Cassazione Penale, Sez. 4, 27 dicembre 2010, n. 45358 - Prassi sbagliata, non solo tollerata, ma addirittura incoraggiata


 

 

Responsabilità dell'amministratore unico e del capo cava di una srl per infortunio ad un lavoratore il quale, al fine di liberare uno dei rulli trasportatori dai residui fangosi, che ne intralciavano il corretto funzionamento, senza bloccare l'impianto, si distendeva sulla passerella attigua al nastro a circa 3,50 dal suolo e con la mano destra iniziava a martellare con una mazzetta.

Al termine dell'operazione, però, la manica del giubbotto indossato dall'operaio sopra la tuta, rimaneva "impigliata" nel rullo con la conseguenza che il braccio veniva trascinato tra il nastro ed il rullo, derivandone un trauma da schiacciamento e scuoiamento dell'arto con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 gg. ed indebolimento permanente dell'organo della prensione.

 

L'imputazione si fonda sulla inosservanza dell'obbligo di installare adeguata segnaletica inerente le situazioni di rischio o di pericolo e di racchiudere e segregare completamente i rulli del nastro trasportatore su cui è avvenuto l'incidente, in modo tale da impedire la rimozione o l'apertura del riparo ad impianto in funzione, prevedendo altresì l'installazione di dispositivo automatico di blocco dell'impianto in caso di apertura dei pannelli a nastro in movimento.

Al D.G. era altresì contestato di non avere vigilato sul rispetto della normativa di sicurezza da parte degli operai addetti alle lavorazioni.

 

Ricorrono entrambi in Cassazione - Inammissibile.

 

"Premesso che la manovra era stata incontestabilmente posta in essere dal lavoratore con impianto in movimento, la sentenza afferma che il nucleo della questione di responsabilità risiede nel caso in esame proprio nella accertata (attraverso univoche e convergenti dichiarazioni testimoniali) sussistenza di una prassi lavorativa, tollerata dai titolari degli obblighi di garanzia, secondo la quale le operazioni di pulizia dei rulli trasportatori avveniva normalmente con il descritto sistema della mazzetta, reputato più comodo e rapido, se l'impianto era in movimento. E' stato altresì accertato, sempre attraverso le dichiarazioni di taluni dipendenti della C., che tale prassi era stata più che tollerata addirittura incoraggiata con l'evidente fine di intralciare il meno possibile il ciclo produttivo."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

 

  

 

Composta dagli Ili .mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. IZZO Fausto - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - rel. Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

 

 


sentenza

sul ricorso proposto da:

1) S.A. N. IL (OMISSIS);

2) D.G.V. N. IL (OMISSIS) avverso la sentenza n. 1590/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del 01/06/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del   23/11/2010  la   relazione fatta   dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Geraci Vincenzo che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito per la parte civile l'avv.to A. Orsini del Foro di Latina che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

udito il difensore avv.to degli imputati M. Geroni del Foro di Roma che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei ricorsi.
 

 

FattoDiritto

 

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava quella di primo grado che aveva ritenuto la responsabilità di S.A. e D.G.V. per il reato di lesioni colpose gravi aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore V.P..

Trattavasi di un infortunio sul lavoro occorso in data (OMISSIS) al V., dipendente della C.I. s.r.l., il quale, nelle circostanze di tempo e di luogo descritte nei capi di imputazione, rimaste incontestate, al fine di liberare uno dei rulli trasportatori dai residui fangosi, che ne intralciavano il corretto funzionamento, senza bloccare l'impianto, si distendeva sulla passerella attigua al nastro a circa 3,50 dal suolo e con la mano destra iniziava a martellare con una mazzetta.

Al termine dell'operazione, però, la manica del giubbotto indossato dall'operaio sopra la tuta, rimaneva "impigliata" nel rullo con la conseguenza che il braccio veniva trascinato tra il nastro ed il rullo, derivandone un trauma da schiacciamento e scuoiamento dell'arto con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 gg. ed indebolimento permanente dell'organo della prensione.

Il S. ed il D.G. erano stati chiamati a risponderne, rispettivamente, quale amministratore unico e capo cava della C.I. s.r.l., essendosi ravvisati a loro carico profili di colpa specifica, fondata sulla inosservanza dell'obbligo di installare adeguata segnaletica inerente le situazioni di rischio o di pericolo e di racchiudere e segregare completamente i rulli del nastro trasportatore su cui è avvenuto l'incidente, in modo tale da impedire la rimozione o l'apertura del riparo ad impianto in funzione, prevedendo altresì l'installazione di dispositivo automatico di blocco dell'impianto in caso di apertura dei pannelli a nastro in movimento.

Al D.G. era altresì contestato di non avere vigilato sul rispetto della normativa di sicurezza da parte degli operai addetti alle lavorazioni.

 

Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati articolando quattro motivi.

 

Con il primo motivo e secondo motivo, strettamente connessi, censurano la sentenza laddove aveva disatteso l'istanza difensiva di rinnovare l'esame testimoniale del teste B. fondata sul rilievo che non era stato possibile ricostruire le dichiarazioni rese dal teste nè dal verbale redatto in forma riassuntiva nè dalle trascrizioni. In proposito si lamenta la contraddittorietà della motivazione che aveva affermato l'intellegibilità della trascrizione pur a fronte del dato oggettivo di numerose indecifrabilità dichiarate, con la conseguente inattendibilità della deposizione testimoniale, posta a fondamento di un'asserita prassi lavorativa in violazione della normativa antinfortunistica.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dei criteri di valutazione delle prove e la carenza motivazionale giacchè il giudizio di responsabilità sarebbe fondato su di una valutazione parziale del materiale probatorio emerso nell'istruttoria dibattimentale e non avrebbe tenuto conto delle doglianze difensive afferenti il difetto di prevedibilità dell'evento, sostenute dalle prove testimoniali, e dell'abnormità ed imprevedibilità della condotta del lavoratore, in violazione a precisi obblighi e divieti evidenti e conosciuti.

Con il quarto motivo si lamenta la violazione della legge penale ed il difetto di motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità del S., che non avrebbe tenuto conto della delega conferita dal datore di lavoro al D.G., nella qualità di capo cava, per la sicurezza e per la gestione del personale.

 

I ricorsi sono manifestamente infondati.

 

Con riferimento al primo e secondo motivo, non è inutile qui ricordare che il ricorso all'istituto di cui all'art. 603 c.p.p. ha carattere eccezionale, perchè contrasta con la presunzione di completezza dell'istruttoria svolta in primo grado, di guisa che ad esso può e deve ricorrere il giudice d'appello solo quando non sia in grado di decidere allo stato degli atti.

E tale impossibilità di decidere può sussistere solo quando i dati già acquisiti siano incerti nonchè quando l'incombente eventualmente richiesto dalle parti rivesta carattere di decisività, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (v. da ultimo, Sez. 4^, 24 giugno 2008, Marazzita).

Nel caso in esame il diniego della rinnovazione parziale del dibattimento è stato motivato dalla Corte di merito facendo riferimento alla sufficienza del materiale probatorio già ricavatole dalla predetta deposizione testimoniale (oltre che dagli altri elementi probatori in atti), valutato anche alla luce della circostanza oggettiva che il teste non aveva assistito all'incidente de qua.

La decisione è, pertanto, legittima non sussistendo, per quanto detto, quella situazione fattuale di "impossibilità", di decidere, che giustifica il ricorso all'istituto della rinnovazione del dibattimento.

Anche perchè, va soggiunto, per prova decisiva, la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti "determinante" per un esito diverso del processo, e non anche quella che possa incidere solamente su aspetti secondari della motivazione ovvero sulla valutazione di affermazioni testimoniali da sole non considerate fondanti della decisione prescelta. Per l'effetto, tale vizio è ravvisabile solamente quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni formulate in motivazione a sostegno ed illustrazione della decisione, risulti tale che, se esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (cfr. Sez. 6^, 2 aprile
2008, Nigro).

Il vizio prospettato, è, pertanto da escludere anche sotto tale profilo, non essendo stata fornita dimostrazione della decisività della prova della quale è stata chiesta la rinnovazione.

Anche il terzo motivo è manifestamente infondato, giacchè le argomentazioni del giudicante con riferimento al profilo della colpevolezza di entrambi gli imputati sono convincenti ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte.

 

Premesso che la manovra era stata incontestabilmente posta in essere dal lavoratore con impianto in movimento, la sentenza afferma che il nucleo della questione di responsabilità risiede nel caso in esame proprio nella accertata (attraverso univoche e convergenti dichiarazioni testimoniali) sussistenza di una prassi lavorativa, tollerata dai titolari degli obblighi di garanzia, secondo la quale le operazioni di pulizia dei rulli trasportatori avveniva normalmente con il descritto sistema della mazzetta, reputato più comodo e rapido, se l'impianto era in movimento. E' stato altresì accertato, sempre attraverso le dichiarazioni di taluni dipendenti della C., che tale prassi era stata più che tollerata addirittura incoraggiata con l'evidente fine di intralciare il meno possibile il ciclo produttivo.

 

In questa ottica, le considerazioni del difensore degli imputati che vorrebbe mettere in discussione il giudizio di responsabilità sul rilievo della sussistenza di un sistema di blocco dell'impianto facilmente accessibile ai lavoratori e di idropulitrici, rimaste inutilizzate, si pongono come obiezioni di mero fatto, che esprimono un dissenso di merito nei confronti della ricostruzione logica e coerente al materiale probatorio operata dal giudice di merito sulla esistenza nell'ambiente di lavoro della C. di una prassi lavorativa pericolosa per la incolumità dei lavoratori, tollerata dai titolari dell'obbligo di sicurezza, come dimostrato dall'infortunio in esame.

 

Vale la pena di ribadire, come già affermato in altre sentenze, che l'obbligo dei titolari della posizione di sicurezza in materia di infortuni sul lavoro è articolato e comprende non solo l'istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la effettiva predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo, circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate o disapplicate nonchè il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (v. tra le tante, Sez. 4^, 8 luglio 2009, Fontanella).

In altri termini, il datore di lavoro e gli altri titolari della posizione di garanzia devono sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c, in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove essi non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente viene loro imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2, (Sez. 4^, 20 maggio 2010, Dorigo).

 

E' in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa, e il conseguente nesso eziologico con l'evento dannoso, del datore di lavoro e del capo cava nell'aver tollerato l'esistenza di una prassi diffusa di pulizia dei rulli trasportatori in violazione anche delle più elementari regole di prudenza.

 

Anche le censure sulla ritenuta insussistenza della interruzione del nesso di causalità per comportamento abnorme del lavoratore sono manifestamente infondate.

E' nota la giurisprudenza della Cassazione in tema di infortuni di lavoro, secondo la quale la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, non è esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio.
Ciò in quanto al datore di lavoro è imposto (anche) di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore: cosicchè il datore di lavoro è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore.

Per l'effetto, la colpa del datore di lavoro non è esclusa da quella del lavoratore e l'evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell'equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (art. 41 c.p., comma 1).

E' altrettanto noto che, in materia colposa, il principio di affidamento non è di automatica applicazione allorquando il garante precedente (in materia di infortuni sul lavoro, il titolare dell'obbligo di sicurezza) abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo (il lavoratore, anch'egli responsabile della propria sicurezza e di quella degli altri lavoratori). In tale evenienza persiste la responsabilità anche del primo in base al principio dell'equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere avuto caratteristiche di eccezionalità ed imprevedibilità (art. 41 c.p., comma 2).

In altri termini, per escludere la "continuità" delle posizioni di garanzia, è necessario che il garante sopravvenuto abbia posto nel nulla le situazioni di pericolo create dal predecessore o eliminandole o modificandole in modo tale da non poter essere più attribuite al precedente garante.

In tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell'evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento del lavoratore che per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, finisce con l'essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento, che, per l'effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore (v. tra le tante, con riferimento a tali principi, Sez. 4^, 12 giugno 2009, Lo Bello)".

Da questa premesse, non è sindacabile la sentenza impugnata laddove, oltre ad escludere un comportamento "esorbitante" dell'operaio rispetto al lavoro che gli è proprio, sottolinea che per escludere la responsabilità del titolare della posizione di garanzia non è utilmente invocatole nel caso in esame il principio di affidamento, giacchè gli stessi garanti avevano posto in essere la situazione di pericolo, tollerando la prassi pericolosa di pulizia dei rulli sopra descritta e ponendo a disposizione dei lavoratori delle macchine idropulitrici inidonee.

 

Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.

In proposito, è sufficiente ricordare che la responsabilità penale diretta del datore di lavoro (e soggetti assimilati: dirigente, preposti) per l'inosservanza delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non è esclusa ex se per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che opera, piuttosto, quale "consulente" in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.

In effetti, la "designazione" del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma dell'art. 31 del decreto cit. individuandolo, ai sensi del successivo articolo 32, tra persone i cui requisiti siano "adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative", non equivale a "delega di funzioni" utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè gli consentirebbe di "trasferire" ad altri - il delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa.

Ciò non esclude, come nel caso in esame, che anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (Sez. 4^, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; 15 febbraio 2007, Fusilli e 20 aprile 2005, Stasi ed altro).

La sentenza impugnata, pur non approfondendo tale tematica, ha tuttavia dato atto della esistenza di solo un atto di nomina del D.G. quale "responsabile del servizio di prevenzione e protezione" ed ha sottolineato la mancanza di un atto di delega dei poteri. Le censure difensive non aggiungono elementi utili a tale ricostruzione.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna d. ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità, oltre alla rifusione delle spese di questo graduo sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

  

  

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusone delle spese di questo giudizio in favore della parte civile che liquida in Euro 2.700.00 complessivi oltre accessori come per legge.