Cassazione Penale, Sez. 4, 31 dicembre 2010, n. 45890 - Operazioni di carico e infortunio mortale


 

 

Responsabilità dell'amministratore unico di una srl e quindi datore di lavoro (E), e del socio lavoratore della predetta società, anche responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale (S.), per omicidio colposo commesso con violazione della normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

 

Il giorno 20.1.2003 era infatti accaduto che durante il lavoro di carico di alcuni pesanti elementi di carpenteria metallica a bordo del cassone di un autoarticolato, l'operaio N.G., che collaborava alle operazioni, senza previamente provvedere a posizionare le staffe, spostava una scala al centro del camion e sganciava la braga della gru B.; la struttura si apriva, l'elemento appena caricato precipitava prima sul cassone poi a terra travolgendolo il N. che rimaneva schiacciato sotto il pesante modulo e per le gravissime lesioni riportate perdeva la vita.

 

 

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Rigetto.

 

 

Innanzitutto, afferma la Corte, "correttamente è stata ravvisata la responsabilità di E., quale amministratore della società e quindi datore di lavoro del N., per non avere messo a disposizione degli operai una gru dotata di fascia atta a svolgere la funzione cui era destinata e cioè quella di assicurare la stabilità del pesante carico nelle operazione di sistemazione dello stesso sul camion (essendo risultato che la fascia poteva sostenere il peso di non più di due elementi, anzichè i quattro che sulla stessa gravavano al momento dell'incidente); e altresì per non aver dettagliatamente programmato le modalità dell'operazione, nonostante la sua evidente pericolosità (è stato infatti accertato che i ruoli erano assolutamente variabili ed erano stati assegnati ai singoli operai la mattina stessa) con una palese sottovalutazione della pericolosità delle operazioni che richiedeva una organizzazione del lavoro più precisa ed una distribuzione di specifiche competenze."

 

Inutilmente, continua la Corte, "il ricorrente eccepisce l'esistenza di colpa da parte dello stesso lavoratore infortunato. Una tale colpa, ammesso per ipotesi che la si voglia ritenere sussistente, non fa venire meno la colpa del datore di lavoro e neppure esclude il nesso di causalità. Al riguardo è sufficiente osservare che, come già accennato dal giudice di appello, il datore di lavoro è responsabile anche degli infortuni ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza del lavoratore, salvo i casi della assoluta abnormità del comportamento di quest'ultimo."

 

"Altrettanto puntualmente il giudice di appello ha motivato la responsabilità dello S. che pacificamente era addetto alla sorveglianza degli operai e che è venuto meno a tale preciso dovere non accorgendosi, pur avendone la piena possibilità atteso che non si è trattato di una manovra improvvisa o repentina, che N. si era collocato con la scala in una posizione pericolosa, nella quale non avrebbe assolutamente dovuto mettersi."


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

1)    E.D. N. IL (OMISSIS);

2)    S.C. N. IL (O MISSIS);

avverso la sentenza n. 10557/2006 CORTE APPELLO di ROMA, del 03/07/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cons. D'Ambrosio Vito che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi;

Udito, per la parte civile, l'Avv. De Cesaris Pier Maria del foro di Frosinone;

Udito il difensore Avv. Rica Mario del foro di Velletri.

 

 

FattoDiritto

 

 

Con sentenza emessa in data 29.3.06 il Tribunale di Frosinone, sez. di Anagni, riteneva E.D., amministratore unico della srl S. e quindi datore di lavoro, e S.C., socio lavoratore della predetta società e responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, responsabili di omicidio colposo commesso con violazione della normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro e, con le attenuanti generiche equivalenti, li condannava alla pena di mesi 10 di reclusione, oltre spese, risarcimento danni alle parti civili e provvisionale, con pena sospesa.

 

Proponeva appello il difensore degli imputati, che ne chiedeva l'assoluzione, ma la Corte di appello confermava integralmente la sentenza di primo grado.

 

I fatti che hanno dato origine al procedimento possono riassumersi come segue.

 

Il giorno 20.1.2003 gli operai della ditta S. erano impegnati nel carico di alcuni pesanti elementi di carpenteria metallica a bordo del cassone di un autoarticolato, coordinatore dei lavori e responsabile per la sicurezza era S.C..

 

Gli elementi, del peso di 10-13 q. ciascuno, erano sollevati, uno per volta, da braghe, risultate a norma, fissate con due golfari sulla gru B., posta a lato del camion, e collocati sul cassone del camion; qui gli elementi erano agganciati l'uno con l'altro, con due staffe poste alle due estremità degli elementi stessi, in modo da rendere solidale il carico; dall'altra parte del camion vi era un'altra gru, posizionata su un veicolo Fiat 110, che provvedeva a sua volta ad imbracare via via gli elementi caricati in modo che lo sganciamento dall'altra gru potesse avvenire in sicurezza; il carico rimaneva imbracato alla gru Fiat 110 che lo manteneva in piedi in sicurezza fino al corretto posizionamento sul camion. Al momento del carico del quarto modulo, con base tondeggiante come il terzo, l'operaio N.G., che collaborava alle operazioni, senza previamente provvedere a posizionare le staffe, spostava una scala al centro del camion e sganciava la braga della gru B.; la struttura si apriva, l'elemento appena caricato precipitava prima sul cassone poi a terra travolgendolo il N. che rimaneva schiacciato sotto il pesante modulo e per le gravissime lesioni riportate perdeva la vita.

 

Entrambi i giudici ritenevano la responsabilità degli imputati nelle rispettive posizioni.

 

E., quale amministratore della società e datore di lavoro dell'infortunato, per non aver dotato la gru montata sul Fiat 110 di fasce idonee a sopportare il carico che dovevano reggere (era risultato che tale braca aveva una portata di due tonnellate mentre il carico che doveva assicurare era di quattro tonnellate).

E altresì per non avere adeguatamente organizzato le varie fasi delle operazioni di carico e la distribuzione dei ruoli tra gli addetti, che risultarono attribuiti solo la mattina stessa.

S., che dirigeva le operazioni, per non aver adeguatamente sorvegliato, non accorgendosi così che la staffa posteriore non era stata messa allorchè N. spostò la scala al centro del camion per sganciare la gru B..

 

Avverso la sentenza della Corte di appello ha presentato ricorso per cassazione la difesa degli imputati con un unico atto. Lamenta la erronea applicazione dell'art. 589 c.p.p., il difetto di motivazione della impugnata sentenza.

 

Sostiene che la condanna è il frutto di una valutazione erronea dei fatti per ricostruzione degli stessi in modo totalmente difforme da come si sono svolti e dalle prove assunte.

Premesso che la S. era una piccola società e che E. non interveniva nelle fasi di lavorazione cui provvedevano direttamente i soci lavoratori sotto la direzione di S., il ricorrente sostiene che l'incidente si è verificato unicamente per colpa del N. che, senza che alcuno gli avesse dato un tale ordine, andò a sganciare la braga della gru B., non provvedendo, prima, al fissaggio della staffa. La causa dell'incidente non è stata la insufficienza della braga della gru Fiat 110, perchè il carico si doveva mantenere in equilibrio da solo, ma l'improvvida manovra compiuta da N..

Con particolare riferimento alla posizione di E., si sostiene la sua estraneità ai fatti contestati in quanto egli aveva compiti legati unicamente all'amministrazione, non si occupava della conduzione tecnico lavorativa, alla quale sovrintendevano altre persone ed in particolare S. nella sua qualità di preposto.

 

I ricorsi non meritano accoglimento.

 

Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità degli imputati, nelle rispettive qualità, per l'infortunio verificatosi.

 

In particolare correttamente è stata ravvisata la responsabilità di E., quale amministratore della società e quindi datore di lavoro del N., per non avere messo a disposizione degli operai una gru dotata di fascia atta a svolgere la funzione cui era destinata e cioè quella di assicurare la stabilità del pesante carico nelle operazione di sistemazione dello stesso sul camion (essendo risultato che la fascia poteva sostenere il peso di non più di due elementi, anzichè i quattro che sulla stessa gravavano al momento dell'incidente); e altresì per non aver dettagliatamente programmato le modalità dell'operazione, nonostante la sua evidente pericolosità (è stato infatti accertato che i ruoli erano assolutamente variabili ed erano stati assegnati ai singoli operai la mattina stessa) con una palese sottovalutazione della pericolosità delle operazioni che richiedeva una organizzazione del lavoro più precisa ed una distribuzione di specifiche competenze.

 

Il ricorrente sostiene che in realtà il carico non avrebbe dovuto pesare sulla fascia, in quanto l'operaio avrebbe dovuto provvedere ad agganciare i vari elementi con una staffa destinata a tenerli uniti gli uni agli altri e quindi in equilibrio; e dunque sarebbe stato l'errore del N. in questa fase, che non effettuò la saldatura, a comportare l'incidente.

 

Ora, è evidente che la fascia, per la sua stessa funzione di assicurare la corretta esecuzione della pericolosa manovra di carico, avrebbe dovuto avere una portata tale da essere in grado di svolgere il proprio lavoro e cioè di sostenere,almeno all'occorrenza e quindi anche in caso di qualunque imprevisto come quello verificatosi, il peso degli elementi che su di essa gravavano o potevano gravare, ed è altresì evidente che se si voleva fare affidamento su precise modalità di svolgimento delle operazioni, tali modalità avrebbero dovuto essere individuate con puntualità, il che come si è detto non è avvenuto.

 

In tale situazione è incontestabile la colpa dell' E., nella sua incontestabile qualità di amministratore della società e datore di lavoro rispetto alla quale risultano inconferenti le pretese del medesimo di sottrarsi ai suoi obblighi invocando una estraneità di fatto alla gestione della società. E' infatti pacifico che le responsabilità del datore di lavoro in tema di sicurezza dei propri dipendenti derivano direttamente dalla legge e solo una valida delega, nella specie neppure invocata, può, a determinate condizioni, sottrarre costui agli obblighi che ne derivano.

Ed altrettanto inutilmente il ricorrente eccepisce l'esistenza di colpa da parte dello stesso lavoratore infortunato. Una tale colpa, ammesso per ipotesi che la si voglia ritenere sussistente, non fa venire meno la colpa del datore di lavoro e neppure esclude il nesso di causalità. Al riguardo è sufficiente osservare che, come già accennato dal giudice di appello, il datore di lavoro è responsabile anche degli infortuni ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza del lavoratore, salvo i casi della assoluta abnormità del comportamento di quest'ultimo.

 

Esiste infatti in capo al datore di lavoro una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto, la salute e l'incolumità del lavoratore appunto, posizione che esclude che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli impianti o macchinari utilizzati ma anche di adoperarsi perchè la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità.

 

E' stato già affermato (Cass. sez. 4 27.11.96 n. 952 m.u. 206990) che "Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro". Situazione che certamente non ricorre nel caso di specie, che ha visto il dipendente svolgere nè più nè meno che il proprio lavoro.

 

Altrettanto puntualmente il giudice di appello ha motivato la responsabilità dello S. che pacificamente era addetto alla sorveglianza degli operai e che è venuto meno a tale preciso dovere non accorgendosi, pur avendone la piena possibilità atteso che non si è trattato di una manovra improvvisa o repentina, che N. si era collocato con la scala in una posizione pericolosa, nella quale non avrebbe assolutamente dovuto mettersi.

 

Conclusivamente i ricorsi devono essere rigettati, con condanna, per legge, dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e condanna dei medesimi alla refusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in Euro 2200,00 oltre accessori come per legge.

 

 

P.Q.M.

 

LA CORTE Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla refusione delle spese sostenute dalle parti civili che liquida in Euro 2200,00 oltre accessori come per legge.