REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ili .mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:


sentenza

 

sul ricorso 32352-2006 proposto da:
C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell'avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
-ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati ROMEO LUCIANA, LA PECCERELLA LUIGI, che lo rappresentano e difendono, giusta procura speciale Atto Notar CARLO FEDERICO TUCCARI di ROMA del 12/12/2006, rep. n. 72328;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 774/2006 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/05/2006 R.G.N. 1273/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l'Avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;
udito l'Avvocato FAVATA EMILIA per delega LA PECCERELLA LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

 

 

Fatto

 

 

Il Tribunale di Perugia, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di C.E., proposta nei confronti dell'INAIL, avente ad oggetto l'accertamento della natura di infortunio sul lavoro all'infarto miocardico occorsogli il (OMISSIS), con conseguente condanna del predetto Istituto a corrispondergli tutti gli oneri conseguenti al riconoscimento della natura professionale dell'infortunio.

 


Avverso tale decisione il C. ricorreva in cassazione sulla base di un unico motivo.

Questa Corte con sentenza n. 32352 del 24 luglio 2004 in accoglimento del ricorso annullava la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze.


Nella citata sentenza i giudici di legittimità premettevano che la giurisprudenza della Corte aveva affermato che il ruolo causale dell'attività lavorativa non era escluso da una preesistente condizione patologica del lavoratore la quale, anzi, poteva rilevare in senso contrario, in quanto poteva rendere più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose e giustificare il nesso tra l'attività lavorativa e l'infortunio (Cass. 9 settembre 2003 n. 13184) ed aveva rilevato che un ruolo di concausa andava attribuito anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia.


Rimarcavano, quindi, che il giudice dell'appello, facendo proprie acriticamente le conclusioni finali espresse dal consulente tecnico d'ufficio, non aveva tenuto presente i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, non rilevando quegli elementi risultanti dallo stesso elaborato peritale dove, pur essendo stata ritenuta la presenza di una coronaropatia, peraltro asintomatica sino al momento dell'evento, veniva riconosciuta la presenza di fattori concausali minori e la possibilità che un forte affaticamento fisico e l'esposizione a freddo intenso, in un soggetto coronaropatico, potessero scatenare uno spasmo coronario.

Ritenevano, pertanto, detti giudici che la sentenza appariva insufficientemente motivata perchè, di fronte a tali elementi, il giudice del merito avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui aveva ritenuto che, in ogni caso, senza sforzo intenso cui il ricorrente era stato sottoposto e l'esposizione al freddo, l'infarto si sarebbe comunque verificato nei tempi e nei modi dell'accadimento.
 

Riassunta la causa dinanzi al giudice del rinvio, questi confermava la sentenza di primo grado sulla base di nuova consulenza tecnica medico legale.
La Corte territoriale del rinvio, sulla base della espletata CTU, premesso che il fenomeno occlusivo trombotico, collocantesi nei processi patologici spontanei costruisce il fattore largamente più frequente dell'infarto miocardio, mentre lo spasmo vasale coronario, che può essere anche attribuito a cause violente esterne, ha una rara incidenza causale nella realizzazione dell'infarto miocardio,rilevava che in ragione della terapia del tipo "trombolisi" applicata presso l'ospedale in occasione dell'evento e della circostanza che le perifrigerazioni e l'affaticamento fisico erano quelle abitualmente affrontate dall'assicurato, senza conseguenze patologiche, nei giorni precedenti l'episodio infartuate, escludevano un ruolo causale o cancausale di fattori esterni nella causazione del detto evento.

 

 

Avverso tale sentenza l'assicurato ricorre in cassazione sulla base di un'unica censura.

 

Resiste con controricorso l'INAIL illustrato da memoria.

 

 

Diritto

 

 

Con l'unica censura il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 2 e 41 c.p., nonchè vizio di motivazione, allega, ponendo il quesito di cui all'art. 366 bis c.p.c., che il giudice del rinvio, non tiene conto che: nel testo dell'H. viene attribuito valore causale nel determinismo dell'evento alla perifrigerazione; è certamente vero che nel caso di specie l'infarto è avvenuto in concomitanza di una esposizione al freddo; dalla cura praticata non può farsi discendere alcuna conseguenza in ordine alla qualificazione del fatto come infortunio; delle osservazioni del CTP; del principio di equivalenza causale di cui all'art. 41 c.p.c.; delle risultanze processuali.

 

La censura è infondata.

 

E' necessario premettere, ai fini dello scrutinio delle censure in esame, che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l'una e per l'altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la "potestas iudicandi" del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell'applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione "ex novo" dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. 5 marzo 2009 n. 5316 e Cass. 3 ottobre 2005 n. 19305 cui adde Cass. 6 aprile 2004 n. 6707).

 

La giurisprudenza di questa Corte, ha inoltre precisato, che allorquando la Cassazione annulli la sentenza impugnata per insufficienza di motivazione su un punto decisivo della controversia, non viene emesso alcun principio di diritto vincolante per il giudice di rinvio, il quale é tenuto unicamente a riesaminare i fatti oggetto di discussione ai fini di un nuovo apprezzamento complessivo adeguato ai rilievi contenuti nella sentenza di cassazione, sicché le prescrizioni dettate al riguardo dal giudice di legittimità hanno valore meramente orientativo e non valgono a circoscrivere in un ambito invalicabile i poteri del giudice di rinvio, il quale resta libero di accertare nuovi fatti e decidere la controversia anche in base a nuovi presupposti oggettivi.

I limiti all'ammissione delle prove nel giudizio di rinvio riguardano infatti l'attività delle parti, e non si estendono ai poteri del giudice, il quale, pertanto, dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, può ben avvertire la necessità di disporre, secondo le circostanze, una consulenza tecnica d'ufficio, salva la sola ipotesi in cui la consulenza si ponga, piuttosto che come elemento di valutazione, come mezzo di acquisizione delle prove (Cass. 5 marzo 2009 n. 5316 cit. , Cass. 7 febbraio 2006 n. 2605, Cass. 2 settembre 2004 n. 17686 e Cass. 7 novembre 1989 n. 4644).

 

Tanto precisato e passando al controllo dell'uniformazione del giudice di rinvio al dictum enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza rescindente, nell'ambito del quale il giudice di legittimità deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa (Cfr. Cass. 21 aprile 2006 n. 9395), rileva il Collegio che nella sentenza di rinvio n. 13928 del 2004 questa Corte ha annullato la sentenza impugnata in quanto insufficientemente motivata perché il giudice del merito avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui aveva ritenuto che, in ogni caso, senza sforzo intenso cui il ricorrente era stato sottoposto e l'esposizione al freddo, l'infarto si sarebbe comunque verificato nei tempi e nei modi dell'accadimento.

 

Orbene a tanto il giudice del rinvio si é attenuto motivando che, in ragione della terapia del tipo "trombolisi" applicata presso l'ospedale in occasione dell'evento e della circostanza che le perifrigerazioni e l'affaticamento fisico erano quelle abitualmente affrontate dall'assicurato, senza conseguenze patologiche, nei giorni precedenti l'episodio infartuale, era da escludersi un ruolo causale o cancausale di fattori esterni nella causazione del detto evento.

 

A fronte di tale argomentazione il ricorrente lamenta che la Corte territoriale del rinvio non ha tenuto conto di alcune circostanze come sopra riportate.

 

Si tratta tuttavia, di circostanze che la Corte del merito, come desumesi dalla su riportata motivazione, ha ben tenuto presente-quali ad esempio l'esposizione alla perifrigerazione e le osservazioni del CTP, alle quali però, detta Corte riconnette conseguenze diverse da quelle prospettate dal ricorrente e, quindi, la critica si risolve in un mero dissenso diagnostico che come tale é inammissibile in sede di legittimità.

E' infatti giurisprudenza di questa Corte che le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni, perché tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello, bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; ciò non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice, bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in
sede di legittimità (Cfr. Cass. 7341/04 e 15796/04).

 

Escluso, del resto, il ruolo anche solo concasuale della causa esterna non vi é spazio per l'operatività del richiamato principio di equivalenza.

 

Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.

 

Nulla deve disporsi per le spese dell'intero giudizio ex art. 152 disp. att. epe, non trovando applicazione ratione temporis il disposto del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326.

 

 

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.