Cassazione Civile, Sez. Lav., 16 febbraio 2011, n. 3789 - Dequalificazione professionale e responsabilità dell'amministrazione scolastica


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno - Presidente

Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere

Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere

Dott. CURCURUTO Filippo - rel. Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
ordinanza

sul ricorso 12328-2009 proposto da:
P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avv. COSSEDDU ANTONIO MARIA, giusta procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente ¬
contro
MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA (già MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE - Ufficio Scolastico Provinciale di Nuoro) in persona del Ministro pro-tempore ed inoltre ISTITUTO COMPRENSIVO DI BORORE in persona del Dirigente Scolastico pro¬
tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;
- controricorrenti ¬
avverso la sentenza n. 101/2008 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI del 5.3.08, depositata il 06/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FILIPPO CURCURUTO. E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.


FattoDiritto

 

 

La Corte d'Appello di Cagliari, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di P.G., docente di scuola materna, volta ad ottenere il risarcimento dei danni da dequalificazione professionale e da "mobbing" subiti a causa della condotta dell'istituto scolastico presso il quale aveva prestato la propria opera.
Il giudice del merito ha ritenuto anzitutto coperta da giudicato la statuizione del primo giudice secondo la quale nella dequalificazione professionale della docente era da escludere qualsivoglia responsabilità della amministrazione scolastica.
La Corte d'Appello ha infatti notato che il tribunale aveva accertato che l'esonero dell'interessata dall'attività di insegnamento, peraltro da lei stessa sollecitato con contestuale richiesta di adibizione a mansioni di bibliotecaria, era dipeso unicamente da giudizio di inidoneità formulato dal competente collegio medico, e che, successivamente, la mancata utilizzazione della P. nel coordinamento delle attività pedagogiche, incarico da lei richiesto con istanza del 1 settembre 1997, non poteva esser considerata fonte di danno alla professionalità, essendo la P. rimasta assente per malattia in via continuativa dalla detta data sino alla richiesta di dispensa dal servizio, poi disposta con provvedimento del 30 giugno 1998.
Ciò premesso, la Corte di merito ha osservato che era mancato uno specifico motivo di impugnazione sorretto da argomentazioni volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico della statuizione, e che a tal fine non poteva valere il generico riferimento contenuto nell'atto d'appello alla violazione dell'art. 2103 c.c. per l'illegittima dequalificazione professionale consistente nel progressivo svuotamento delle mansioni, come pure la mera riproposizione delle conclusioni formulate nel ricorso introduttivo.
Il giudice d'appello, inoltre, ha ritenuto infondati i rilievi dell'appellante avverso il rigetto della domanda di condanna al risarcimento del danno da mobbing.

Premesse le doglianze della P. - l'esser stata costretta a lavorare come bibliotecaria in locali male areati, polverosi e privi di riscaldamento, la prolungata esposizione al fumo passivo dei colleghi, l'esser stata presa di mira con affissione all'interno dei locali di lavoro di manifesti chiaramente allusivi alla sua situazione di dipendente frequentemente ammalata, e perciò assente per lunghi periodi, e di obiettivo contenuto intimidatorio - la Corte d'appello, all'esito di ampia e puntuale motivazione ha escluso tuttavia che la P., sulla quale gravava il relativo onere probatorio, avesse dimostrato la sussistenza di tali fatti o la loro riconducibilità alla responsabilità dell'amministrazione.

P.G. chiede la cassazione di questa sentenza con un ricorso nel quale sono ravvisabili due diversi motivi.
L'amministrazione resiste con controricorso e chiede che il ricorso avversario sia dichiarato inammissibile per non conformità all'art. 366 bis c.p.c. e sia comunque respinto siccome infondato.


Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost., comma 6, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Si censura la statuizione della Corte d'Appello relativa all'asserita formazione del giudicato, osservando che nell'appello era stato fatto riferimento alla violazione dell'art. 2103 c.c. e si erano richiamati gli specifici punti già evidenziati nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Nel quesito ex art. 366 bis c.p.c. si chiede a questa Corte di dire se il richiamo alle specifiche norme di legge violate con collegamento ai fatti ed ai motivi già dedotti nei singoli punti indicati nel ricorso introduttivo sia sufficiente per considerare detta contestazione valida censura del provvedimento di cui si chiede la riforma nel giudizio di appello.

Il motivo non sembra meritevole di accoglimento.

Anzitutto non viene in alcun modo riportata la parte dell'atto d'appello dalla quale dovrebbe emergere la specifica censura nei confronti della statuizione di primo grado.
Inoltre, la valutazione della idoneità del gravame a mettere effettivamente in discussione le statuizioni della sentenza impugnata spetta al giudice d'appello, che sul punto, si è espresso con specifiche ed adeguate valutazioni contro le quali, come del resto emerge anche dalla sostanziale genericità del quesito. non vi è alcuna puntuale censura.

Con il secondo motivo di ricorso si critica la statuizione della Corte di merito circa l'insussistenza di qual si voglia elemento di prova idoneo a configurare la violazione delle disposizioni contenute nell'art. 2087 c.c. e si addebita in particolare alla sentenza di non aver dato alcun conto della censura concernente la mancata ammissione da parte del giudice di primo grado di una c.t.u. medico legale. tale motivo non pare meritevole di accoglimento ove si consideri che la Corte d'appello ha, in sostanza, puntualmente argomentato anche in ordine alla richiesta consulenza tecnica, osservando che questa avrebbe potuto avere ingresso solo se fosse rimasta accertata l'esistenza dei fatti lesivi denunziati nonchè delle specifiche responsabilità del datore di lavoro in ordine agli stessi, situazioni entrambe escluse.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente alle spese del giudizio.

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese in Euro 30 per esborsi oltre ad Euro 2000 per onorari, nonchè accessori di legge.