Cassazione Penale, Sez. 4, 22 febbraio 2011, n. 6806 - Subappalto e responsabilità


 

Responsabilità di un amministratore unico di una srl e del direttore tecnico di cantiere per infortunio sul lavoro.

 

In particolare la srl aveva avuto in appalto dal Comune di Brienno i lavori di messa in sicurezza di una parete rocciosa. Per l'esecuzione del lavoro la società aveva subappaltato al Fa., in qualità di lavoratore autonomo, una parte delle opere tra cui l'ancoraggio di una rete metallica di protezione contro la caduta di massi sulla strada.
Durante lo svolgimento del lavoro il Fa. era salito lungo la parete sostenuto da una corda; in tale frangente cadeva da un'altezza di circa 30 mt., a seguito della rottura della fune che si era sfilacciata sfregando contro gli spigoli vivi delle rocce.
 

Gli imputati erano stati condannati in quanto, in qualità di rappresentanti della società committente, avevano violato plurime disposizioni del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; in particolare non avevano verificato le capacità tecnico-professionali del Fa., a cui era stato concesso il subappalto; non avevano fornito al lavoratore informazioni sui rischi specifici del lavoro da svolgere e sulla necessità di proteggere le corde con tubi in gomma, nè gli avevano trasmesso il P.O.S. ove erano segnalati i rischi dovuti alla presenza di "spigoli vivi"; non avevano cooperato alla attuazione delle misure di prevenzione e non avevano promosso il coordinamento nell'attuazione delle misure di sicurezza.

 

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Rigetto.

 

"Nel caso di specie, non può porsi in dubbio che il F., quale amministratore unico della società, avesse la posizione di garanzia (datore di lavoro-committente) che gli imponesse di adottare, o controllare che fossero adottate, le cautele omesse e che hanno determinato l'evento. In un caso analogo questa Corte di legittimità ha statuito che "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia dell'amministratore delegato di una società, in quanto datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l'inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di Spesa"."

 

"Sul punto la difesa dell'imputato ha rilevato che tali poteri erano stati trasferiti al C., il quale aveva una tale autonomia da poter stipulare i contratti di appalto e di lavoro.
Come osservato dalla Corte di merito, effettivamente dal certificato della CCIAA prodotto risulta che il C. era dotato dei poteri per contrattare con il Comune di Brienno, di dirigere le relative operazioni e di affidare lavori a terzi. Ma la attribuzione di tali poteri non ha determinato la assunzione da parte sua della qualità di datore di lavoro (committente), nè in capo a lui sono stati trasferiti i relativi obblighi di sicurezza.
A tal fine, infatti sarebbe stato necessario conferirgli una specifica "delega" che nel caso di specie, come rilevato dal giudice di merito, non risulta conferita. In tema questa Corte di legittimità, già prima della codificazione prevista nel
D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 16 e 17, ha statuito che sebbene "in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive".

 

Nel caso in questione, come rilevato dalla Corte distrettuale, nessuna inequivoca delega di funzioni antinfortunistiche risulta essere stata affidata al C.; nè tale delega risulta essere stata conferita di fatto non avendo l'imputato documentato l'esistenza di un organigramma aziendale, tale da veder conferita di fatto la delega al predetto C. Ne consegue da quanto detto, che il F., quale datore di lavoro (committente), aveva intatta la sua posizione di garanzia al momento dei fatti, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 7, come pure tale posizione, in qualità di dirigente, concorrentemente l'aveva il C..
 

 

Continua la Corte:

"gli imputati, con un ulteriore motivo di ricorso, hanno lamentato che il luogo ove era al lavoro il Fa. ed il suo collega L. non fosse lo stesso interessato dalla attività della società E., mentre si trattava di una altra parete ove non operavano maestranze aziendali e, pertanto, non vi erano oneri di coordinamento delle attività.
In proposito il giudice di merito ha ricordato come dalla deposizione del teste L. (collega di lavoro della vittima), fosse emerso che il giorno prima del fatto i due lavoratori avevano avuto l'incarico da parte del C., a ciò sollecitato dal tecnico del Comune di Brienno, di posizionare delle reti metalliche anche su una parete laterale, per evitare il rischio della caduta di massi.
Orbene, se è vero che lo svolgimento di tale attività non determinava interferenza con i lavoratori della E., a ciò non conseguiva il venir meno degli obblighi di sicurezza del committente, sotto il profilo della informazione dei rischi del lavoro, la pretesa dell'utilizzo di materiali adeguati, del controllo del rispetto del P.O.S. ed in generale della "cooperazione" nella attuazione della misure di sicurezza.

Infatti, il datore di lavoro, quand'anche disarticoli il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali che gli consentano di alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, contestualmente dislocandone, almeno in parte, i rischi, è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del programma imprenditoriale."
 

 
"Come più volte statuito da questa Corte, "la responsabilità del datore di lavoro appaltante non è esclusa dal fatto che questi abbia, a sua volta, subappaltato l'esecuzione dell'opera ad altra ditta, che ha così assunto il ruolo concreto di impresa esecutrice dei lavori, atteso che in caso di lavori affidati in appalto la ditta, appaltante o subappaltante, deve fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in relazione all'attività da svolgere, ed entrambe le ditte debbono cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all'esecuzione dell'opera appaltata; così che in presenza di tale obbligo generale di collaborazione antinfortunistica è esclusa la possibilità che il solo affidamento a terzi della esecuzione dei lavori liberi l'appaltante, o il subappaltante, dalla propria responsabilità prevenzionale"."

 

"Infatti, se è vero che ai fini della prevenzione antinfortunistica non si esige che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore quando costui, per qualunque ragione, ometta di adottare le misure di prevenzione prescritte, deve tuttavia ritenersi che, quando tale omissione sia, come nella fattispecie, immediatamente percepibile (corda non protetta come previsto dal P.O.S), il committente, che è in grado di accorgersi senza particolari indagini dell'inadeguatezza delle misure di sicurezza, risponde anch'egli delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi."

 

Infine, "in relazione al lamentato comportamento negligente della persona offesa (mancato utilizzo di una corda protetta), questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute".

"Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il Fa. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro nella zona indicata dal C. per sistemare una rete protettiva voluta dal Comune. Pertanto la circostanza che la vittima, abbia utilizzato uno strumento di lavoro inidoneo a garantire la sua sicurezza, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che la cautela omessa era prevista dal P.O.S. redatto dal committente e che non risulta esser stato consegnato al Fa.."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE
 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere
Dott. MAISANO Giulio - Consigliere
Dott. IZZO Fausto - rel. Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

sentenza
 

 

sul ricorso proposto da:

1) C.C., n. a (OMISSIS);
2) F.G.B., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/9/2007 della Corte di Appello di Milano;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. IZZO Fausto;
sentita la richiesta del P.G. Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
sentiti i difensori Avv. Bana Giovanni (sost. Dall'Avv. Enrico Manni (per C.) e l'Avv. Gualtieri Giacomo (per il F.); nonchè l'Avv. Botta Giuseppe (per il Resp. Civile E. s.r.l), che hanno richiesto l'accoglimento dei ricorsi. Si osserva:
 


FattoDiritto

 

 

1. Con sentenza del 12/11/2004 il Tribunale di Como, condannava F.G.B. e C.C. per il delitto di cui all'art. 589 c.p., per avere cagionato la morte del lavoratore Fa.Ro. a causa della violazione delle norme di prevenzione infortuni (acc. in (OMISSIS)). Il Tribunale irrogava la pena di anni uno di reclusione, concesse le attenuanti generiche equivalenti, pena sospesa e non menzione. Gli imputati ed il responsabile civile soc. "E." s.r.l. venivano, inoltre, condannati al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili (moglie, figli, madre e sorella della vittima) e ad una provvisionale immediatamente esecutiva di complessivi Euro 150.000=.
La soc. s.r.l. E., di cui il F. era amministratore unico (C. direttore tecnico di cantiere), aveva avuto in appalto dal Comune di Brienno i lavori di messa in sicurezza di una parete rocciosa. Per l'esecuzione del lavoro la società aveva subappaltato al Fa., in qualità di lavoratore autonomo, una parte delle opere tra cui l'ancoraggio di una rete metallica di protezione contro la caduta di massi sulla strada.
Durante lo svolgimento del lavoro il Fa. era salito lungo la parete sostenuto da una corda; in tale frangente cadeva da un'altezza di circa 30 mt., a seguito della rottura della fune che si era sfilacciata sfregando contro gli spigoli vivi delle rocce.
Gli imputati erano stati condannati in quanto, in qualità di rappresentanti della società committente, avevano violato plurime disposizioni del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; in particolare non avevano verificato le capacità tecnico-professionali del Fa., a cui era stato concesso il subappalto; non avevano fornito al lavoratore informazioni sui rischi specifici del lavoro da svolgere e sulla necessità di proteggere le corde con tubi in gomma, nè gli avevano trasmesso il P.O.S. ove erano segnalati i rischi dovuti alla presenza di "spigoli vivi"; non avevano cooperato alla attuazione delle misure di prevenzione e non avevano promosso il coordinamento nell'attuazione delle misure di sicurezza.

Con sentenza del 17/9/2007 la Corte di Appello Milano, confermava la pronuncia di condanna.

Osservava la Corte territoriale che:
- benchè fosse dubbia la reale qualificazione del rapporto intercorso tra la soc. E. e la vittima, più vicina alla fornitura di mere prestazioni di lavoro, anche a volerlo qualificare come contratto di appalto con un lavoratore autonomo o un piccolo imprenditore, la affermazione della responsabilità degli imputati doveva essere confermata;

-il lavoro era stato svolto secondo precisi ordini ricevuti dalla società e con materiali da questi messi a disposizione del Fa. e di altro suo collaboratore;
- nonostante la presenza di rischi specifici dovuti alla presenza di spigoli sulle rocce, segnalati nel P.O.S., il lavoratore non aveva ricevuto alcuna informazione specifica, nè gli era stato consegnato copia del P.O.S.; invece gli era stato consentito di lavorare senza materiali idonei (funi non protette da tubi in gomma);
- gli imputati, nelle rispettive qualità, non avevano attivato alcuna cooperazione o coordinamento e quindi alcun controllo della attività di lavoro in corso di svolgimento;
-inoltre, il lavoratore, iscritto alla camera di commercio come giardiniere, sebbene esperto scalatore, non era certo avesse una esperienza diversa da quella sportiva e cioè applicata all'attività lavorativa nel settore.

Sulla base di tali valutazioni, la Corte di merito confermava la pronuncia di condanna.

 

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, lamentando:

Il F.:

2.1. La violazione di legge ed in particolare del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, comma 1, lett. b), e art. 4, comma 11, per avere la Corte di merito immotivatamente assimilato il F., amministratore unico della società, al datore di lavoro, quando invece dagli atti prodotti risultava che il contratto con il comune di Brienno e l'affidamento dei lavori al Fa. era stato concluso dal C., per cui questi aveva esercitato con effettività i poteri di datore di lavoro. Inoltre, non essendo la società di modeste dimensioni, occupando 50 dipendenti ed avendo una pluralità di cantieri, la delega di funzioni conferita al C. esonerava il ricorrente dalle responsabilità relative all'incidente;

 

2.2. La violazione di legge ed in particolare degli artt. 521 e 604 c.p.p. e degli artt. 2094 e 2222 c.c., per avere il giudice di appello qualificato il rapporto intercorso tra la società E. ed il Fa., di lavoro subordinato, difformemente da quanto contestato e ritenuto nella sentenza di primo grado, con violazione del principio di correlazione;

2.3. La violazione di legge e la illogicità della motivazione, laddove la corte aveva dato per scontata una circostanza non dimostrata e cioè che il luogo ove era al lavoro il Fa. ed il suo collega L. fosse lo stesso interessato dalla attività della società E., mentre si trattava di una altra parete ove non operavano maestranze aziendali; inoltre il rischio concretizzatosi era stato determinato dallo stesso Fa., che non aveva utilizzato una fune adatta al lavoro da svolgere;


2.4. la illogicità della motivazione, laddove la corte di merito aveva ritenuto la vittima non dotata delle necessarie capacità professionali, mentre l'unica qualità necessaria per svolgere il lavoro commissionato era di essere esperto alpinista, dovendosi stendere una rete su una parete montana;

2.5. il difetto di motivazione in ordine al giudizio di comparazione delle circostanze, in quanto la Corte distrettuale non aveva inteso concedere le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

 

Il C.:

2.6. La violazione di legge ed in particolare dell'art. 521 c.p.p., per avere il giudice di appello, per giungere alla condanna, qualificato il rapporto intercorso tra la società E. ed il Fa., di lavoro subordinato, difformemente da quanto contestato e ritenuto nella sentenza di primo grado, con violazione del principio di correlazione;


2.7. La violazione di legge e la illogicità della motivazione, laddove la corte non aveva tenuto conto che il lavoro svolto dal Fa. era stato compiuto in un luogo diverso da quello ove operava la E. ed in un periodo successivo; pertanto era inapplicabile il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7; inoltre il rischio connesso allo sfregamento delle corde era specifico dell'attività della vittima e non dell'attività della società E., pertanto non doveva essere portato a conoscenza del Fa. che aveva una specifica esperienza in materia alpinistica.

 

3. I ricorsi sono infondati.

 

3.1. Entrambi gli imputati hanno lamentato la violazione del principio di correlazione in quanto, tratti a giudizio e condannati in primo grado in relazione al decesso di un lavoratore autonomo, la sentenza di appello aveva invece qualificato il rapporto intercorrente tra la E. e la vittima Fa., come di lavoro subordinato.

La doglianza è infondata.

Vero è che in un obiter della sentenza la Corte di appello, mostra dei dubbi sulla qualificazione del rapporto come contratto d'opera, palesandosi i profili della fornitura delle mere prestazioni di lavoro. Ma dopo avere fatto questa valutazione incidentale ed avere osservato che in tal caso non vi sarebbero stati dubbi sulla responsabilità degli imputati per la loro inequivoca posizione di garanzia, riprende il suo discorso motivazionale sulla base della qualificazione del rapporto dato dalla sentenza di primo grado e cioè di lavoro autonomo e tutte le argomentazioni sono svolte sulla base di tale presupposto di partenza. Sul punto basta legge la pagina 8 della sentenza, ove si afferma: "Ma qualora si ritenesse forzata questa chiave di lettura, perchè gli elementi sopra sottolineati in tale ottica non sarebbero sufficienti a colorare diversamente in chiave giuridica il rapporto intercorso tra il de cuius e la E. (cioè lavoro subordinato), ad avviso della Corte non verrebbero certamente meno le responsabilità in capo agli imputati proprio per le considerazioni svolte sul punto dal giudice di prime cure. Infatti, fermo restando che il lavoratore autonomo.....".
Appare evidente, pertanto, che la Corte di merito, nel confermare il giudizio di responsabilità degli imputati, ha articolato la sua motivazione sul presupposto della natura autonoma del rapporto di lavoro della vittima, così come ritenuto dal Tribunale.

 

3.2. L'imputato F. con il primo motivo di ricorso ha lamentato che il giudice di merito non aveva tenuto conto che il contratto di appalto con il Comune di Brienno e di lavoro con la vittima, erano stati conclusi dal C. e, pertanto, quest'ultimo aveva esercitato con effettività i poteri del datore di lavoro, conseguentemente era l'unico titolare della posizione di garanzia.

 

Anche tale doglianza è infondata.

 

Va premesso che per attribuire ad una condotta omissiva umana una efficacia casuale, è necessario che l'agente abbia in capo a sè la c.d. "posizione di garanzia" e che cioè, in ragione della sua prossimità con il bene da tutelare, sia titolare di poteri ed obblighi che gli consentono di attivarsi onde evitare la lesione o messa in pericolo del bene giuridico la cui integrità egli deve garantire (art. 40 c.p., comma 2: "Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo").
La ratio della disposizione va ricercata nell'intenzione dell'ordinamento di assicurare a determinati beni una tutela rafforzata, attribuendo ad altri soggetti, diversi dall'interessato, l'obbligo di evitarne la lesione e ciò perchè il titolare non ha il completo dominio delle situazioni che potrebbero metterne a rischio l'integrità.
In sintesi, perchè nasca una posizione di garanzia, è necessario che: vi sia un bene giuridico che necessiti di protezione e che da solo il titolare non è in grado di proteggere; che una fonte giuridica (anche negoziale) abbia la finalità della sua tutela; che tale obbligo gravi su una o più specifiche persone; che queste ultime siano dotate di poteri impeditivi della lesione del bene che hanno "preso in carico".
Invero, i titolari della posizione di garanzia devono essere forniti dei necessari poteri impeditivi degli eventi dannosi. Il che non significa che dei poteri impeditivi debba essere direttamente fornito il garante, è sufficiente che gli siano riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari per evitare che l'evento dannoso venga cagionato, per la operatività di altri elementi condizionanti di natura dinamica.


Ciò premesso, nel caso di specie, non può porsi in dubbio che il F., quale amministratore unico della società, avesse la posizione di garanzia (datore di lavoro-committente) che gli imponesse di adottare, o controllare che fossero adottate, le cautele omesse e che hanno determinato l'evento. In un caso analogo questa Corte di legittimità ha statuito che "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la posizione di garanzia dell'amministratore delegato di una società, in quanto datore di lavoro, è inderogabile quanto ai doveri di vigilanza e controllo per la tutela della sicurezza, in conseguenza del principio di effettività, il quale rende riferibile l'inosservanza alle norme precauzionali a chi è munito dei poteri di gestione e di Spesa" (Sez. 3 sent. 29229 del 3-8- 2005 (ud. 19-4-2005) rv. 232307).
Sul punto la difesa dell'imputato ha rilevato che tali poteri erano stati trasferiti al C., il quale aveva una tale autonomia da poter stipulare i contratti di appalto e di lavoro.
Come osservato dalla Corte di merito, effettivamente dal certificato della CCIAA prodotto risulta che il C. era dotato dei poteri per contrattare con il Comune di Brienno, di dirigere le relative operazioni e di affidare lavori a terzi. Ma la attribuzione di tali poteri non ha determinato la assunzione da parte sua della qualità di datore di lavoro (committente), nè in capo a lui sono stati trasferiti i relativi obblighi di sicurezza.
A tal fine, infatti sarebbe stato necessario conferirgli una specifica "delega" che nel caso di specie, come rilevato dal giudice di merito, non risulta conferita. In tema questa Corte di legittimità, già prima della codificazione prevista nel D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 16 e 17, ha statuito che sebbene "in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, fermo comunque l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Sez. 4 sent. 38425 dei 22-11-2006 (ud. 19-6-2006) rv. 235184).
Nel caso in questione, come rilevato dalla Corte distrettuale, nessuna inequivoca delega di funzioni antinfortunistiche risulta essere stata affidata al C.; nè tale delega risulta essere stata conferita di fatto, non avendo l'imputato documentato l'esistenza di un organigramma aziendale, tale da veder conferita di fatto la delega al predetto C. (cfr. Cass. Sez. 4 sent. 37470 del 2-10-2003 (ud. 9-7-2003) rv. 226228).
Ne consegue da quanto detto, che il F., quale datore di lavoro (committente), aveva intatta la sua posizione di garanzia al momento dei fatti, ai sensi del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 7, come pure tale posizione, in qualità di dirigente, concorrentemente l'aveva il C..
3.3. Gli imputati, con un ulteriore motivo di ricorso, hanno lamentato che il luogo ove era al lavoro il Fa. ed il suo collega L. non fosse lo stesso interessato dalla attività della società E., mentre si trattava di una altra parete ove non operavano maestranze aziendali e, pertanto, non vi erano oneri di coordinamento delle attività.
In proposito il giudice di merito ha ricordato come dalla deposizione del teste L. (collega di lavoro della vittima), fosse emerso che il giorno prima del fatto i due lavoratori avevano avuto l'incarico da parte del C., a ciò sollecitato dal tecnico del Comune di Brienno, di posizionare delle reti metalliche anche su una parete laterale, per evitare il rischio della caduta di massi.
Orbene, se è vero che lo svolgimento di tale attività non determinava interferenza con i lavoratori della E., a ciò non conseguiva il venir meno degli obblighi di sicurezza del committente, sotto il profilo della informazione dei rischi del lavoro, la pretesa dell'utilizzo di materiali adeguati, del controllo del rispetto del P.O.S. ed in generale della "cooperazione" nella attuazione della misure di sicurezza.

Infatti, il datore di lavoro, quand'anche disarticoli il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali che gli consentano di alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, contestualmente dislocandone, almeno in parte, i rischi, è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del programma imprenditoriale.
Invero, i principi che governano i rapporti tra committente e appaltatore valgono anche in materia di subappalto, come del resto pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza civilistica (confr. cass. sez. lav. 23 marzo 1999, n. 2745), pertanto incombeva pur sempre a carico degli imputati, in base al disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, di informare il lavoratori autonomi dei rischi e di verificare l'attuazione delle misure.

Nel caso di specie il Piano di Sicurezza redatto dalla E. il 4/6/2002 e depositato presso il comune committente, come ricordato nelle sentenze di merito, esplicitamente prevedeva per i lavori da svolgere con tecnica alpinistica, l'utilizzo di tubi di gomma di idoneo diametro, per proteggere la corda da lesioni da spigoli vivi delle rocce.
La violazione di tale misura di sicurezza è stata la causa della rottura della corda e della caduta dalla parete del Fa. ed ha concretizzato quel rischio che il P.O.S. mirava a prevenire.
L'omissione da parte degli imputati di un'adeguata informazione su detto rischio del lavoro da svolgere e di controllo dell'attuazione delle misure di sicurezza radica la loro responsabilità.
Come più volte statuito da questa Corte, "la responsabilità del datore di lavoro appaltante non è esclusa dal fatto che questi abbia, a sua volta, subappaltato l'esecuzione dell'opera ad altra ditta, che ha così assunto il ruolo concreto di impresa esecutrice dei lavori, atteso che in caso di lavori affidati in appalto la ditta, appaltante o subappaltante, deve fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in relazione all'attività da svolgere, ed entrambe le ditte debbono cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all'esecuzione dell'opera appaltata;
così che in presenza di tale obbligo generale di collaborazione antinfortunistica è esclusa la possibilità che il solo affidamento a terzi della esecuzione dei lavori liberi l'appaltante, o il subappaltante, dalla propria responsabilità prevenzionale" (Cass. Sez. 3, sentenza n. 15927 dei 12/01/2006 ud. (dep. 10/05/2006), ric. Sassi, rv. 234311).
Infatti, se è vero che ai fini della prevenzione antinfortunistica non si esige che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore quando costui, per qualunque ragione, ometta di adottare le misure di prevenzione prescritte, deve tuttavia ritenersi che, quando tale omissione sia, come nella fattispecie, immediatamente percepibile (corda non protetta come previsto dal P.O.S), il committente, che è in grado di accorgersi senza particolari indagini dell'inadeguatezza delle misure di sicurezza, risponde anch'egli delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi (cfr. cass. sez. 4, Sentenza n. 30857 del 14/07/2006 Ud. (dep. 19/09/2006), ric. Sodi, rv. 234828; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 19372 del 15/03/2007 Ud. (dep. 18/05/2007), ric. Ghelfa, rv. 236545).
Nè può dirsi che si tratti di un rischio specifico della ditta appaltatrice (nel nostro caso del lavoratore autonomo incaricato della esecuzione), quindi solo da quest'ultima percepibile, tanto vero che detto rischio era esplicitamente previsto dal P.O.S. redatto dal committente.

 

3.4. Infondata è inoltre l'ulteriore doglianza relativa alla violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 1, lett. a), per avere affidato i lavori ad una persona tecnicamente non qualificata.
Come coerentemente ha evidenziato il giudice di merito, se è vero che il Fa. era un "esperto scalatore", ciò non significava che fosse in grado di applicare le sue abilità sportive all'attività lavorativa.
Del resto, la circostanza che egli fosse privo di una specifica qualificazione professionale trova riscontro nel certificato della camera, ove era attestata la qualifica di "giardiniere".
Da quanto fin qui esposto, emerge la causalità della negligente condotta omissiva dei due imputati i quali, pur rivestendo qualifiche radicanti in loro capo una posizione di garanzia (il F. quale committente ed il C. quale suo dirigente), all'atto di commissionare il lavoro di posizionamento della rete su una parete rocciosa al Fa., persona priva della specifica professionalità, hanno omesso di informarlo dei rischi del lavoro (spigoli vivi delle rocce); non hanno cooperato durante lo svolgimento del lavoro alla attuazione delle misure di sicurezza (pretendendo il rispetto del P.O.S. e non rilevando il percepibile utilizzo di corde non protette, come previsto dal predetto piano).
Consegue la declaratoria della infondatezza delle censure formulate in punto di affermazione della penale responsabilità.

 

3.5. In relazione al lamentato comportamento negligente della persona offesa (mancato utilizzo di una corda protetta), questa Corte ha più volte ribadito che in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass. 4, n. 21587/07, ric. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, il Fa. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro nella zona indicata dal C. per sistemare una rete protettiva voluta dal Comune. Pertanto la circostanza che la vittima, abbia utilizzato uno strumento di lavoro inidoneo a garantire la sua sicurezza, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che la cautela omessa era prevista dal P.O.S. redatto dal committente e che non risulta esser stato consegnato al Fa.. Ne consegue che anche tale motivo di impugnazione è infondato.

 

3.6. Quanto alle censure relative al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche ed al complessivo trattamento sanzionatorio, anche in tal caso le censure sono infondate.
Il giudice di merito, per negare la prevalenza delle attenuanti generiche e determinare la pena (peraltro vicino al minimo edittale) ha valutato la gravità del fatto (e per il C. anche il precedente specifico per omicidio colposo), nonchè il comportamento tenuto post delictum dai due imputati. Costoro hanno in più occasioni contattato direttamente o per interposta persona la sorella della vittima Fa.Cr., in quanto dovevano preparare un documento con una data antecedente, al fine di dimostrare il passaggio dell'attività di lavoro dalla E. alla ditta F..

Tale documentazione serviva loro per "pararsi il culo" (frase testuale riferita dai testi Fa.Cr. e S.S.).
Va ricordato che questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata ha stabilito che le statuizioni relative alla pena ed al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in cassazione soltanto nella ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (cfr. Cass. 1, 15542/01, Pelini).

Nel caso di specie, il giudice di merito, con adeguata motivazione, ha spiegato di non ritenere i ricorrenti meritevoli della prevalenza delle attenuanti in ragione della gravità del fatto e del comportamento post delictum. Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego della prevalenza, che le censure proposte non valgono a scalfire.

Per quanto detto i ricorso sono infondati e devono essere rigettati.

Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.
 

 

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.