"Anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell'articolo 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sè sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge".


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico Presidente

Dott. DE RENZIS Alessandro Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo Consigliere rel.

Dott. NAPOLETANO Giuseppe Consigliere

Dott. CURZIO Pietro Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 

 

 

 

sul ricorso proposto da:

 

DE. RO. FA. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo studio dell'avvocato DRISALDI LUCIANO, rappresentato e difeso dall'avvocato GUGLIELMO BENEDETTO, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO;

- intimato -

avverso la sentenza n. 2768/2006 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 15/05/2006 R.G.N. 8001/03;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2010 dal Consigliere Dott.

GIUSEPPE NAPOLETANO;

 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso e, in subordine, rigetto del ricorso.

 

 

Fatto

 

 

La Corte di Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di De. Ro. Fa. avente ad oggetto la condanna dell'INAIL alla costituzione di una rendita per malattia professionale.

 

L'adita Corte poneva a fondamento della decisione il rilevo che, sulla base della CTU espletata nel in secondo grado, alle malattie denunciate poteva riconoscersi unicamente un ruolo concausale con fattori connessi al lavoro espletato e "tale fatto non permetteva di riconoscere il ruolo causale unico e diretto dell'attività lavorativa, attributo necessario per il riconoscimento della figura di malattia professionale assicurata". Nè, sottolineava la predetta Corte, le conclusioni del CTU erano infirmate da contrarie affermazioni delle parti non avendo queste nulla osservato in sensi opposto.

 

Avverso tale sentenza l'assicurato propone ricorso in cassazione assistito da due censure.

L'Istituto intimato non svolge attività difensiva.

 

 

Diritto

 

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo nullità della sentenza per vizio sulla formazione della pronuncia su questione decisiva, allega che la Corte del merito non ha tenuto conto che dopo il deposito della CTU erano state depositate note critiche controdeduttive nelle quali veniva evidenziato che non era stata indicata dal CTU la percentuale delle concause ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 79.

 

La censura non è accoglibile.

 

Invero parte ricorrente, pur lamentando il mancato esame da parte del giudice di appello delle note critiche, omette di trascrivere, nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, gli esatti termini in cui tale critiche sono state sottoposte all'esame del detto giudice, impedendo in tale modo qualsiasi sindacato di legittimità.

 

Con il secondo motivo l'assicurato, denunciando violazione di legge, assume, ponendo il quesito di diritto di cui all'articolo 366 bis c.p.c. che la Corte del merito avrebbe dovuto, in base al Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 79 procedere alla individuazione della percentuale di concausa delle patologie per la lavorazione svolta.

 

Il motivo è fondato.

 

Infatti anche nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali trova diretta applicazione la regola contenuta nell'articolo 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sè sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (Cass. 4 giugno 2008 n. 14770, Cass. 16 giugno 2001 n. 8165, Cass. 29 maggio 2004 n. 10448 e Cass. 8 ottobre 2007 n. 21021).

 

Nella specie, invece, la Corte del merito, pur riconoscendo all'attività lavorativa un ruolo concausale nella determinazione delle malattie denunciate, ha escluso la natura professionale di dette malattie incorrendo in tal modo nel denunciato vizio.

La sentenza impugnata pertanto, in accoglimento del motivo in esame, va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che si atterrà al richiamato principio di diritto.

 

 

P.Q.M.

 

LA CORTE

accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di legittimità, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

 

 

Vai al pdf