"Nell'ipotesi di infortunio sul lavoro occorso ad un apprendista marmista mentre aiutava degli operai a sollevare una lastra di marmo, l'accertato rispetto - da parte del datore di lavoro - delle norme antinfortunistiche di cui al D.P.R. (ndr D.Lgs.) n. 626 del 1994, artt. 47 e 48, e dell'allegato 6^ a tale decreto, non esonera lo stesso datore dall'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento con particolare riguardo all'assetto organizzativo del lavoro, specie per quanto riguarda i compiti dell'apprendista e le istruzioni impartitegli, ed all'informazione e formazione di quest'ultimo sui rischi insiti nelle lavorazioni.
Conseguendo al mancato o incompleto assolvimento di tale onere, la responsabilità dello stesso datore ai sensi dell'art 2087 c.c., senza che in contrario possa assumere rilievo l'imprudenza dell'infortunato nell'assumere l'iniziativa di collaborazione nel cui ambito l'infortunio si è verificato".


 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SENESE Salvatore - rel. Presidente -
Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere -
Dott. PICONE Pasquale - Consigliere -
Dott. STILE Paolo - Consigliere -
Dott. DE MATTEIS Aldo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

 

 

sul ricorso proposto da:
P.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE MILIZIE 32, presso lo studio dell'avvocato MARINO BISCONTI, rappresentato e difeso dall'avvocato DI CANDIA Claudio, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
I.A.;
- intimato -
e sul 2 ricorso n. 13039/04 proposto da:
DITTA INGROSSO ALFREDO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI N. 26, presso lo studio dell'avvocato BAUZULLI Filippo, che Rappresenta difende unitamente all'avvocato POMPILIO DELLO PREITE, giusta delega in atti;
- ricorrente -
e contro
P.A.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 236/04 della Corte d'Appello di LECCE, depositata il 20/02/04 - R.G.N. 571/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/07 dal Presidente Dott. Salvatore SENESE;
udito l'Avvocato BISCONTI per delega DI CANDIA;
udito l'Avvocato BAUZULLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso
principale, assorbimento dell'incidentale.

 

 


 

Fatto

 

P.A., apprendista marmista alle dipendenze di I. A., subiva - il (OMISSIS) - un infortunio sul lavoro mentre tentava di aiutare due esperti operai a collocare una lastra di marmo sul banco di lavoro.
Il P. - assumendo che l'infortunio era addebitabile all'omessa adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori - chiedeva la condanna dell' I. a risarcirgli il danno morale e il danno biologico conseguiti all'infortunio, quantificandoli nella complessiva somma di L. 90 milioni.

La domanda era rigettata sia in primo grado che in appello.

In particolare, la corte d'appello di Lecce - dopo aver disposto una CTU al fine di accertare quale fosse "il reale assetto organizzativo dell'impresa Ingrosso"- riteneva:
- che non fossero ravvisabili violazioni delle specifiche norme antinfortunistiche indicate dal P. (e cioè il D.P.R. (ndr D.Lgs.) n. 626 del 1994, artt. 47 e 48, e dell'allegato 6^ a tale decreto);
- che la verificazione del sinistro non è sufficiente, di per sè, a "far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria., presuppone sempre la dimostrazione, da parte del lavoratore, che vi è stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza... necessarie ad evitare il danno, e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione....";
- che, infine, sulla scorta delle deposizioni testimoniali e della stessa CTU, l'infortunio risultava addebitabile ad una condotta maldestra eseguita dal P., che di propria iniziativa aveva inteso aiutare gli operai che stavano sollevando la lastra di marmo.


Avverso la sentenza della corte d'appello di Lecce il P. ricorre in cassazione con un unico articolato motivo che sostanzialmente sviluppa tre ordini di censura.
L' I. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale.

 

 

Diritto

 

1. I due ricorsi devono essere riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c..


2. Con l'unico motivo del ricorso principale il P. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., e del D.P.R. (ndr. D.Lgs.) n. 626 del 1994, delle disposizioni relative all'onere della prova nonchè vizio di motivazione.
In particolare addebita alla sentenza impugnata:

A) di non aver tenuto alcun conto delle numerose violazioni, da parte dell' I., del D.P.R. (ndr. D.Lgs.) n. 626 del 1994, al di là di quelle specifiche indicate dall'infortunato, violazioni risultanti dall'esperita consulenza tecnica, con riferimento in particolare agli adempimenti imposti al datore di lavoro per prevenire i rischi dell'attività lavorativa, essendosi invece limitata a registrare che non risultavano provate le specifiche violazioni allegate dal lavoratore.

B) Di aver inoltre ritenuto che l'onere del datore di lavoro di provare di aver adottato tutte le misure necessarie ad impedire l'evento dannoso presupponga la previa dimostrazione, da parte dell'infortunato, di un'omissione nel predisporre le misure di sicurezza.

C) Infine, di aver ritenuto esaustiva, ai fini dell'esonero di responsabilità dell' I., la circostanza che l'infortunio si fosse verificato a seguito di una condotta maldestra del lavoratore.

I tre profili di censura, sopra evocati, tra loro strettamente connessi, sono fondati.

Costituisce, infatti, principio consolidato della giurisprudenza di questa corte l'affermazione che la responsabilità del datore di lavoro, per l'infortunio occorso ad un dipendente, non è esclusa dalla condotta imprudente del lavoratore, se non nei casi in cui quest'ultima presenti i caratteri dell'abnormità ed imprevedibilità (v., e plurimis, Cass. nn. 4782/1997, 5024/2002, 8365/2004, 8365/2004, 12445/2006).

Per altro verso, il lavoratore che assuma la responsabilità ex art. 2087 c.c., del datore di lavoro, in relazione ad un infortunio occorsogli, non ha l'onere di provare specifiche omissioni del datore in relazione alle norme antinfortunistiche, essendo soltanto tenuto a provare l'infortunio, il danno derivatone, il nesso causale tra l'uno e l'altro e la nocività dell'ambiente di lavoro, gravando sul datore - una volta provate tali circostanze - l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad evitare il verificarsi dell'evento dannoso (e plurimis, Cass. nn. 9856/2002, 7629/2004, 11932/2004, 4840/2006, 16881/2006).

Tra tali cautele, poi, non rientra soltanto l'osservanza di puntuali precetti relativi alle macchine impiegate o a specifiche lavorazioni, ma anche l'adozione di misure relative all'organizzazione del lavoro, tali da evitare che lavoratori inesperti siano coinvolti in lavorazioni pericolose, ed all'informazione dei dipendenti sui rischi e la pericolosità di macchine o lavorazioni.

E tale dovere si atteggia in maniera particolarmente intensa nei confronti di lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti (cfr. e plurimis, Cass. nn. 9805/1998, 326/2002) e si esalta in presenza di apprendisti nei cui confronti la legge pone a carico del datore di lavoro precisi obblighi di formazione e addestramento, tra i quali non può che primeggiare l'educazione alla sicurezza del lavoro (cfr. L. n. 25 del 1955, art 11).
Nella specie, risultando accertato che il lavoratore infortunato era un apprendista, che l'ambiente di lavoro ove si movimentavano grossi blocchi di marmo era pericoloso, che l'infortunio ha avuto luogo mentre l'apprendista tentava di aiutare due operai a collocare una lastra di marmo sul banco di lavoro e, quindi, a seguito di una condotta non certo imprevedibile e abnorme, la corte territoriale non ha fatto corretto governo dei principi sopra richiamati, ritenendo esonerato il datore di lavoro dall'onere di aver adottato tutte le cautele, anche quelle relative all'assetto del lavoro e/o all'informazione e formazione del dipendente, sol perchè risultavano escluse alcune specifiche violazioni di norme antinfortunistiche e l'evento si era prodotto per un ritenuto eccesso di zelo dell'apprendista.

3. La sentenza impugnata dev'esser dunque cassata e la causa rimessa ad altra corte, che si designa nella corte d'appello di Bari, perchè riesamini l'appello del P. attenendosi al seguente principio di diritto: "Nell'ipotesi di infortunio sul lavoro occorso ad un apprendista marmista mentre aiutava degli operai a sollevare una lastra di marmo, l'accertato rispetto - da parte del datore di lavoro - delle norme antinfortunistiche di cui al D.P.R. n. 626 del 1994, artt. 47 e 48, e dell'allegato 6^ a tale decreto, non esonera lo stesso datore dall'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento con particolare riguardo all'assetto organizzativo del lavoro, specie per quanto riguarda i compiti dell'apprendista e le istruzioni impartitegli, ed all'informazione e formazione di quest'ultimo sui rischi insiti nelle lavorazioni.
Conseguendo al mancato o incompleto assolvimento di tale onere, la responsabilità dello stesso datore ai sensi dell'art 2087 c.c., senza che in contrario possa assumere rilievo l'imprudenza dell'infortunato nell'assumere l'iniziativa di collaborazione nel cui ambito l'infortunio si è verificato".

4. In conseguenza dell'accoglimento del ricorso principale, resta assorbito il ricorso incidentale dell' I. avente ad oggetto il regolamento delle spese operato nella sentenza impugnata.


5. Il giudice di rinvio provvedere sulle spese anche di questo giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La corte riunisce i ricorsi.

Accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Bari.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2007