Preposto di fatto: non occorre nomina formale;
Obbligo dei lavoratori di segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dispositivi di sicurezza;
Sussistenza di tale obbligo unicamente riguardo alle carenze che si manifestano improvvisamente durante il lavoro.

Note e commenti: Luciano Angelini, I preposti

1. Il Pretore di Torino, sezione distaccata di Chieri, con sentenza del 25 settembre 1997, affermava la responsabilità penale di A.R. e D. D. - nella loro qualità di preposto, il primo, e di responsabile del cantiere, il secondo - per il reato di lesioni colpose gravi, ulteriormente aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, in danno dell'operaio F. B., il quale, mentre era intento, il 20 ottobre 1993, in Chieri, a smontare delle travi longitudinali poste sul tetto del fabbricato aziendale, in vicinanza del colmo e a 3,20 metri dal suolo, perdeva l'equilibrio, cadeva al suolo e riportava la frattura "amielica L2", dalla quale era derivata una malattia durata almeno 106 giorni.
Il Pretore rilevava che non vi fossero dubbi sia che non fosse stata disposta la realizzazione di un impalco di protezione - come imponeva l'art. 16 del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 - in modo da arrestare un'eventuale caduta del lavoratore, impalco da porre sotto la zona/lavoro, sia che gli imputati non avessero informato adeguatamente il lavoratore in ordine ai rischi specifici connessi al lavoro che stava eseguendo.
Era certo, poi, che il R. fosse il preposto e che responsabile del cantiere fosse il D..
2. Il difensore proponeva appello contestando che il R., semplice operaio, potesse essere definito preposto con tutti i relativi oneri ed eccependo che il D., che non poteva essere sempre presente nel cantiere dovendo seguirne ben più di uno, aveva dato precise disposizioni perché venisse predisposto l'impalco, così come aveva reso edotto il lavoratore dei rischi connessi al suo lavoro.
3. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 1° giugno 2000, riduceva la pena inflitta confermando, nel resto, la sentenza del Tribunale.
4. Il difensore ricorre per cassazione con quattro motivi.
a) Denuncia, con il primo, l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualifica soggettiva degli imputati.
Deduce, quanto al R., che questi era un operaio e, quindi, un "beneficiario della normativa antinfortunistica e non destinatario dei relativi obblighi".
Né - aggiunge - può ritenersi che il R. fosse "preposto" solo perché "informava il datore di lavoro dell'andamento e dei problemi del cantiere, essendo, questa, un'attività che il lavoratore è tenuto a svolgere ai sensi dell'art. 5, lett. d) del D.Lgs. n. 626/1994".
Deduce, quanto al D., che "a quest'ultimo è imputata una "culpa in vigilando", propria del preposto, pur essendo egli responsabile del cantiere e legittimamente impegnato in diversi altri cantieri e solo saltuariamente presente sul luogo di lavoro".
b) Denuncia, con il secondo motivo, "contraddittorietà e mancanza di logica motivazione in relazione all'accertamento causale".
Deduce che, in ordine alla violazione dell'obbligo di informazione di cui all'art. 4, lett. b) del D.P.R. n. 547/1955, "il giudice di appello nulla dice in sentenza riguardo il presunto comportamento omissivo degli imputati, avendo individuato quale causa unica dell'infortunio la mancanza di un adeguato impalco di protezione e non il comportamento anomalo del lavoratore e, pertanto, nemmeno la supposta mancata informazione e formazione dello stesso".
Deduce, inoltre, che, "in merito all'assenza di un adeguato impalco di protezione, è da ritenere che non è stata provata l'inidoneità dello stesso, che i rilievi fotografici non rappresentano fedelmente lo stato dei luoghi perché eseguiti solo una settimana dopo l'evento e con immagini parziali del luogo e dell'attrezzatura".
c) Denuncia, con il terzo motivo, "mancanza di motivazione in ordine al concesso beneficio della sospensione condizionale della pena" e insta per la revoca del beneficio, "in considerazione della indubbia rilevanza dell'istituto in possibili ulteriori vicende processuali".

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è infondato.
a) La Corte di merito non ha avuto dubbi nel ritenere il R. preposto di fatto, "nel ritenerlo la persona dotata di maggiore esperienza e competenza tecnica e, pertanto, l'unico dipendente di fatto "all'opera preposto", dotato di autonomia decisionale e referente del capo-cantiere per tutti i problemi inerenti le svolte lavorazioni".
Ha precisato che, "malgrado la mancanza di fatto formale di nomina a proposto, il R. non può, dunque, essere ritenuto "un lavoratore come gli altri", ma la persona cui, in assenza del D., era "affidato" il cantiere ed era conseguentemente demandata la corretta attuazione dell'attività di prevenzione degli infortuni".
Ha aggiunto, infine, che, "in sede di ispezione amministrativa, è risultato univocamente indicato il R. quale preposto".
I. Se la Corte ha accertato che il R. era dotato di autonomia decisionale, che era il referente del responsabile del cantiere per tutti i problemi inerenti le lavorazioni, che l'ispezione amministrativa lo aveva univocamente indicato quale preposto, altro non può farsi che prendere atto di questo puntuale accertamento e concludere che il R. era, di fatto, il preposto, con tutti gli obblighi che, in tema di osservanza delle norme antinfortunistiche, gravano sul preposto, con l'obbligo, nella specie, di informare i lavoratori sui rischi della lavorazione se effettuata in un certo modo e con l'obbligo di fare eseguire quel dato lavoro previa predisposizione di adeguato impalco di protezione.
II. Il ricorrente contesta tutto ciò limitandosi, a ben vedere, ad osservare che a nulla rileva che il Rota "informasse il datore di lavoro dell'andamento e dei problemi del cantiere, che questa è attività che il lavoratore è tenuto a svolgere ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 626/1994".
Ma non può non rilevarsi, anzitutto, che il fatto per cui è causa è del 20 ottobre 1993, mentre il D.Lgs. n. 626/1994 è del 19 settembre 1994.
E', poi, da porre in evidenza che la norma dell'art. 5 del D.Lgs. n. 626/1994, che ha abrogato tacitamente per incompatibilità i corrispondenti artt. 5 del D.P.R. n. 303/1956 e 6 del D.P.R. n. 547/1955, ha un contenuto precettivo analogo a quello di queste due ultime norme, le quali, se prevedevano, come lo prevede l'art. 5 del D.Lgs. n. 626/1994, l'obbligo del lavoratore di segnalare tempestivamente le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di sicurezza e di protezione, nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui fosse venuto a conoscenza durante l'espletamento della propria attività lavorativa, lo prevedevano, però, secondo la costante giurisprudenza, unicamente riguardo alle carenze che si manifestassero improvvisamente durante il lavoro e non riguardo alle carenze preesistenti che il datore di lavoro avrebbe dovuto conoscere ed eliminare di propria iniziativa, indipendentemente dalla noncuranza o dalla relativa inerzia dei dipendenti.
Non è vero, dunque, che il lavoratore aveva - o che abbia, grazie al D.Lgs. n. 626/1994 - l'obbligo di informare il datore di lavoro sull'andamento e sui problemi del cantiere, come si scrive nel ricorso, che ogni lavoratore aveva, ed ha l'obbligo - il cui mancato adempimento non esonera, comunque, da eventuale responsabilità il datore di lavoro - di intervenire sulle carenze, in tema di sicurezza, che, come si diceva, si manifestino improvvisamente durante il lavoro.
Informare il datore di lavoro sull'andamento e sui problemi del cantiere è, invece, uno dei compiti di colui che, nel cantiere, fa le veci del datore di lavoro, del preposto, sicché può dirsi che la conferma che il R. era preposto viene dalle proposizioni che si leggono nel ricorso.
b) Non può sostenersi che il D. non era destinatario delle norme antinfortunistiche, la cui violazione gli è stata contestata, sol perché, essendo responsabile di molti cantieri, non poteva essere onnipresente.
E', invero, da osservare che essere responsabile di un cantiere significa interessarsi, anzitutto, dell'osservanza delle norme antinfortunistiche, sicché l'essere responsabile di più cantieri non esonera da responsabilità qualora si accerti che in uno dei cantieri si è verificato, come nel caso di specie, un infortunio dovuto alla mancata informazione o alla non adeguata predisposizione dei dispositivi di sicurezza.
Ed è superfluo ricordare che, se più sono coloro, come di norma avviene, sui quali grava l'onere di fare rispettare le norme antinfortunistiche, tutti sono tenuti ad intervenire per quel rispetto, a meno che non vi sia una chiara, non equivoca, suddivisione di compiti, suddivisione che, nel caso di specie, nessuno ha invocato se non affermando - ma, l'affermazione non ha alcun rilievo, come si è appena detto - che il D. era responsabile di più cantieri.
2. Il secondo motivo è ugualmente infondato.
a) Non è affatto esatto che la Corte di merito non abbia ritenuto causalmente rilevante anche la violazione dell'art. 4, lett. b) del D.P.R. n. 547/1955 - l'obbligo di informare i lavoratori sui rischi dell'attività lavorativa - ma si sia limitata ad attribuire efficacia causale soltanto alla inadeguatezza dell'impalco.
La Corte, invero, scrive, ad un certo punto, che "quanto riferito dall'infortunato, circa la abitualità delle modalità imprudenti di discesa del trave per essere comunemente adottate dagli operai, conferma che altrettanto abitualmente dette condotte venivano tollerate dal capocantiere e/o preposto" e che "la doverosa informazione dei lavoratori circa i rischi connessi alle modalità di svolgimento delle diverse mansioni era stata omessa".
Gli operai si comportavano abitualmente in un certo, imprudente, modo e questa abituale imprudenza era tollerata da chi avrebbe dovuto impedirla anche informando i lavoratori sui rischi connessi a determinate modalità di svolgimento del lavoro e tutto ciò significa che è innegabile, nella logica della sentenza, il nesso di causalità pure tra questa omessa informazione - tra l'impedire l'abituale imprudenza anche ponendo i lavoratori sull'avviso quanto ai rischi che correvano grazie alle loro, abituali, imprudenti abitudini - e l'evento.
b) La Corte si è interessata anche dei rilievi fotografici, affermando che "erano del tutto infondate le difese del D. circa la non corrispondenza o incompletezza della raffigurazione fotografica rispetto allo stato dei luoghi e delle attrezzature al momento dell'infortunio", che "la presenza della parte interessata ai rilievi tutti svolti nel corso della ispezione amministrativa consente di presumere che la raffigurazione in atti non è foriera di incertezze o di dubbi circa la rilevata inadeguatezza dei mezzi di protezione adottati in cantiere".
I rilievi fotografici - questo il significato delle proposizioni della sentenza - dicono con chiarezza che l'impalco non era adeguato e non lasciano dubbi sulla corrispondenza delle fotografie allo stato dei luoghi, nel momento dell'infortunio, anche perché quei rilievi sono stati effettuati alla presenza dell'interessato, il quale non ha avuto nulla da eccepire.
La Corte, dunque, ha valutato quei rilievi dando, della propria valutazione, una motivazione priva di vizi logico/giuridici, sicché è vano che nel motivo si torni ad obiettare, peraltro senza una penetrante dimostrazione, che quei rilievi avevano ritratto una realtà che non corrispondeva a quella esistente nel momento del sinistro.
3. Il terzo motivo è infondato.
E', invero, giurisprudenza delle SS.UU. di questa Suprema Corte che "il pregiudizio, allegato da colui che si lamenta della concessione del beneficio della sospensione condizionale - pregiudizio la cui esistenza determina la sussistenza dell'interesse a ricorrere sul punto - in tanto è rilevante e in tanto fa sussistere l'interesse a ricorrere in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico - quale, come nel caso di specie, la valutazione di riservare il beneficio ad eventuali, più gravi, condanne - ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili perché correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale dal condannato" (SS.UU., 16 marzo 1994, Rusconi).
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Per questi motivi

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.