Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 gennaio 2011, n. 2114 - Rifiuto di eseguire gli ordini dei superiori opponendo il proprio stato di invalidità dopo che il medico competente lo aveva dichiarato idoneo e licenziamento


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele - Presidente

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

 

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio GHERA -GAROFALO, rappresentato e difeso dall'avvocato GAROFALO DOMENICO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

 

contro CARLO G. IMPIANTI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELL'UNIVERSITA' 11, presso lo studio dell'avvocato FABBRI FRANCESCO, rappresentata e difesa dall'avvocato TRIONI GUIDO, giusta delega in atti;


- controricorrente -

avverso la sentenza n. 986/2007 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 25/09/2007 R.G.N. 819/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l'Avvocato GHERA FEDERICO per delega GAROFALO DOMENICO; udito l'Avvocato FABBRI FRANCESCO per delega TROIANI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto

 

Con sentenza resa dal Tribunale di Torino il 26.10.2006 era stata respinta la domanda proposta da C.M., intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli il 21.2.2006 dalla spa Carlo G. Impianti, la quale aveva ritenuto accertati i fatti addebitati al dipendente, ossia il rifiuto di eseguire gli ordini dei superiori opponendo il proprio stato di invalidità dopo che il medico competente lo aveva dichiarato idoneo; la richiesta di ordine scritto per eseguire il proprio lavoro e la convocazione in azienda della Polizia di Stato per fare valere le proprie ragioni.

Con sentenza della Corte di Appello di Torino del 13.9/25.9.2007 veniva respinto il gravame proposto dal lavoratore.


Osservava in sintesi la corte territoriale che il codice disciplinare era affisso in azienda; che non poteva reputarsi tardiva la contestazione dell'addebito in quanto l'episodio era riferito a giorno prima e comunque che l'argomento era stato dedotto per la prima volta in appello; escludeva la genericità della contestazione e rilevava che la condotta del dipendente era stata tale da integrare grave insubordinazione ai sensi dell'art. 25 lett A ccnl, considerato, altresì, che, se il predetto avesse ritenuto che l'esito dell'accertamento medico che lo aveva ritenuto idoneo fisicamente non fosse stato condivisibile, avrebbe dovuto impugnarlo D.Lgs. n. 626 del 1994, ex art. 17, comma 4 e che, pertanto, non fosse ravvisabile la dedotta sproporzione della sanzione irrogata.

Propone ricorso per Cassazione, notificato il 18.1.2008, il C., affidato a sette motivi. Resiste con controricorso, ritualmente notificato la società Carlo G..

 
Memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c. sono state depositate da entrambe le parti.

 

 

Diritto

 


Con il primo motivo di impugnazione, il C. deduce motivazione illogica, incongrua ed insufficiente su un punto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5).
Assume che l'inattendibilità del teste P., che aveva riferito circostanze in contrasto con quelle riferite da altri due testi sull'affissione del codice disciplinare non era stata adeguatamente motivata. 

Il motivo si fonda su una generica contestazione della decisione della corte territoriale in merito alla ritenuta inattendibilità del teste indicato per desumerne circostanze diverse da quelle ritenute provate dalle deposizioni di altri testi, invece valorizzate dal giudicante, fornendo una propria versione, contrastante con quella ritenuta dal giudice del merito, circa la affissione del codice disciplinare.

La censura si rivela inammissibile, atteso che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, "qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l'omessa o erronea valutazione di prove testimoniali, ha l'onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell'esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica" (Cass. 12.2009 n. 6623).

Ed ancora è stato affermato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico - formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass 23.12.2009 n. 27162 , conforme alle precedenti n. 15355/2004; 21826/2004; 1892/2002; 7932/98; 5802/1998).


Sono, dunque, da respingere le censure proposte dal ricorrente in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie che è stata compiuta dalla Corte di appello di Torino con riferimento alla situazione fattuale correttamente e globalmente accertata -, in quanto la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 322/2003).

 

Pervero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell'accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti considerati nel loro complesso, pur senza una esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non considerati: come, nella specie, è di certo avvenuto per la sentenza impugnata.

 

Non sussiste, comunque, il vizio di motivazione denunciato dal ricorrente, così come gli ulteriori dedotti, poichè la sentenza in esame appare - come è stato dinanzi evidenziato e come di seguito esposto con riferimento alle ulteriori censure -congruamente motivata ed immune da vizi logico- giuridici con riferimento a quanto statuito in base all'esatta applicazione della normativa contrattuale ed alla corretta valutazione delle risultanze processuali.

Al riguardo vale, in linea generale e di principio, rilevare che:

a) il difetto di motivazione, nel senso d'insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l'obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, -come per le censure mosse nella specie dal ricorrente - quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati (Cass. n. 2114/1995);


b) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l'iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno un insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della controversia (Cass. n. 3928/2000) - irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta -;

c) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi - come sicuramente ha fatto, nella specie, il Giudice di appello - le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 13342/1999).

 

In sostanza, il motivo di ricorso per Cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di Cassazione (cfr, tra le altre, Cass. sez lav. 11669/2006).

Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 437 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3), rilevando che non si era tenuto conto di eccezione già sollevata tempestivamente sulla tardività della contestazione disciplinare.

La censura è generica e la lamentata violazione dell'art. 7 dello statuto risulta prospettata con riferimento all'atto introduttivo, che atteneva in termini generati alle garanzie procedimentali e non specificamente a profilo della tardività, che costituisce diverso tema di indagine. Anche il quesito di diritto è inammissibile, in quanto, per come formulato, non risponde ai canoni di cui all'art. 366 bis c.p.c.. Ed invero, è esposta solo una richiesta generica di accertamento della violazione della norma di legge, laddove il quesito di diritto di cui all'art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l'indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. sez 3 30.9.2008 n. 24339; Cass. s. u. 3518/08; 22640/07; 14385/07).


Con il terzo motivo di impugnazione si deduce motivazione illogica, insufficiente, incongrua e contraddittoria su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), rilevandosi , in particolare, che il giudizio di idoneità fisica era stato espresso con riguardo alla incompatibilità mansionale e non ambientale, in relazione al quale il certificato medico invocato dalla società nulla provava.
Viene, poi, evidenziato che non era rilevante la richiesta di ordine scritto ai fini della ritenuta insubordinazione e che l'intervento della forza pubblica non turbava l'ambiente di lavoro e non rappresentava una ipotesi di insubordinazione grave.

 

Anche tale motivo nelle sue articolazioni si rivela inammissibile in quanto si contrappone una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella prospettata dalla Corte di Appello a sostegno della pronunzia, senza censurarne i criteri interpretativi.

Motivazione insufficiente, illogica ed incongrua su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) viene poi lamentata con il quarto motivo, deducendosi che la polverosità dell'ambiente ove esso ricorrente era stato comandato ad eseguire la prestazione era stata confermata dei testi; il rifiuto, peraltro, non era stato netto, in quanto era stato richiesto solo un preventivo ordine scritto; il medico che aveva accertato l'idoneità non era quello competente.

 

Il motivo si palesa inammissibile in quanto le doglianze attengono a valutazioni di fatto non contestabili in cassazione, non potendo accedersi ad una rivisitazione del merito e non avendo il ricorrente evidenziato vizi logici o deficienze motivazionali idonei a far presumere, che, ove condotta secondo criteri corretti, la valutazione avrebbe condotto a pronunzia difforme da quella adottata.

 

Quanto alla dedotta violazione degli artt. 2697, 2087, 1218 c.c., artt. 2104, 2106, 2119 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), contenuta nel quinto motivi di impugnazione, il ritenuto stravolgimento della regola di ripartizione degli oneri probatori, sul presupposto che l'obbligo di provare la sicurezza dei luoghi di lavoro incombesse al datore di lavoro e che la mancata impugnativa del certificato medico di idoneità alle mansioni non rilevava essendo la società a dover dimostrare che il dott. M.N. fosse il proprio medico competente, anche la stessa deve ritenersi inconferente, non essendo oggetto di causa l'osservanza delle norme di sicurezza sul lavoro e non essendo stati esplicitati i motivi sulla cui base era stato dedotto che l'accertamento di idoneità competesse ad altri sanitari, così come inammissibile deve ritenersi il relativo quesito di diritto per le medesime argomentazioni spese con riferimento al motivo sub 2).


Anche la deduzione del vizio di motivazione insufficiente, incongrua e carente su punto decisivo della controversia (Art. 360 c.p.c., n. 5) con riferimento alla assunta violazione degli obblighi di cui all'art. 2104 c.c. in capo al lavoratore che esiga, invece, da parte del proprio datore di lavoro, unicamente il rispetto degli obblighi di sicurezza su di lui gravanti, deve ritenersi inammissibilmente riferita a valutazioni di merito non contestabili, anche sugli effetti della turbativa provocati nell'ambiente di lavoro dall'intervento della forza pubblica, su sollecitazione del C..

Analogamente la dedotta violazione dell'art. 2119 c.c. e dell'art. 2106 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), con riferimento alla ritenuta sproporzione della sanzione deve ritenersi insussistente, alla luce delle considerazioni svolte dalla corte territoriale, che appaiono pienamente conformi ai principi enunciati in materia da questa Corte ed alla cui stregua il principio di proporzione tra la gravità dell'illecito disciplinare e la relativa sanzione, che trova applicazione non soltanto al recesso intimato ai sensi dell'art. 2119 cod. civ., comporta che il giudice debba valutare non solo il comportamento previsto dalla norma, di contratto o di altra fonte, come punibile con il licenziamento, ma anche l'inserimento eventuale di esso nella vicenda caratterizzata da altri e sia pur meno gravi illeciti disciplinari, come si è verificato nella specie in cui il dipendente era chiamato a rispondere di una pluralità di addebiti (Cfr. Cass. sez. lav. 19.12.2008 n. 23668). Ed inoltre, è stato più volte affermato che in tema di sanzioni disciplinari il fondamentale principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della infrazione deve essere rispettato sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore di lavoro nell'esercizio del suo potere disciplinare, sia in sede di controllo che, della legittimità e della congruità della sanzione applicata, il giudice sia chiamato a fare.

Ai fini di tale valutazione il giudice deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore in quanto anche esse incidono sulla determinazione della gravità della trasgressione e, quindi, della legittimità della sanzione stessa e l'apprezzamento di merito della proporzionalità tra infrazione e sanzione sfugge, peraltro, a censure in sede di legittimità se la valutazione del giudice di merito è sorretta, come nel caso in esame, da adeguata e logica motivazione. (Cfr., tra le altre, Cass, sez lav. 20221/2007).


Pure il relativo quesito di diritto deve ritenersi inammissibile per i termini assertivi in cui risulta formulato (integra lesione del vincolo fiduciario la richiesta di intervento della forza pubblica per evitare la compromissione del proprio stato di salute?), implicando peraltro valutazioni sulla possibilità di pregiudizio alla salute che non possono presupporsi e che, anzi, risultano smentite dal contesto probatorio acquisito, come affermato in sentenza.

Per tutte le considerazioni esposte e per gli evidenziati vizi di inammissibilità il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza.

 

 

P.Q.M.


LA CORTE così provvede:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 44,00 per esborsi, in Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.