Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 gennaio 2011, n. 306 - Onere della prova anche a carico del datore di lavoro


 

 

 

"Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività  lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (Cass. 3786 e 3788 del 17 febbraio 2009).

 

Nel caso in esame la Corte d'appello ha accertato che il lavoratore, a causa del lavoro svolto ha contratto una malattia e, sulla base di tale accertamento, ha condannato l'INAIL al pagamento dell'indennizzo assicurativo.
 

Con riferimento alla domanda per il danno ulteriore di natura morale proposta nei confronti del datore di lavoro, la Corte ha invece escluso, con drastica motivazione, ogni onere probatorio a carico del datore di lavoro.


Al contrario, l'imprenditore, in presenza di una malattia di eziologia professionale è tenuto a provare di aver adottato, nel rispetto dell'art. 2087 c.c., "tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".

 

La norma non comporta una forma di responsabilità oggettiva, ma tuttavia pone un onere probatorio a carico del datore di lavoro, che non può essere ribaltato sul lavoratore.
 

La sentenza della Corte d'Appello di Milano non ha rispettato il dettato normativo e pertanto deve essere cassata con rinvio ad altra Corte".


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico - Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere
Dott. NAPOLETANO Giuseppe - Consigliere
Dott. CURZIO Pietro - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

 


sul ricorso 29291-2006 proposto da:
B.E., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PINEROLO 43, presso lo studio dell'avvocato LATELLA STEFANO, rappresentato e difeso dall'avvocato DI RIENZO SAVINO, giusta mandato in calce al ricorso e da ultimo domiciliato presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- ricorrente -
contro R.A.S. - R.A.S. spa., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato, in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell'avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrente -
e contro A. S.P.A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 372/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 17/05/2006 r.g.n. 1464/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;
udito l'Avvocato GIORGIO SPADAFORA per (RAS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso in
subordine, rigetto.
 

 

 

FattoDiritto

 

 

B.E., dipendente della A. spa chiese il riconoscimento di una malattia professionale, convenendo dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Busto Arsizio l'INAIL e il datore di lavoro.
Nel giudizio intervenne volontariamente, a favore del datore di lavoro, la R.A.S. spa.

 

Il Tribunale rigettò la domanda.


La Corte d'Appello, a seguito del ricorso del lavoratore, con sentenza pubblicata il 17 maggio 2006, ha riformato in parte la decisione, accogliendo la domanda proposta nei confronti dell'INAIL.

Ha quindi accertato la natura professionale della malattia e ha condannato l'INAIL a corrispondere al B. le prestazioni inerenti ad una inabilità del 15%.

Ha invece confermato la decisione negativa di primo grado con riferimento alla domanda di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno morale.

 


Il B. ricorre per cassazione contro questa parte della decisione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione degli artt. 2087 e 1218 c.c..

Nella esposizione censura la sentenza per aver respinto questo capo della domanda per mancato assolvimento dell'onere di allegazione e prova ritenuto a suo carico.
A conclusione del motivo viene formulato il seguente quesito di diritto: "se la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di natura contrattuale; in conseguenza, se, ex art. 1218 c.c., grava sul datore di lavoro la prova della inesistenza di responsabilità colposa, mediante prova della non imputabilità dell'inadempimento dell'obbligazione di protezione prevista dal l'art. 2087 c.c.".
 

L'A. non ha svolto attività difensiva.
 

La spa R.A.S. si è difesa con controricorso.
 

Il ricorso è fondato.
 

La motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Milano a sostegno del rigetto della domanda proposta nei confronti della datrice di lavoro si basa sull'assunto che il B. "in ricorso ha omesso qualsiasi allegazione circa la violazione da parte del datore di lavoro delle misure di prevenzione idonee ad evitare il danno" e che l'art. 2087 c.c. "non prevede una responsabilità oggettiva e non può risolversi in un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che un danno si sia comunque verificato".
 

Questa soluzione, che ha finito per escludere in radice qualsiasi onere probatorio a carico dell'imprenditore, non è conforme alla previsione codicistica.

 

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività  lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (Cass. 3786 e 3788 del 17 febbraio 2009).

 

Nel caso in esame la Corte d'appello ha accertato che il lavoratore, a causa del lavoro svolto ha contratto una malattia e, sulla base di tale accertamento, ha condannato l'INAIL al pagamento dell'indennizzo assicurativo.
 

Con riferimento alla domanda per il danno ulteriore di natura morale proposta nei confronti del datore di lavoro, la Corte ha invece escluso, con drastica motivazione, ogni onere probatorio a carico del datore di lavoro.


Al contrario, l'imprenditore, in presenza di una malattia di eziologia professionale è tenuto a provare di aver adottato, nel rispetto dell'art. 2087 c.c., "tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".

 

La norma non comporta una forma di responsabilità oggettiva, ma tuttavia pone un onere probatorio a carico del datore di lavoro, che non può essere ribaltato sul lavoratore.
 

La sentenza della Corte d'Appello di Milano non ha rispettato il dettato normativo e pertanto deve essere cassata con rinvio ad altra Corte d'Appello per una nuova valutazione di merito alla luce del criterio di ripartizione dell'onere della prova su richiamato, per il quale l'imprenditore nei confronti del quale, in presenza di una malattia determinata dal lavoro, sia stata proposta una domanda di risarcimento del danno ulteriore rispetto a quello indennizzato dall'INAIL, deve provare di aver adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
 

 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Brescia per il giudizio di merito, anche in ordine alle spese.