Sentenza 2 ottobre 2006, n. 323

LA CORTE COSTITUZIONALE


composta dai Signori:
Presidente: Franco BILE;
Giudici: Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso Quaranta, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 4, 20, 23 e 24 della legge della Regione Emilia-Romagna del 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme in materia di protezione civile e volontariato. Istituzione dell'Agenzia Regionale di protezione civile), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l'8 aprile 2005, depositato in cancelleria il 13 aprile 2005 ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2005.

Visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2006 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato l'8 aprile 2005 e depositato il successivo 13 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in via principale gli artt. 1, 2, 4, 20, 23 e 24 della legge della Regione Emilia-Romagna 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme in materia di protezione civile e volontariato. Istituzione dell'Agenzia Regionale di protezione civile).
L'art. 1, commi 1, 2 e 3, è censurato in quanto - ridefinendo principi, funzioni, compiti e finalità di protezione civile - invaderebbe la competenza dello Stato cui è demandata, nella materia concorrente in argomento (ex art. 117, terzo comma, della Costituzione), la determinazione dei principi fondamentali da definirsi in maniera unitaria a livello nazionale.
Il comma 2 del medesimo art. 1 - secondo cui «all'espletamento delle attività di protezione civile provvedono la Regione, le Province, i Comuni, le Comunità montane, le Unioni di Comuni e le altre forme associative» - è impugnato anche per contrasto con l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., che, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, legittima l'attribuzione di funzioni amministrative in capo allo Stato ove occorra assicurarne l'esercizio unitario.
Inoltre l'art. 1 è impugnato in quanto: (a) riformula il principio fondamentale già codificato dalla normativa di principio statale ed esclude dal concorso alle attività di protezione civile alcune categorie di soggetti (cittadini, ordini e collegi professionali), così violando l'art. 6 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e, conseguentemente, l'art. 117, terzo comma, nonché l'art. 118, ultimo comma, Cost.; (b) impone che il concorso operativo e la collaborazione nelle attività di protezione civile delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici avvenga previa intesa, in contrasto con quanto dispone l'art. 5, commi 4 e 4-bis, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 2001, n. 401, secondo cui l'attività tecnico-operativa dello Stato diretta ad assicurare i primi interventi è effettuata in raccordo con le Regioni; (c) limita la salvaguardia dell'incolumità esclusivamente ai cittadini, escludendo dal novero dei soggetti tutelabili coloro che cittadini non sono, così violando non solo i principi fondamentali della materia, ma anche quelli previsti dalla Costituzione, dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (ex art. 117, primo comma, Cost.) in tema di tutela dell'integrità della vita.
L'art. 2 è censurato alla luce del richiamato «principio unitario», sotto il profilo che esso - definendo gli eventi calamitosi sulla base dell'organo competente ad intervenire piuttosto che in relazione ai parametri dell'intensità e dell'estensione del fenomeno (come previsto dall'art. 2 della citata legge n. 225 del 1992) - configura sistemi differenziati di intervento regionale suscettibili di inficiare sia il principio di uguaglianza, sia l'azione statale per i casi calamitosi che travalicano i confini del territorio della singola Regione.
Anche l'art. 4, comma 1, è censurato sotto il profilo della «garanzia di unitarietà del sistema», in quanto - rimettendo alla Regione «l'esercizio delle funzioni in materia di protezione civile non conferite ad altri Enti dalla legislazione regionale e statale» - viola l'art. 7, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, secondo cui lo Stato, in attuazione dell'art. 118, primo comma, Cost., può attribuire a se stesso quelle funzioni amministrative delle quali occorra garantire l'unitarietà di esercizio.
A sua volta l'art. 20, che istituisce l'Agenzia regionale di protezione civile, è impugnato «per contrasto con i già richiamati principi costituzionali», poiché attribuisce rilevanti funzioni di protezione civile - quali la gestione del volontariato, l'emissione di avvisi di attenzione, preallarme ed allarme, la predisposizione del programma di previsione e prevenzione, la pianificazione di emergenza, la presidenza del Comitato operativo regionale, la partecipazione alla Commissione regionale per la previsione e per la prevenzione dei grandi rischi - ad un Ente pubblico dotato di autonomia tecnica, operativa, amministrativa e contabile.
In particolare, secondo il ricorrente, il comma 2, lettera f), dello stesso art. 20 - che consente all'Agenzia regionale di protezione civile di emettere avvisi di attenzione, pre-allarme ed allarme - contrasta con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004.
L'art. 23 - che istituisce il Comitato operativo regionale per l'emergenza, operativo anche per i casi di cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge regionale - è denunciato per violazione dell'art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, che invece rimette allo Stato l'intervento nei casi di calamità più gravi.
Inoltre il ricorrente ritiene che lo stesso articolo, istituendo la Commissione regionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi: (a) determina inutili duplicazioni di funzioni con quelle che la Commissione statale per la previsione e per la prevenzione dei grandi rischi svolge sull'intero territorio nazionale (ai sensi dell'art. 5, commi 3, 3-bis e 3-quater del decreto-legge n. 343 del 2001 e degli artt. 7 e 9 della legge n. 225 del 1992), nell'ambito del potere di coordinamento, anche scientifico, attribuito in via esclusiva allo Stato nella materia della protezione civile (art. 5 del citato decreto-legge n. 343 del 2001, art. 107 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112); b) viola gli artt. 107, lettera f), punto 1), e 108, lettera a), punto 1), del medesimo d. lgs. n. 112 del 1998, i quali stabiliscono, rispettivamente, che lo Stato mantenga la funzione di definizione degli «indirizzi per la predisposizione e l'attuazione dei programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di rischio» e che la Regione provveda «alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali».
La stessa norma, poi - affidando al suddetto Comitato (e in particolare al suo presidente, il direttore dell'Agenzia regionale) e alla Commissione il coordinamento tecnico degli interventi nella fase emergenziale - violerebbe l'art. 5 del decreto-legge n. 343 del 2001 e l'art. 107 del d. lgs. n. 112 del 1998 che attribuiscono specificamente allo Stato il potere di coordinamento, anche scientifico, al fine di assicurare interventi di più ampio orizzonte e non parcellizzati.
Infine, l'art. 24, comma 1 - che prevede il trasferimento di risorse nazionali all'Agenzia regionale -, è censurato per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost., secondo cui l'erogazione di finanziamenti pubblici è disposta dallo Stato e avviene in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; per il ricorrente, le Regioni dispongono infatti di risorse proprie per lo svolgimento delle funzioni pubbliche ad esse attribuite e di quelle aggiuntive che lo Stato eroga in via eventuale e comunque soltanto per gli specifici ambiti costituzionalmente individuati.

1.1. - Nella memoria illustrativa d'udienza, la difesa del ricorrente sottolinea come la necessità dell'intervento statale (attraverso gli organi a ciò deputati), eventualmente anche tramite un'organizzata collaborazione con le Regioni, è imprescindibile in quei settori dell'ordinamento (come appunto la protezione civile) nei quali sono coinvolti interessi ed esigenze dell'intera collettività nazionale, connessi a valori costituzionali di rilievo primario, in quanto strettamente inerenti alla difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica.

2. - La Regione Emilia-Romagna si è costituita chiedendo il rigetto del ricorso proposto perché inammissibile e infondato, con riserva di esporne i motivi.

2.1. - Nell'imminenza dell'udienza, la Regione ha depositato memoria illustrativa, deducendo, in primo luogo, l'infondatezza delle censure mosse all'art. 1, commi 1-3, della legge in esame, giacché le norme impugnate sono prive di contenuto precettivo, limitandosi ad individuare l'oggetto della legge, ossia la «finalità prioritaria» dell'azione regionale. Inoltre, anche le singole disposizioni dei tre commi impugnati si pongono nel solco dei principi fondamentali dettati dallo Stato in ordine sia ai soggetti chiamati a partecipare all'attività di protezione civile in ambito regionale, sia alle modalità di svolgimento di detta attività, sia ai soggetti destinatari degli interventi.
Riguardo all'art. 2, che ribadisce in sostanza il contenuto dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992, la Regione afferma che la norma si limita a coordinare il tipo e la dimensione dell'evento con norme più precise sulla competenza degli enti locali e di essa stessa, con ciò rispettando la competenza statale per gli eventi che ne richiedano l'intervento, quale manifestazione dei principi di unità e di solidarietà nazionale. Alle stesse conclusioni la Regione perviene quanto all'art. 4, che pone una mera norma di chiusura per tutto quanto non sia affidato ad altre amministrazioni dalla legislazione regionale e statale.
La Regione deduce poi l'inammissibilità dell'impugnazione dell'art. 20, nella parte in cui istituisce l'Agenzia regionale di protezione civile, per genericità ed indeterminatezza dei parametri; e dell'ulteriore censura mossa alla previsione del comma 2, lettera f), dello stesso art. 20, per omessa illustrazione dell'oggetto del contrasto, che si verificherebbe tra la norma regionale e «quanto stabilito» dall'evocata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004. La censura sarebbe comunque infondata, non essendo ravvisabile alcun contrasto tra la norma regionale e la citata direttiva statale.
Con riferimento all'art. 23, la Regione rileva che la norma in realtà conferisce all'istituito Comitato operativo regionale per l'emergenza, da un lato, il coordinamento tecnico-operativo delle attività necessarie a fronteggiare gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 225 del 1992, e, dall'altro lato, il concorso tecnico regionale ad interventi di ausilio e collaborazione con l'azione statale in caso di grandi eventi.
Inoltre, riguardo al comma 4 del medesimo art. 23, la difesa regionale osserva che la Commissione regionale grandi rischi costituisce una struttura necessaria proprio per l'attuazione, a livello regionale, dei criteri stabiliti dalla Commissione nazionale, senza duplicarne in alcun modo le funzioni, ma attuandone la trasposizione in sede locale. Infine, quanto alla censurata attribuzione al Comitato ed alla Commissione del coordinamento tecnico degli interventi nella fase emergenziale, essa si riferisce specificamente all'attività propria delle Regioni e non contrasta con alcuna attività statale.
Riguardo, da ultimo, all'impugnato art. 24, comma 1, la difesa regionale deduce che tale norma si limita a descrivere le entrate dell'Agenzia regionale di protezione civile e, pertanto, non pone alcun vincolo per la finanza statale, trattandosi di risorse che lo Stato, in base a proprie leggi e a proprie decisioni attuative, assegna alla Regione per le finalità della protezione civile, che la Regione a sua volta assegna in gestione all'Agenzia regionale.

Considerato in diritto

1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in via principale, gli artt. 1, 2, 4, 20, 23 e 24 della legge della Regione Emilia-Romagna 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme in materia di protezione civile e volontariato. Istituzione dell'Agenzia Regionale di protezione civile).

1.1. - Un primo gruppo di questioni riguarda i commi 1, 2 e 3 dell'art. 1.
Il comma 1 sancisce che la Regione Emilia-Romagna con la legge in esame provvede, nell'esercizio delle attribuzioni ad essa spettanti ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, alla disciplina e al riordino delle funzioni in materia di protezione civile ed assume quale finalità prioritaria della propria azione la sicurezza territoriale. Il comma 2 precisa che all'espletamento delle attività di protezione civile provvedono la Regione, le Province, i Comuni, le Comunità montane, le Unioni di Comuni e le altre forme associative di cui alla legge regionale 26 aprile 2001, n. 11, e vi concorre ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica o privata, ivi comprese le organizzazioni di volontariato, che svolgono nel territorio regionale compiti, anche operativi, di interesse della protezione civile. E soggiunge che, per quanto riguarda le Amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici nazionali, il concorso operativo e la collaborazione nelle attività previste dalla presente legge avvengono previa intesa. Il comma 3 infine prevede che i soggetti ora indicati compongono il sistema regionale di protezione civile che persegue l'obiettivo di garantire la salvaguardia dell'incolumità dei cittadini, la tutela dell'ambiente, del patrimonio culturale ed artistico e degli insediamenti civili e produttivi dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi.

1.2. - Tali disposizioni sono impugnate innanzitutto sotto il profilo che esse - nel ridefinire principi, funzioni, compiti e finalità di protezione civile - contrasterebbero con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in base al quale spetta allo Stato determinare, in maniera unitaria a livello nazionale, i principi fondamentali nella materia concorrente della «protezione civile».
La questione non è fondata.
In ordine all'assetto delle competenze nella materia concorrente della «protezione civile» ed al rispetto da parte della Regione dei principi fondamentali posti dallo Stato, la Corte ha più volte affermato (sentenze n. 327 del 2003 e n. 32 del 2006) che - ancor prima della riforma costituzionale del 2001 - il legislatore statale, istituendo il Servizio nazionale della protezione civile (con la legge 24 febbraio 1992, n. 225), aveva già rinunciato ad un modello centralizzato optando per un'organizzazione diffusa a carattere policentrico; e che in tale logica, nell'art. 2, comma 1, della legge citata, lo stesso legislatore aveva previsto tre diverse tipologie di "eventi", correlativamente definendo competenze e responsabilità: a) eventi fronteggiabili mediante interventi degli enti e delle amministrazioni competenti in via ordinaria; b) eventi che comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria; c) calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, richiedono mezzi e poteri straordinari.
In questa prospettiva, nel mutato quadro del nuovo assetto del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la legge regionale in esame, con gli impugnati commi dell'art. 1, persegue la finalità prioritaria di salvaguardare la sicurezza territoriale della Regione (comma 1) e - in coerenza con tale finalità - disciplina il coordinamento della propria attività con quella degli enti locali e degli altri soggetti pubblici o privati coinvolti (comma 2) nell'ambito degli interventi del “sistema regionale di protezione civile” (comma 3; v. pure art. 3.
Il rispetto della sfera di competenza dello Stato risulta esplicitato da diverse norme della legge stessa: l'art. 2, comma 1, lettera c), prevede, in conformità alla legislazione statale, l'intervento e il coordinamento dello Stato per fronteggiare eventi calamitosi di rilievo nazionale, che colpiscono il territorio regionale; l'art. 4, comma 3, prevede che la partecipazione della Regione ad iniziative di protezione civile al di fuori del territorio regionale e nazionale avvenga in armonia con gli indirizzi ed i piani nazionali; gli artt. 5 e 6, disciplinano l'esercizio, da parte delle Province e dei Comuni, di funzioni e compiti amministrativi ad essi attribuiti dalla citata legge n. 225 del 1992 e dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112; gli artt. 11, 12 e 20, comma 2, lettere b) e c), sanciscono che il programma regionale di previsione e prevenzione dei rischi e il piano regionale per la preparazione e gestione delle emergenze sono predisposti rispettivamente in armonia con gli indirizzi nazionali ed in conformità con i criteri di massima formulati a livello nazionale; l'art. 13 prevede, in materia di incendi boschivi, il rispetto dei principi della legge 21 novembre 2000, n. 353; l'art. 17 stabilisce, in materia di volontariato di protezione civile, il rispetto dei principi della legge 11 agosto 1991, n. 266.
Si deve quindi ritenere che la norma impugnata, così come tutta la legge regionale, ha quale oggetto soltanto gli eventi calamitosi (incidenti comunque sul solo territorio regionale) fronteggiabili con gli interventi di cui alle lettere a) e b) dell'art. 2, comma 1, della legge n. 225 del 1992, e non anche le calamità naturali, catastrofi o altri eventi destinati, per intensità ed estensione, ad essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari dello Stato (ex art. 2, comma 1, lettera c, della stessa legge), nel rispetto della sfera di competenza ad esso attribuita dai principi fondamentali della materia concorrente in esame.

1.3. - Il comma 2 dell'art. 1 (secondo cui «all'espletamento delle attività di protezione civile provvedono la Regione, le Province, i Comuni, le Comunità montane, le Unioni di Comuni e le altre forme associative») è, altresì, ritenuto dal ricorrente in contrasto con l'art. 118, primo e secondo comma, Cost., che, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, legittima l'attribuzione di funzioni amministrative in capo allo Stato ove occorra assicurarne l'esercizio unitario.
La questione non è fondata.
Poiché sulla base delle considerazioni appena esposte, la norma impugnata si riferisce solo alle attività del «sistema regionale di protezione civile», essa non incide su calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri di competenza statale. E comunque essa non preclude l'eventuale allocazione in capo allo Stato di quelle funzioni amministrative di cui occorra assicurare l'esercizio unitario, ai sensi dell'art. 118 Cost., che peraltro - secondo la giurisprudenza di questa Corte - può avvenire soltanto sulla base di una legge statale, in ossequio al principio di legalità.

1.4. - Il comma 2 dell'art. 1 è anche censurato nella parte in cui esclude dal concorso alle attività di protezione civile alcune categorie di soggetti (cittadini, ordini e collegi professionali): secondo il ricorrente, la norma - in quanto riformula il principio fondamentale posto dall'art. 6 della legge n. 225 del 1992 - violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, ultimo comma, Cost.
La questione non è fondata, poiché basata su una lettura incompleta della norma impugnata.
Infatti, il comma 2 - dopo aver affermato che «all'espletamento delle attività di protezione civile provvedono la Regione, le Province, i Comuni, le Comunità Montane, le Unioni di Comuni e le altre forme associative di cui alla legge regionale 26 aprile 2001, n. 11» - aggiunge testualmente che «vi concorre ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica o privata, ivi comprese le organizzazioni di volontariato, che svolgono nel territorio regionale compiti, anche operativi, di interesse della protezione civile». Il tenore generale della disposizione consente, dunque, di ritenere comprese nel concorso alle attività di protezione civile anche le categorie di soggetti indicate dal ricorrente.

1.5. - Il comma 2 dell'art. 1 è ancora impugnato - nella parte in cui prevede che il concorso operativo e la collaborazione nelle attività di protezione civile delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici avvenga «previa intesa» - sotto il profilo della violazione dell'art. 5, commi 4 e 4-bis, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito nella legge 9 novembre 2001, n. 401, secondo cui l'attività dello Stato per i primi interventi è effettuata «in concorso con le regioni e da queste in raccordo con i prefetti e con i Comitati provinciali di protezione civile».
Neanche tale questione è fondata.
L'art. 2, comma 1, della legge regionale in esame si risolve in una parafrasi dei principi fissati dall'art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), della legge n. 225 del 1992, prima ricordati (al n. 12), integrati dagli artt. 107 e 108 del d. lgs. n. 112 del 1998.
A sua volta, il comma 1 dell'art. 23 attribuisce all'istituito Comitato regionale per l'emergenza - oltre alla «funzione di coordinamento tecnico-operativo regionale delle attività necessarie a fronteggiare gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lettera b)», la cui disciplina spetta alla legge regionale - anche il «concorso tecnico regionale» agli interventi di cui all'art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225, in evidente funzione ausiliaria e collaborativa con gli organi statali.
In un quadro siffatto, la previsione dell'«intesa» non viene impiegata in senso contrapposto al «concorso» e al «raccordo» previsti dal citato art. 5 del decreto-legge n. 343 del 2001; ma per significare che - nei casi in cui l'attività degli organi regionali può concorrere con quella di organi statali, ossia nei casi di cui alla menzionata lettera c) - gli organi regionali devono agire sulla base di intese con gli organi statali, proprio a maggior garanzia dell'autonomia dell'amministrazione statale.

1.6. - A sua volta, il comma 3 dell'art. 1 è censurato - nella parte in cui limita ai «cittadini» la salvaguardia dell'incolumità, escludendo dal novero dei soggetti tutelati chi cittadino non sia - per violazione dei principi fondamentali della materia e di quelli previsti dalla Costituzione, dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117, primo comma, Cost.).
La questione non è fondata.
L'espressione «cittadini» non è evidentemente usata dalla norma in senso tecnico, riferito all'appartenenza delle persone allo Stato, con esclusione degli stranieri o degli apolidi; e può dunque agevolmente essere intesa, in senso costituzionalmente orientato, come riferita in generale a tutte le persone fisiche.

2. - L'art. 2, sul presupposto dell'esistenza di un «principio unitario» che informerebbe la materia, è censurato sotto il profilo che - definendo gli eventi calamitosi in funzione dell'organo competente ad intervenire piuttosto che dell'intensità ed estensione del fenomeno (come previsto dall'art. 2 della legge n. 225 del 1992) - configurerebbe sistemi di intervento regionale differenziati, capaci di inficiare, da un lato, il principio di uguaglianza e, dall'altro, l'azione statale per i casi calamitosi travalicanti i confini del territorio della singola Regione.
La questione non è fondata.
A prescindere dalla già rilevata erroneità della premessa dell'esistenza di un «principio unitario» del sistema di protezione civile, si è notato (retro, n. 1.5.) come la norma regionale si ponga invece nel solco dei principi fissati dall'art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), della legge n. 225 del 1992, integrati dagli artt. 107 e 108 del d. lgs. n. 112 del 1998, il cui contenuto del resto sostanzialmente riproduce.

3. - L'art. 4, comma 1, è a sua volta censurato (ancora sul presupposto «dell'unitarietà del sistema») sotto il profilo che esso - attribuendo alla Regione «l'esercizio delle funzioni in materia di protezione civile non conferite ad altri Enti dalla legislazione regionale e statale» - violerebbe l'art. 7, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, secondo il quale, in attuazione dell'art. 118, primo comma, Cost., lo Stato può attribuire a se stesso le funzioni amministrative di cui occorra garantire l'unitarietà di esercizio.
Nei termini in cui è proposta, la questione non è fondata.
Valgono, infatti, le medesime considerazioni svolte circa l'erroneità della premessa dell'«unitarietà del sistema» di protezione civile e circa l'inidoneità di norme come quella impugnata ad impedire un'eventuale allocazione in capo allo Stato, mediante apposita legge statale, di funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, ai sensi dell'art. 118 Cost.

4. - L'art. 20, che istituisce l'Agenzia regionale di protezione civile, è impugnato «per contrasto con i già richiamati principi costituzionali», poiché attribuisce rilevanti funzioni di protezione civile - quali la gestione del volontariato, l'emissione di avvisi di attenzione, preallarme ed allarme, la predisposizione del programma di previsione e prevenzione, la pianificazione di emergenza, la presidenza del Comitato operativo regionale, la partecipazione alla Commissione regionale per la previsione e per la prevenzione dei grandi rischi - ad un Ente pubblico dotato di autonomia tecnica, operativa, amministrativa e contabile.
Nei termini prospettati - ed anche a prescindere dalla genericità dell'argomentazione a sostegno dell'asserita incostituzionalità - la questione è inammissibile in quanto nella proposta del Ministro per gli affari regionali, richiamata dalla delibera del Consiglio dei ministri di impugnazione della legge in esame, non v'è traccia di tale motivo di impugnazione.

4.1. - L'art. 20, comma 2, lettera f) - che consente all'Agenzia regionale di protezione civile di emettere avvisi di attenzione, preallarme ed allarme -, è censurato per contrasto con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004; a sostegno dell'impugnazione il ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 238 del 2004, deducendo che in essa «si prevede che le Regioni non possano porre in essere attività o atti lesivi delle direttive statali».
La questione non è fondata.
In primo luogo, l'affermazione di cui alla richiamata sentenza - peraltro non espressa nei termini evocati nel ricorso - si muove nel diverso ambito dell'esercizio del c.d. «potere estero» delle Regioni (di cui ai commi quinto e nono dell'art. 117 Cost.) e del necessario coordinamento di esso con l'esclusiva competenza statale in tema di politica estera (secondo le procedure dettate dall'art. 6 della legge n. 131 del 2003). La decisione non può quindi di per sé comportare l'incostituzionalità della norma impugnata, in un contesto nel quale - trattandosi di materia rimessa alla competenza concorrente di Stato e Regione - al primo spetta solo di determinare, con legge, i principi fondamentali (ex art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost. ed art. 1 della legge n. 131 del 2003).
D'altro canto, la formulazione della norma impugnata consente di interpretarla nel senso che lo specifico compito di emissione di avvisi di attenzione, preallarme ed allarme, da essa affidato all'Agenzia regionale di protezione civile, mira ad attuare il disposto dell'art. 108 del d. lgs. n. 112 del 1998, il quale al comma 1, lettera a, n. 1), attribuisce alle Regioni le funzioni relative alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali.

5. - L'art. 23 è censurato sotto diversi profili.
La norma - nella parte in cui istituisce il Comitato operativo regionale per l'emergenza (COREM), con funzioni estese anche ai casi di cui all'art. 2, comma 1, lettera c) - violerebbe, in primo luogo, l'art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, che invece rimette allo Stato l'intervento nei casi di calamità più gravi.
La questione non è fondata.
Infatti, il comma 1 dell'art. 23 attribuisce al COREM - da un lato - la «funzione di coordinamento tecnico-operativo regionale delle attività necessarie a fronteggiare gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lettera b)», la cui disciplina (per le ragioni esaminate: retro, n. 1.2.) spetta alla competenza della Regione ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera b), della legge n. 225 del 1992; e - dall'altro - il «concorso tecnico regionale» agli interventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della stessa legge n. 225, in funzione meramente ausiliaria e collaborativa con i competenti organi statali.

5.1. - Inoltre, secondo il ricorrente, la norma - nella parte in cui istituisce la Commissione regionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi - violerebbe: a) l'art. 5, commi 3, 3-bis e 3-quater del decreto-legge n. 343 del 2001 e gli artt. 7 e 9 della legge n. 225 del 1992, determinando inutili duplicazioni di funzioni con quelle svolte sull'intero territorio nazionale dalla Commissione statale per la previsione e per la prevenzione dei grandi rischi; b) gli artt. 107, lettera f), numero 1), e 108, lettera a), numero. 1), del d. lgs. n. 112 del 1998, sulle competenze di Stato e Regioni in tema di predisposizione e attuazione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi.
Entrambi i profili di censura sono infondati.
Anche le funzioni della Commissione regionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi - in coerenza con l'intero assetto della legge regionale in esame - devono ritenersi limitate ai soli eventi calamitosi (incidenti sul territorio regionale) fronteggiabili con gli interventi di cui alle lettere a) e b) dell'art. 2, comma 1, della legge n. 225 del 1992, con esclusione quindi degli eventi destinati, per intensità ed estensione, ad essere fronteggiati con mezzi straordinari, di competenza statale (art. 2, comma 1, lettera c).
D'altro canto, la Commissione regionale ha il solo compito di fornire, su richiesta della Regione, consulenza, supporto tecnico-scientifico e proposte in materia di previsione e prevenzione dei rischi specifici del territorio regionale; essa quindi (nell'intenzione del legislatore regionale, peraltro libero di legiferare nella materia concorrente col solo rispetto dei principi fondamentali) è anche deputata ad attuare, trasponendoli a livello regionale, i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale, senza con ciò duplicarne le funzioni.

5.2. - Infine la norma - nella parte in cui affida al Comitato operativo regionale per l'emergenza e alla Commissione regionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi il coordinamento tecnico degli interventi nella fase emergenziale - violerebbe l'art. 5 del decreto-legge n. 343 del 2001 e l'art. 107 del d. lgs. n. 112 del 1998, che attribuiscono allo Stato il potere di coordinamento, anche scientifico, per assicurare interventi di più ampio orizzonte, non parcellizzati.
Nel senso dell'infondatezza della censura valgono i criteri interpretativi più volte citati: la norma impugnata, riguardando attività della Regione per eventi rientranti nell'ambito della sua competenza, non comporta di per sé violazione dei principi fondamentali desumibili dalle evocate norme interposte, pur se non le richiama esplicitamente (ma nemmeno contiene previsioni ad esse contrarie) (sentenze n. 327 del 2003 e n. 129 del 2006).

6. - Infine l'art. 24, comma 1, è censurato nella parte in cui prevede il trasferimento di risorse statali all'Agenzia regionale, per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost., secondo i quali l'erogazione di finanziamenti pubblici è disposta dallo Stato e avviene in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
La questione non è fondata.
La norma impugnata classifica fra le entrate dell'Agenzia regionale - oltre alle risorse ordinarie e straordinarie trasferite annualmente dalla Regione - le risorse ordinarie statali per l'esercizio delle funzioni conferite alla Regione in materia di protezione civile; le risorse straordinarie statali per interventi connessi ad eventi da cui derivi lo stato di emergenza nel territorio regionale; le risorse del Fondo regionale di protezione civile di cui all'art. 138, comma 16, della legge 23 dicembre 2000, n. 388; e le risorse comunitarie, statali e regionali per il finanziamento o il cofinanziamento di progetti ed attività di interesse della protezione civile in ambito europeo.
Il suo contenuto, pertanto, è meramente descrittivo di entrate che possono pervenire alla Agenzia regionale secondo i generali criteri di conferimento, e non costituisce certo fonte di obbligazioni di trasferimento di risorse finanziarie a carico dello Stato; sicché il solo effetto dell'elenco è quello di legittimare l'Agenzia a ricevere gli indicati tipi di entrate, se e quando i relativi trasferimenti vengano disposti dalla fonte competente, regionale, statale o comunitaria.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2 e 3, dell'art. 2, dell'art. 4, comma 1, dell'art. 20, comma 2, lettera f), dell'art. 23 e dell'art. 24, comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 7 febbraio 2005, n. 1 (Norme in materia di protezione civile e volontariato. Istituzione dell'Agenzia Regionale di protezione civile), proposte - in riferimento agli artt. 117, primo e terzo comma, 118, primo, secondo e quarto comma, e 119 della Costituzione - dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della medesima legge della Regione Emilia-Romagna n. 1 del 2005, proposta - in riferimento ai «già richiamati principi costituzionali» - dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il citato ricorso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 ottobre 2006.