Ricorso di una lavoratrice delle Poste Italiane per infortunio sul lavoro consistito nel perdere l'equilibrio "a causa della scivolosità del pavimento", con conseguente frattura del femore. Poco prima dell'infortunio, verso le ore 19.30 infatti, come al solito e previsto contrattualmente, l'impresa di pulizie aveva terminato il proprio intervento compreso il lavaggio dei pavimenti che presumibilmente erano ancora umidi".

 

In primo grado, il Giudice del lavoro, affermava la responsabilità della suddetta società per l'evento lesivo occorso alla lavoratrice. 

Avverso tale decisione proponeva appello la Poste Italiane S.p.A.  

L'adita Corte d'appello di Genova a sua volta osservava che dagli elementi ricavabili da detta descrizione non era possibile desumere quali fossero state le cause reali ed effettive dell'infortunio: se il pavimento era scivoloso per il materiale con il quale è stato costruito, o perchè era stato coperto da una cera sdrucciolevole o perchè bagnato, da quale tipo di liquido e da chi versato.

Non essendo, pertanto, possibile, conseguentemente, accertare se vi fosse - o meno - responsabilità del datore di lavoro, nè essendo ammissibile la chiesta prova per testi, perchè generica oltre che tardiva, in accoglimento del gravame ed in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda formulata in primo grado.

 

Ricorre infine in Cassazione la dipendente - Accolto.

 

La Suprema Corte afferma che la motivazione del Giudice d'appello, volta ad escludere la responsabilità di Poste Italiane nell'infortunio in questione, si rivela contraddittoria ed insufficiente.
"Anzitutto perchè la sig.ra R. era (pacificamente) una mera dipendente di Poste Italiane S.p.A. ed in quanto tale, salva diversa dimostrazione, non poteva in alcun modo dare disposizioni all'impresa di pulizie con cui, non aveva alcun titolo per intrattenere rapporti diretti, che spettano solo al datore di lavoro.

In secondo luogo, anche a voler ammettere che fosse stata lei stessa a disporre che le pulizie si svolgessero proprio durante il suo orario di lavoro, anche in questo caso, non verrebbe meno la responsabilità del datore di lavoro che ha notoriamente l'obbligo e la responsabilità di proteggere il lavoratore anche dalle azioni che egli compia per propria negligenza, imprudenza e/o imperizia, trovando tale responsabilità unico limite negli atti che il lavoratore abbia compiuto con dolo - che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 6377/2003), in questo caso significherebbe preordinata intenzione di auto-cagionarsi un danno - o con assunzione del cd. rischio elettivo.
 

In nessun modo la mera colpa del lavoratore potrebbe escludere la responsabilità del datore di lavoro.
 

Nel caso specifico, poi - se non si voleva dotare la R. di scarpe antiscivolo, come suggerito dalla Corte d'Appello - la condotta da adottarsi da parte datoriale avrebbe potuto essere, molto più semplicemente, quella di disporre che il lavaggio dei pavimenti avvenisse in orari in cui nessun lavoratore si trovava all'interno dei locali."
 

 

"In tal senso pare che la Poste Italiane possa essere chiamata responsabile del danno non in virtù della violazione di una specifica norma antinfortunistica (magari che imponesse le calzature antiscivolo) quanto per violazione del generico ma non meno cogente dovere di usare la massima prudenza per tutelare i propri dipendenti, dovere riconducibile appunto all'art. 2087 cod. civ.."
 
 

Il ricorso deve pertanto essere accolto per il rilevato difetto di motivazione con annullamento della impugnata decisione e rinvio, per il riesame, ad altro giudice d'appello"


 

 

 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 SEZIONE LAVORO
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
 Dott. MONACI Stefano - Consigliere -
 Dott. STILE Paolo - rel. Consigliere -
 Dott. DE MATTEIS Aldo - Consigliere -
 Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere -
 ha pronunciato la seguente:
 sentenza

 

 sul ricorso proposto da:
 R.R., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA MATIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell'avvocato CONCETTI DOMENICO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato AMBROSINI GINO, giusta delega in atti;
 - ricorrente -
 contro POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI ANTONELLI N. 50, presso lo studio dell'avvocato POZZI MASSIMO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
 - controricorrente -
 avverso la sentenza n. 1038/04 della Corte d'Appello di GENOVA, depositata il 11/11/04 R.G.N. 1352/03;
 udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/10/07 dal Consigliere Dott. Paolo STILE;
 udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione.
 

 

Fatto

 

 

Con ricorso al Tribunale della Spezia, R.R. esponeva di essere stata dipendente della società Poste Italiane sino all'1 luglio 1998, data di collocamento in quiescenza.
Aggiungeva che nel novembre 1994 prestava servizio presso l'agenzia di Ceparana (SP) in qualità di vice direttore responsabile del turno pomeridiano.

Precisava che l'attività lavorativa presso detta agenzia era suddivisa su due turni lavorativi - mattina e pomeriggio - a ciascuno dei quali era assegnato un unico dipendente, alternativamente o il direttore o il vice direttore, con chiusura al pubblico dell'unico sportello alle 18.00.
 

Ciò premesso soggiungeva che il 2 novembre 1994 alle ore 19.45 era stata oggetto di un infortunio sul lavoro che era consistito nel perdere l'equilibrio "a causa della scivolosità del pavimento", fratturandosi il femore e venendo soccorsa dal direttore dell'ufficio, avvisato telefonicamente.
 

Descriveva poi analiticamente le conseguenze mediche e lavorative dell'infortunio e per il quale le era stata riconosciuta una invalidità permanente del 30% dall'INAIL.

La società si costituiva e rilevava che la controversia doveva essere trattata dalla sezione lavoro, mentre nel merito negava ogni responsabilità per l'accaduto.

Rimessa la causa alla sezione lavoro, il Giudice designato disponeva c.t.u., all'esito della quale riteneva la società responsabile per l'evento lesivo occorso alla lavoratrice, condannandola al risarcimento del danno biologico nella misura di Euro 32.275,45 per danno da invalidità permanente, rivalutato all'1 gennaio 2002 respingendo le altre domande.
 

Avverso tale decisione proponeva appello la Poste Italiane S.p.A. rilevando la erroneità della decisione che aveva ritenuto non sussistente una violazione di specifica norma in materia di sicurezza ma violato l'art. 2087 c.c., senza, peraltro, indicare quale cautele sarebbero state violate, in tal modo configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva; contestava, in ogni caso, altresì la quantificazione del danno.
 

Si costituiva l'appellata resistendo al gravame sotto tutti i profili.
 

Con sentenza del 5 - 11 novembre 2004 l'adita Corte d'appello di Genova, dopo avere esposto la descrizione dell'evento infortunistico, così come contenuta nell'atto introduttivo del giudizio ("Il giorno 2.11.1994, alle ore 19,45 circa, mentre si trovava sola all'interno dell'edificio blindato, perdeva l'equilibrio a causa della scivolosità del pavimento e rovinava pesantemente a terra, procurandosi gravi lesioni personali"), osservava che dagli elementi ricavabili da detta descrizione non era possibile desumere quali fossero state le cause reali ed effettive dell'infortunio: se il pavimento era scivoloso per il materiale con il quale è stato costruito, o perchè era stato coperto da una cera sdrucciolevole o perchè bagnato, da quale tipo di liquido e da chi versato.

Non essendo, pertanto, possibile, conseguentemente, accertare se vi fosse - o meno - responsabilità del datore di lavoro, nè essendo ammissibile la chiesta prova per testi, perchè generica oltre che tardiva, in accoglimento del gravame ed in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda formulata in primo grado.
 

Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre R.R. con tre motivi, cui resiste la società con controricorso.

 

Diritto

 

Con il primo motivo di ricorso la R., denunciando nullità della sentenza, con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 4, per essere stata pronunciata ultra petita ed in violazione della cosa giudicata, lamenta, in particolare, che nel motivo d'appello la società non aveva mai contestato i fatti che avevano dato origine all'infortunio, ma si era limitata a lamentare la mancata specificazione del precetto antinfortunistico che sarebbe stato violato.
 

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), sostiene che la Corte d'appello, nel ritenere non provati i fatti di causa, avrebbe apertamente violato il principio dell'onere della prova espresso nell'art. 2697 cod. civ.; ciò perchè tali fatti erano, nel loro accadimento, assolutamente pacifici - come del resto già rilevato dal Giudice di primo grado - per essere stati ammessi e narrati dalla stessa parte datoriale.

A conferma dell'esposto assunto, si sottolinea in ricorso che, nella stessa comparsa di risposta in primo grado, la società affermava che "In data 2.11.94 la R. era applicata precisamente all'ag. Ceparana per il turno pomeridiano e ivi subiva infortunio secondo le modalità dalla stessa dichiarate in apposita denuncia mod. ILI "perdevo l'equilibrio sul pavimento scivoloso e cadevo sul femore con tutto il peso del corpo"; che, nel medesimo atto, si affermava ancora che "poco prima dell'infortunio, verso le ore 19.30 come al solito e previsto contrattualmente l'impresa di pulizie aveva terminato il proprio intervento compreso il lavaggio dei pavimenti che presumibilmente erano ancora umidi"; che, nella comparsa dinanzi al Giudice del lavoro le Poste Italiane resistenti si opponevano alla prova per testi indicata dalla ricorrente in quanto le circostanze di fatto risultavano dagli atti di causa; che, nello stesso atto d'appello, la società evidenziava come costituisse fatto notorio la pericolosità di un pavimento umido perchè da poco lavato e che, anche per tale motivo l'impresa di pulizie accedeva per il tramite della sig.ra R. ai locali aziendali oltre il normale orario di apertura al pubblico.

Con il terzo motivo, infine, la ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), osserva che il Giudice d'appello ha affermato, sia pure in forma ipotetica, che la R. potesse essere caduta perchè il pavimento era bagnato, ma che non fosse stata lei a renderlo tale ma fosse dipeso dalla natura del pavimento o dalla circostanza che fosse bagnato, riconoscendo che in tali ipotesi "dovrebbe ritenersi la colpa della società nel non aver usate le misure di sicurezza doverose ed, in particolare l'uso degli scarponi infortunistici"; colpa, tuttavia da escludersi, nella specie, non avendo la R. "fornito alcun elemento idoneo ad accertare il reale svolgimento dei fatti ...".
 

Ad avviso della ricorrente, tale motivazione sarebbe inadeguata perchè fondata su di una alternativa inesistente, costituita dalla responsabilità della stessa ricorrente nel caso che la caduta fosse dipesa dal lavaggio del pavimento.
 

Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
 

Va anzitutto chiarito che del tutto correttamente il Giudice d'appello, nel descrivere l'evento infortunistico secondo l'esposizione contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, ha dato atto che l'infortunio era dipeso dalla perdita dell'equilibrio "a causa della scivolosità del pavimento"; circostanza, questa, da ritenersi pacifica, perchè non contestata.
 

Tale dato di fatto, tuttavia - ad avviso del Giudice d'appello -, non sarebbe, di per sè, sufficiente ad attribuire la responsabilità dell'accaduto al datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., proprio perchè l'infortunio poteva essere stato causato dalla "scivolosità" dovuta "alla lavatura del pavimento della stanza blindata"; ma anche in questo caso, ignorandosi chi aveva dato "le disposizioni perchè tale pulizia venisse effettuata la sera o non al mattino, o quando il personale dell'ufficio era assente o aveva terminato il proprio turno lavorativo", non poteva affermarsi la resposabilità del datore di lavoro.

A sostegno di tale conclusione - aggiunge la Corte territoriale - occorreva considerare che "se, come pare, la ricorrente era l'unica dipendente presente nell'ufficio postale al momento dell'incidente era - con ogni probabilità - l'unica che poteva dare disposizioni al personale addetto alla pulizia ...".
 

L'inserimento nel ventaglio delle ipotesi di questa eventualità e, quindi, di una possibile responsabilità della R. nella causazione dell'infortunio, comporterebbe, dunque, secondo il Giudice a quo, l'impossibilità di affermare una responsabilità datoriale, mancando la prova circa il reale svolgimento dei fatti.
 

Tale "motivazione", volta ad escludere la responsabilità di Poste Italiane nell'infortunio in questione, si rivela contraddittoria ed insufficiente.
 

Anzitutto perchè la sig.ra R. era (pacificamente) una mera dipendente di Poste Italiane S.p.A. ed in quanto tale, salva diversa dimostrazione, non poteva in alcun modo dare disposizioni all'impresa di pulizie con cui, non aveva alcun titolo per intrattenere rapporti diretti, che spettano solo al datore di lavoro.
 

In secondo luogo, anche a voler ammettere che fosse stata lei stessa a disporre che le pulizie si svolgessero proprio durante il suo orario di lavoro, anche in questo caso, non verrebbe meno la responsabilità del datore di lavoro che ha notoriamente l'obbligo e la responsabilità di proteggere il lavoratore anche dalle azioni che egli compia per propria negligenza, imprudenza e/o imperizia, trovando tale responsabilità unico limite negli atti che il lavoratore abbia compiuto con dolo - che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 6377/2003), in questo caso significherebbe preordinata intenzione di auto-cagionarsi un danno - o con assunzione del cd. rischio elettivo.
 

In nessun modo la mera colpa del lavoratore potrebbe escludere la responsabilità del datore di lavoro.
 

Nel caso specifico, poi - se non si voleva dotare la R. di scarpe antiscivolo, come suggerito dalla Corte d'Appello - la condotta da adottarsi da parte datoriale avrebbe potuto essere, molto più semplicemente, quella di disporre che il lavaggio dei pavimenti avvenisse in orari in cui nessun lavoratore si trovava all'interno dei locali.
 

Non poteva essere infatti sufficiente a tutelare la R. l'accortezza di cui da conto la società resistente di far eseguire le pulizie "successivamente all'orario di chiusura al pubblico". Tale accorgimento sarebbe potuto essere stato utile a tutelare, tutt'al più, il pubblico appunto, ma non certo la lavoratrice.
 

In tal senso pare che la Poste Italiane possa essere chiamata responsabile del danno non in virtù della violazione di una specifica norma antinfortunistica (magari che imponesse le calzature antiscivolo) quanto per violazione del generico ma non meno cogente dovere di usare la massima prudenza per tutelare i propri dipendenti, dovere riconducibile appunto all'art. 2087 cod. civ..
 

Il vizio di omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia inerisce anche un altro aspetto della sentenza impugnata, e precisamente là dove vi si afferma che "non si sa chi ha dato le disposizioni perchè tale pulizia venisse effettuata la sera e non al mattino o quando il personale era assente o aveva terminato il proprio turno lavorativo".
 

Così argomentando, il Giudice d'appello, non da conto della puntualizzazione operata dalla difesa delle Poste nella comparsa di risposta dinanzi al Tribunale, nella parte in cui riferisce che "poco prima dell'infortunio, verso le ore 19:30 come al solito e previsto contrattualmente l'impresa di pulizie aveva terminato il proprio intervento compreso il lavaggio dei pavimenti che presumibilmente erano ancora umidi".
 

E' di tutta evidenza che di fronte a tale affermazione, del tutto contraddittorio risulta l'assunto del Giudice secondo cui non si sapeva da chi fosse stato bagnato il pavimento e se dal lavoratore perchè di sera e perchè durante l'orario di lavoro.
 

Il ricorso deve pertanto essere accolto per il rilevato difetto di motivazione con annullamento della impugnata decisione e rinvio, per il riesame, ad altro giudice d'appello, come designato in dispositivo, il quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

 

 P.Q.M.

 

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2007