Categoria: Cassazione penale
Visite: 11723

 

 

 

Responsabilità di due direttori dello stabilimento di (OMISSIS) "F. Auto SPA", perchè cagionavano la morte di S.E., addetto al reparto officina Meccanica, esposto al rischio amianto dal 1973 al 31/12/96, data di chiusura del reparto, a seguito di mesotelioma pleurico che lo conduceva al decesso.

 

Ricorso in Cassazione - Respinto

 

I direttori dello stabilimento, afferma la Corte,  "sono stati ritenuti responsabili per non aver compiuto la valutazione del rischio amianto nel reparto officina Meccanica e Trattamenti Termici nel quale operava come dipendente S.E. e per non avere adottato adeguate misure di tutela nei confronti del predetto nonchè degli altri lavoratori addetti, in particolare per non averlo sottoposto ad adeguati controlli sanitari e allontanato dall'attività che comportava l'esposizione all'amianto, tanto da cagionare la morte dello S. per mesotelioma pleurico."

 

Continua la Corte: "Riassumendo, la accertata consistenza e friabilità del materiale di amianto, l'accertato periodo di latenza, di circa 20 anni, tra l'inizio della esposizione e la manifestazione, l'efficacia concomitante del periodico accumulo nell'organismo dello S. delle fibre di amianto, hanno consentito ad entrambi i giudici di merito di ritenere la responsabilità degli imputati, peraltro solo agli effetti civili, essendo stata dichiarata la prescrizione del reato.

Sostanzialmente irrilevante è stato ritenuta la circostanza che L. ha rivestito la carica di dirigente solo per un breve periodo, atteso la ritenuta efficacia cumulativa della esposizione ad amianto, non oggetto di specifica contestazione con il presente ricorso.

Parimenti risultano inammissibili le censure svolte circa metodo utilizzato dai consulenti tecnici per affermare il superamento dei limiti consentiti, sotto il profilo che il L. avrebbe cessato dalla carica prima di poter provvedere a quanto previsto dal D. 277 del 1991, atteso che, a prescindere dagli specifici valori e dalle prescrizioni imposte dal predetto decreto, la novicità dell'amianto e l'obbligo di accurate visite sanitarie erano note da tempo e costituivano un obbligo al quale i datori di lavoro non potevano sottrarsi."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
 
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
 SEZIONE QUARTA PENALE

 

 Composta dagli Ili .mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
 

 

 

sentenza

  

  sul ricorso proposto da:
 1) L.A., N. IL (OMISSIS);
 2) C.A., N. IL (OMISSIS);
 avverso la sentenza n. 4565/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 16/10/2009;
 
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/09/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;
 
 Udito il Procuratore Generale in persona del Cons. Dr. Delehaye Enrico, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
 
 Udito il difensore avv. Di Giovanni Alessandro, del Foro di Roma, quale sostituto processuale dell'avv. Vitiello.
 

 

 

 
Fatto 
 

 

La Corte di appello di Napoli, con sentenza in data 16 ottobre 2009, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato nei confronti di L.A. e C.A., imputati del reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 589 c.p., commi 1 e 2, perchè per colpa e per la violazione di norme dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, nella qualità di direttori dello stabilimento di (OMISSIS) "F. Auto SPA", rispettivamente il primo dal (OMISSIS) ed il secondo dal (OMISSIS), cagionavano la morte di S.E., addetto al reparto officina Meccanica, esposto al rischio dal 1973 al 31/12/96, data di chiusura del reparto, a seguito di mesotelioma pleurico contratto nel (OMISSIS), che lo conduceva al decesso in data (OMISSIS).
 
 

A seguito di concessione delle attenuanti generiche, la Corte riformava in tal senso la sentenza di primo grado che aveva ritenuto gli imputati responsabili del reato ascritto e li aveva condannati alla pena di anni 2 di reclusione e al risarcimento del danno ed alle spese in favore della parte civile S.F., confermando le dette statuizioni civili.
 
 

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati per il tramite del comune difensore.
 
 

Nel merito contestano la ritenuta responsabilità in quanto direttori dello stabilimento di (OMISSIS), facendo presente in particolare che L. aveva cessato dalla direzione dello stabilimento prima di poter provvedere ai sensi del D.Lgs. n. 277 del 1991; si sottolinea al riguardo che i decreti ministeriali previsti dal predetto decreto dovevano essere emanati nel termine di sei mesi; si lamenta inoltre, sempre con riguardo alla posizione di L., che i criteri applicati dai consulenti tecnici sono quelli del D.M. 6 settembre 1994, non applicabili nei confronti di L. in quanto egli a quell'epoca era già cessato dalla carica.
 
 

Sostengono ancora i ricorrenti la mancanza di prova sull'elemento soggettivo del reato, sul nesso di causalità e sulla stessa causa del decesso dello S. come correlato all'amianto, nonchè sulla esposizione del medesimo al rischio amianto e cioè sulla circostanza che egli abbia lavorato in zone dove vi era materiale friabile, sulla conoscenza da parte della dirigenza di una tale situazione, che potrebbe essersi eventualmente verificata solo per periodi brevissimi.

Eccepiscono la mancanza di prova sul momento di insorgere della malattia, sul superamento dei limiti consentiti di diffusione.
 
 

Contestano la mancata considerazione della consulenza F., a favore di quella M. che sarebbe stata, comunque, travisata.
 
 

Lamenta ancora il difensore la violazione della legge processuale e chiede la declaratoria di nullità della sentenza e dell'intero giudizio di primo grado sotto plurimi profili, di seguito elencati:
 
 1) mancato rinvio dell'udienza del 25 novembre 2005, per impedimento a comparire degli imputati già dichiarati contumaci, per consentire loro di rendere esame, nonostante l'impedimento a comparire degli imputati costituito dallo sciopero generale dei trasporti;
 2) mancata estromissione della parte civile S.F. in assenza di prova del rapporto di parentela, e nonostante che il medesimo fosse stato già risarcita ed in pendenza di causa davanti al giudice civile;
 3) irrituale dichiarazione di contumacia degli imputati all'udienza del 26 aprile 2007 non essendo essi stati ritualmente avvisati di tale udienza e di quella precedente del 2 aprile, atteso che non era stata dichiarata la contumacia;
 4) omessa riunione con altro procedimento connesso;
 5) irrituale formazione del fascicolo del dibattimento per essere su richiesta difensiva stata fissata apposita udienza senza poi avvertire della stessa il difensore ma solo il PM;
 6) tardiva iscrizione degli imputati nel registro degli indagati e inutilizzabilità della consulenza tecnica M. depositata dopo la scadenza dei termini per il deposito; illegittimità della escussione a dibattimento dei consulenti;
 7) nullità del decreto di citazione per indeterminatezza del capo di imputazione;
 8) mancata ammissione di testi indicati dalla difesa dell'imputato.
 
 


 Diritto

 

 
 I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in quanto contenenti censure prive del necessario requisito di specificità.
 
 

Occorre in proposito ricordare che, secondo il combinato disposto dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta.

La sanzione trova applicazione anche quando il ricorrente, nel formulare le proprie doglianze nei confronti della decisione impugnata, trascura di prendere nella dovuta considerazione le valutazioni operate dal giudice di merito e sottopone alla Corte censure che prescindono da quanto tale giudice ha già argomentato.
 
 

Sulle varie questioni processuali formulate dagli imputati la Corte di appello ha fornito risposta, osservando quanto di seguito sinteticamente si espone:
1) Il gup ritenne indimostrato il legittimo impedimento degli imputati a comparire all'udienza preliminare del 25.11.2005 sia perchè in caso di sciopero resta garantito il servizio minimo di trasporto sia perchè comunque, data la distanza, gli imputati sarebbero dovuti partire il giorno prima.
2) S.F. era figlio del lavoratore deceduto, e l'azione civile già instaurata era stata proposta nei confronti della F. e non già degli attuali imputati; inoltre non era stata raggiunta la prova dell'integrale risarcimento (pag. 6 e 7).
3) L'omissione della dichiarazione di contumacia non comporta, di per sè, nullità alcuna, purché siano riconosciuti all'imputato i diritti connessi alla situazione di contumacia; nessun diritto competeva nella specie agli imputati, dal momento che erano presenti i difensori; in ogni caso, la nullità non è stata tempestivamente eccepita (pag. 7 e 8).
4) Il rigetto della richiesta di rinvio dell'udienza preliminare per poter disporre la riunione con altro procedimento per fatto parzialmente coincidente non costituisce causa di nullità e risultava giustificato in considerazione della remota data del fatto e della possibilità di poter, eventualmente, disporre la riunione nella fase del giudizio (pag. 8).
5) L'eccezione circa il mancato avviso alla difesa dell'udienza fissata per la formazione del fascicolo per il dibattimento era stata tardivamente proposta e risultava comunque assolutamente infondata in quanto smentita dall'esame degli atti.
6) Sulla questione della tardiva iscrizione degli imputati nel registro degli indagati e della inutilizzabilità della consulenza tecnica M. in quanto depositata dopo la scadenza dei termini per il deposito, la Corte ha correttamente riportato la questione alla categoria della eventuale inutilizzabilità della prova ed ha puntualmente indicato (pag 13) la data (20.7.2004) in cui i nominativi degli imputati erano stati iscritti nel registro degli indagati precisando che gli altri procedimenti, citati dalla difesa, erano procedimenti diversi sia pure collegati alla problematica dell'amianto; ciò che comportava la esclusione della denunciata irregolarità.
7) E' stata esclusa la nullità del decreto di citazione per indeterminatezza del capo di imputazione, attesi i precisi riferimenti in esso contenuti ai fatti oggetto di contestazione. 
8) La mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è stata correttamente e puntualmente spiegata con la insussistenza dei presupposti di cui all'art. 603 c.p.p. attesa l'esauriente istruttoria svolta e la rinuncia da parte della stessa difesa ad alcuni dei testi richiesti, tra cui in particolare il ctu Ca..
 
 

Si tratta di osservazioni puntuali e corrette, che non sono state oggetto di specifici rilievi, risultando pertanto inammissibile il motivo al riguardo formulato.
 
 

Analoghe considerazioni devono farsi circa la responsabilità degli imputati.
 
L. e C. sono stati ritenuti responsabili per non aver compiuto la valutazione del rischio amianto nel reparto officina Meccanica e Trattamenti Termici nel quale operava come dipendente S.E. e per non avere adottato adeguate misure di tutela nei confronti del predetto nonchè degli altri lavoratori addetti, in particolare per non averlo sottoposto ad adeguati controlli sanitari e allontanato dall'attività che comportava l'esposizione all'amianto, tanto da cagionare la morte dello S. per mesotelioma pleurico.
 

A tale ultimo riguardo la Corte di appello ha richiamato il grave quadro patologico tumorale che emergeva da tutta la documentazione medica relativa allo S. e la specifica annotazione sul certificato del medico che ne aveva constatato il decesso di arresto cardiorespiratorio da mesotelioma pleurico; così definitivamente rispondendo alla censura svolta in proposito con l'appello, da tale atto trasferita, per la già rilevata assoluta identità delle impugnazioni, in questa sede.

Inammissibile risulta dunque la contestazione al riguardo e inammissibili gli ulteriori motivi concernenti il merito della responsabilità, per essere gli stessi, come ripetutamente si è detto, la pedissequa ripetizione dei motivi di appello, senza alcuna considerazione per le precise e correte argomentazioni della Corte di appello.
 
 

La situazione di fatto esistente sul luogo di lavoro dello S. è stata accertata sulla base di quanto riferito dai consulenti M. e P., nominati dal pubblico ministero; le ragioni per le quali, pur avendo tali consulenti operato su dati riferiti da un precedente studio ( F.) che aveva escluso la friabilità del materiale di amianto presente ed il superamento dei limiti di dispersione consentiti, le loro conclusioni dovevano ritenersi maggiormente attendibili rispetto a tale studio, sono state chiaramente indicate dai giudici di entrambi i gradi di giudizio; in particolare la Corte di appello ha osservato che non poteva dubitarsi della presenza di amianto friabile nell'ambiente di lavoro dello S., tanto dovendosi desumere dal cattivo stato di conservazione del materiale stesso al momento dell'accesso della ASL in epoca concomitante con quella in cui veniva fatta la consulenza dalla F.; e che la concentrazione doveva ritenersi superiore ai limiti consentiti, contrariamente a quanto ritenuto dalla F., per non avere quest'ultima tenuto conto dei criteri dettati dal D.M. 6 settembre 1994, basando la sua valutazione sulla misurazione delle fibre aerodisperse allorchè la lavorazione era cessata da circa un anno e pertanto non influenzata dalla presenza del ciclo produttivo e dal calore prodotto dai forni in funzione; la Corte di appello ha sottolineato l'elevato valore scientifico delle osservazioni svolte dai due consulenti, estremamente qualificati dal punto di vista professionale; e ha ritenuto di poter condividere la valutazione dei medesimi secondo cui la dose cumulativa (rapporto tra numero di anni di esposizione e dose media delle fibre) è stata tale da rendere irrilevanti i valori medi delle misurazioni rilevate dalla F. e da dimostrare il nesso causale tra il comportamento addebitato ai due dirigenti e l'evento.
 
 

Riassumendo, la accertata consistenza e friabilità del materiale di amianto, l'accertato periodo di latenza, di circa 20 anni, tra l'inizio della esposizione e la manifestazione, l'efficacia concomitante del periodico accumulo nell'organismo dello S. delle fibre di amianto, hanno consentito ad entrambi i giudici di merito di ritenere la responsabilità degli imputati, peraltro solo agli effetti civili, essendo stata dichiarata la prescrizione del reato.
 
 

Sostanzialmente irrilevante è stato ritenuta la circostanza che L. ha rivestito la carica di dirigente solo per un breve periodo, atteso la ritenuta efficacia cumulativa della esposizione ad amianto, non oggetto di specifica contestazione con il presente ricorso.
 

Parimenti risultano inammissibili le censure svolte circa metodo utilizzato dai consulenti tecnici per affermare il superamento dei limiti consentiti, sotto il profilo che il L. avrebbe cessato dalla carica prima di poter provvedere a quanto previsto dal D. 277 del 1991, atteso che, a prescindere dagli specifici valori e dalle prescrizioni imposte dal predetto decreto, la novicità dell'amianto e l'obbligo di accurate visite sanitarie erano note da tempo e costituivano un obbligo al quale i datori di lavoro non potevano sottrarsi.
 
 

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, ciascuno, della somma di Euro 1000,00 (mille), equitativamente determinata in ragione dei motivi dedotti, in favore della Cassa della ammende.


 
 
 
 P.Q.M.


 
 La Corte:
 
dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, ciascuno, al versamento della somma di Euro 1000,00, in favore della Cassa della ammende dagli atti di altro procedimento.