la quale: "All'interno del risarcimento del danno alla persona, il danno da riduzione della capacità lavorativa generica, costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto, non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione dell'integrità psico - fisica risarcibile quale danno biologico". Tale orientamento si inserisce nel filone che ritiene che, nella nozione di danno biologico, rientrino tutte le ipotesi di danno "non reddituale", e cioè i danni estetici, quelli alla vita di relazione, i danni da riduzione della capacità lavorativa generica - cfr. in tal senso Cass. n. 9514 del 20/4/2007 che fa seguito ad altre precedenti come Cass. n. 6895 del 21/5/2001, Cass. n. 1512 del 2/2/2001).

Anche nella sentenza n. 4920 del 10/3/2004 la Corte di Cassazione ha avuto occasione di stabilire che, in base alla disciplina di cui al T.U. n. 1124 del 1965, "l'indennizzo a carico dell'I.N.A.I.L. previsto in caso di infortunio sul lavoro si riferisce esclusivamente alla riduzione della capacità lavorativa e, anche in base all'interpretazione della Corte costituzionale (sent. n. 319/1989 e 356 e 485/1985 cit.) non comprende una quota volta a risarcire il danno biologico, atteso che la configurabilità concettuale della duplice conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) del danno alla persona non significa che il diritto positivo prevedesse un danno biologico previdenziale patrimoniale" (cfr. nel medesimo senso Cass. n. 12387 del 23/8/2003, Cass. n. 4080 del 21/3/2002).

Di particolare rilevo è anche la pronuncia della Corte di Cassazione n. 24451 del 18/11/2005 (intervenuta dopo l'entrata in vigore del Decreto Legislativo 7 settembre 2005 n. 209, c.d. Codice delle assicurazioni), che, nel riferirsi alla componente del danno biologico attinente e alla sfera della persona (in aggiunta alla componente a prova scientifica della menomazione psicofisica che esige un accertamento ed una valutazione medico - legale), ha introdotto il concetto di "danno biologico pluridimensionale" e, facendo riferimento alle "sottovoci storiche" le ha individuate nel danno alla vita di relazione, nella perdita delle qualità della vita personali in relazione al concreto vivere della persona attiva, nella perdita delle qualità relazionali, sociali e lavorative.

Secondo la S.C. il codice delle assicurazioni ha analiticamente definito le quattro dimensioni essenziali del danno biologico, aggiungendo alle prime due (dimensione psichica e fisica, a prova scientifica), la incidenza negativa sulle attività quotidiane (come danno biologico per la perdita delle qualità della vita, in concreto subito) e la perdita degli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato (che invece attengono alla vita esterna, non solo a rilevanza sociale, ma anche culturale e politica, inclusa la perdita della capacità lavorativa generica per lo meno in visione prospettica di produzione di reddito).

Quindi, anche il danno alla capacità lavorativa generica, a differenza del danno alla capacità lavorativa specifica, ha natura non patrimoniale e non è scindibile dal punteggio complessivo del danno biologico.
Tra le pronunce più recenti vanno ancora segnalate la sentenza della Cass. 12247 del 25/5/2007 secondo cui: "Nella nozione di danno biologico - che è danno alla salute e rientra, per il disposto dell'art. 32 Cost., tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione, la cui tutela è apprestata dall'art. 2059 cod. civ. - rientrano tutte le ipotesi di danno "non reddituale", e cioè i danni estetici, quelli alla vita di relazione, e i danni da riduzione della capacità lavorativa generica" e la sentenza n. 17464 del 9/8/2007: "La menomazione della capacità lavorativa specifica, configurando un pregiudizio patrimoniale, va ricondotta nell'ambito del danno patrimoniale e non del danno biologico".

Alla luce dell'evidenziato orientamento giurisprudenziale deve, pertanto, escludersi che, vigente il T.U. n. 1124 del 1965, parte del danno biologico risulti coperto dalla rendita corrisposta dall'I.N.A.I.L. giacché l'indennità erogata dall'Istituto è collegata e commisurata esclusivamente ai riflessi patrimoniali attinenti alla produzione di reddito che la menomazione psico - fisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato.

 
Di conseguenza, nessuna riduzione poteva essere operata sul presupposto che il danno civilistico quantificato sulla base delle Tabelle milanesi comprendesse la riduzione della capacità di lavoro generica (quest'ultima valutata con riferimento ai differenti riflessi "non reddituali") dovendo, perciò, anche escludersi, rispetto a tale quantificazione, ingiuste locupletazioni trattandosi di voci risarcitorie diverse rispetto all'indennità erogata dall'Istituto.

La suddetta impostazione concettuale consente, altresì, di ritenere fondata la questione posta dall'appellante con riferimento all'ingiusto mancato riconoscimento del danno biologico in relazione alla invalidità temporanea assoluta (che coincide con la durata della malattia e, quindi, con l'impossibilità per il danneggiato di godere appieno del proprio bene salute per un dato periodo di tempo) e parziale (rapportabile al tempo necessario per la completa stabilizzazione dello stato di malattia e quindi al periodo di convalescenza nel quale il danneggiato solo parzialmente potrà dedicarsi alle consuete attività della vita di ogni giorno).

Valga, al riguardo, il richiamo ad un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: "Il danno biologico, come danno alla salute, va valutato sia in riferimento alla invalidità temporanea che in riferimento all'invalidità permanente, ed è consentito al giudice del merito liquidare il danno biologico valutando separatamente l'invalidità temporanea e quella permanente, purché il complessivo ammontare del risarcimento sia commisurato alla reale entità del danno, in quanto la liquidazione del danno biologico con importi distinti, in relazione ai due momenti della inabilità temporanea e della invalidità permanente del danneggiato, non comporta la duplicazione di una voce di danno ontologicamente unitaria, ma si risolve nell'adozione di un criterio di liquidazione ammissibile, se il riferimento all'inabilità temporanea e all'invalidità permanente non è finalizzato all'individuazione della diminuita capacità di guadagno del danneggiato, criterio non utilizzabile per la liquidazione del danno biologico, ma all'individuazione di periodi diversi, che corrispondono ad una diversa intensità della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto, ai quali rapportare la liquidazione equitativa di un danno, risarcibile per equivalente con una prestazione patrimoniale, atta a reintegrare un valore leso che non ha in sé immediata natura patrimoniale" - cfr. Cass. n. 11704 del 30/7/2003 ed in senso conforme Cass. n. 3806 del 25/2/2004, Cass. n. 15223 del 19/7/2005 -.
Dunque, non essendo in discussione il criterio adottato dal primo giudice (e cioè l'utilizzo delle Tabelle milanesi) il danno va quantificato in Euro 64.598,00, somma già rivalutata all'1/1/2008, senza decurtazioni. Sempre sulla base delle Tabelle di Milano va quantificato un importo di danno biologico per invalidità temporanea assoluta e parziale pari ad Euro 4.098,00, sempre rivalutato all'1/1/2008 (60 gg. di inabilità temporanea totale x Euro 42,49 + 60 gg. di inabilità assoluta parziale x Euro 25,82).

Sul totale complessivo di Euro 68.696,00 va determinato il danno morale (anche in questo caso utilizzando il criterio - 1/3 del danno biologico - fatto proprio dal primo giudice e non oggetto di specifica censura) e quantificato in Euro 22.594,66, pervenendosi così ad un importo complessivo dovuto dalla società al lavoratore infortunato di Euro 91.594,66, somma già rivalutata all'1/1/2008.
Va, a questo punto, esaminata la questione posta sia dall'appellante principale sia dalla N.A. S.p.A. della corretta imputazione e valutazione degli acconti di Euro 12.911,42 (versato in data 5/7/99 dal datore di lavoro) e di Euro 30.000,00 (versato in data 10/7/2004 dalla N.A. S.p.A.) nonché l'ulteriore questione posta da quest'ultima società e relativa all'erronea applicazione sulle somme rivalutate anche degli interessi legali.

 

I motivi di gravame sono per quanto di ragione fondati.


In linea generale va detto che il danneggiato va reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto. A tal fine si deve provvedere alla rivalutazione del credito, cioè alla trasformazione dell'importo del credito originario in valori monetati correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale.
Sempre in termini generali, gli interessi vanno calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria. Sul capitale rivalutato vanno, poi, calcolati gli ulteriori interessi legali fino al soddisfo.

Quanto agli acconti versati, gli stessi, in ossequio al medesimo principio della reintegra, pure devono essere rivalutati, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, dalla data dei versamenti a quella della attualizzazione del risarcimento e ciò alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale che, in caso di versamento di un acconto nelle more della definizione del giudizio relativo alla liquidazione del danno da illecito civile, impone di sottrarre l'acconto dall'ammontare del risarcimento, calcolato con riferimento al momento del sinistro, e di rivalutare la differenza oppure di rivalutare l'acconto già pagato e sottrarlo all'ammontare del risarcimento liquidato in moneta attuale (cfr. in tal senso Cass. n. 2074 del 4/5/1989; Cass. n. 1163 del 5/2/1998). In tema di risarcimento del danno, poi, i versamenti effettuati in favore del danneggiato, non possono essere imputati secondo i criteri di cui all'art. 1194 c.c., ovvero prima agli interessi e poi al capitale, poiché tale norma presuppone la liquidità e l'esigibilità del credito al momento del pagamento, ovvero l'esistenza di un debito di valuta, che, in realtà, è insussistente fino alla liquidazione del danno (cfr. Cass. n. 6228 dell'1/7/1994, Cass. n. 5707 del 26/6/1997, Cass. n. 6022 del 16/4/2003, Cass. n. 20904 del 27/10/2005).


In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, l'appello principale va accolto e, per l'effetto, va condannata la E. S.r.l. al pagamento in favore di Ca.Ra. dell'importo di Euro 91.594,66 - da cui vanno detratti l'importo di Euro 12.911,42, rivalutato secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo dal 5/7/99 all'1/1/2008 (data della liquidazione come effettuata dal primo giudice), e l'importo di Euro 30.000,00, rivalutato secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo dal 10/7/2004 ali'1/1/2008 -, oltre gli interessi legali sulla somma devalutata alla data dell'infortunio (5/12/96) e rivalutata annualmente fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e gli interessi al tasso legale sul capitale rivalutato da tale momento fino al soddisfo.


La N.A. S.p.A. va condannata a manlevare la E. S.r.l. dell'importo complessivamente dovuto a Ca.Ra. come sopra determinato.


Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, la complessiva valutazione della fondatezza delle ragioni del Ca., l'esito dell'appello incidentale proposto dalla Ed. S.r.l. e la controvertibilità delle questioni poste, in particolare, con l'appello principale costituiscono motivo per compensare per 1/3 le spese del doppio grado tra Ca.Ra. e la E. S.r.l. e condannare quest'ultima al pagamento in favore del primo della residua quota.
Le medesime ragioni poste a base della compensazione delle spese di primo grado tra la E. S.r.l. e la N.A. S.p.A. (non oggetto di censura) costituiscono motivo per una regolamentazione delle spese del presente grado di giudizio tra dette parti negli stessi termini.
La controvertibilità della questione posta dalla chiamata in causa di Fi.Gi. da parte della N.A. S.r.l. costituisce motivo per compensare per metà tra dette parti le spese processuali del doppio grado di giudizio e condannare la N.A. S.p.A. (già N.A. S.p.A.) al pagamento in favore del Fi. della residua quota.



 

P.Q.M.

 

 La Corte di Appello di Potenza, Sezione del Lavoro, definitivamente pronunziando sull'appello proposto da CA.RA. con atto depositato in data 17/9/2009 nei confronti della E. S.R.L., della N.A. S.p.A., di FI.GI. nonché sugli appelli incidentali proposti dalla E. S.r.l. con atto depositata in data 8/2/2010, dalla N.A. S.p.A. con atto depositato in data 16/12/2009, e da FI.GI. con atto depositato in data 8/2/2010 avverso la sentenza del Tribunale di Matera - giudice del lavoro - n. 87/2009 pronunziata in data 29/1/2009, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa così provvede:

 


1) condanna la Ed. S.r.l. al pagamento in favore di Ca.Ra. dell'importo di Euro 91.594,66 - da cui vanno detratti l'importo di Euro 12.911,42, rivalutato secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo dal 5/7/99 all'1/1/2008, e l'importo di Euro 30.000,00, rivalutato secondo gli indici Istat dei prezzi al consumo dal 10/7/2004 all'1/1/2008 -, oltre gli interessi legali sulla somma devalutata alla data dell'infortunio (5/12/96) e rivalutata annualmente fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e gli interessi al tasso legale sul capitale rivalutato da tale momento fino al soddisfo;


2) condanna la N.A. S.p.A. a manlevare la E. S.r.l. dell'importo complessivamente dovuto al dipendente a titolo di risarcimento come quantificato al capo 1);

3) rigetta la domanda avanzata dalla N.A. S.p.A. nei confronti di Fi.Gi.;


4) compensa tra Ca.Ra. e la E. S.r.l. 1/3 delle spese del doppio grado di giudizio e condanna la E. S.r.l. al pagamento in favore del Ca. della residua quota, con attribuzione al difensore per dichiarato anticipo; liquida per intero le spese del primo grado di giudizio in complessivi Euro 5.000,00 di cui Euro 2.600,00 per onorari difensivi oltre IVA e CAP come per legge; liquida per intero le spese del presente grado di giudizio in complessivi Euro 5.512,50 di cui Euro 2.100,00 per diritti, Euro 2.800,00 per onorari ed Euro 612,50 per rimborso forfettario oltre IVA e CPA come per legge;

5) compensa le spese processuali tra la E. S.r.l. e la N.A. S.p.A.;

6) condanna la Na.As. S.p.A. al pagamento in favore di Fi.Gi. di metà delle spese processuali del doppio grado di giudizio e compensa tra le parti la residua quota; liquida per intero le spese del primo grado di giudizio in complessivi Euro 5.000,00 di cui Euro 2.600,00 per onorati difensivi oltre IVA e CAP come per legge; liquida per intero le spese del presente grado di giudizio in complessivi Euro 5.512,50 di cui Euro 2.100,00 per diritti, Euro 2.800,00 per onorari ed Euro 612,50 per rimborso forfettario oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Potenza, il 27 maggio 2010.
Depositata in Cancelleria il 4 agosto 2010.