Cassazione Penale, Sez. 4, 16 marzo 2011, n. 10645 - Prassi pericolosa tollerata dal delegato alle competenze in materia di sicurezza del lavoro


Responsabilità del delegato all'espletamento delle funzioni inerenti le competenze in materia di sicurezza del lavoro nello stabilimento "A.M. s.p.a." per il delitto di lesioni personali colpose gravi commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del lavoratore dipendente S.S. che, utilizzando una pressa con i dispositivi di sicurezza disattivati, ha subito un trauma da schiacciamento delle mani.

 

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

 

"In particolare, con riguardo al tema della responsabilità, i giudici del gravame, rilevato che il P., nella qualità di responsabile per la sicurezza, ricopriva all'interno dell'azienda una precisa posizione di garanzia, hanno confermato che l'infortunio di cui è rimasto vittima lo S. doveva ricondursi alla negligenza dell'imputato che, violando gli obblighi che su di esso gravavano in ragione della richiamata qualifica, non aveva adeguatamente vigilato affinchè fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza, avendo in tal guisa quantomeno tollerato l'instaurarsi tra i lavoratori di una pericolosa prassi operativa che prevedeva rischiosi interventi sulla macchina in movimento. Prassi, che prevedeva l'elusione, in vario modo, del sistema di sicurezza, divenuta consolidata e protratta nel tempo poichè consentiva di agire in tempi più rapidi e funzionali alla produzione, oltre che più comodi per l'operatore."


"All'imputato, invero, si è fatto carico non dell'inadeguatezza della macchina sotto il profilo della sicurezza, nè dell'assenza di specifiche prescrizioni circa le modalità di utilizzo della stessa, bensì di non avere vigilato per assicurare il rispetto di quelle prescrizioni, se non di avere quantomeno tollerato una pericolosa prassi aziendale.
Nè è possibile dubitare, sotto il profilo causale, che l'infortunio sia stato determinato dalla violazione dei richiamati obblighi, essendo del tutto evidente che proprio il mancato rispetto degli stessi ha causato l'infortunio.
D'altra parte, hanno ancora giustamente osservato i giudici dell'impugnazione, il rapporto causale tra tale rischiosa prassi e l'infortunio patito dallo S. non può ritenersi interrotto dalla condotta, pur imprudente, del lavoratore. A tale proposito, del tutto infondata appare la tesi del ricorrente che attribuisce ad una condotta del tutto anomala del dipendente l'esclusiva responsabilità dell'incidente, laddove, in realtà, in vista della richiamata prassi lavorativa, tale condotta non può certo ritenersi quale fatto eccezionale e sopravvenuto, di per sè solo idoneo a cagionare l'evento."


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

sul ricorso proposto da:
1) P.V., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1139/2008 CORTE APPELLO di PERUGIA, del 01/12/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Spinaci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Benvenuto che si è riportato ai motivi di ricorso.

 


Fatto

 

 

1- Con sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, del 7 maggio 2008, P. V. è stato dichiarato colpevole - quale delegato all'espletamento delle funzioni inerenti le competenze in materia di sicurezza del lavoro nello stabilimento "A.M. s.p.a." - del delitto di lesioni personali colpose gravi commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del lavoratore dipendente S.S. che, utilizzando una pressa con i dispositivi di sicurezza disattivati, ha subito un trauma da schiacciamento delle mani, con amputazioni multiple ed indebolimento permanente dell'organo. Secondo l'accusa, condivisa dal giudice del merito, l'imputato, per colpa consistita in negligenza ed imprudenza e nella violazione dell'art. 2087 cod. civ., non avendo esercitato la vigilanza necessaria ad impedire l'uso anomalo della macchina alla quale era addetto lo S., ha provocato allo stesso le lesioni sopra descritte.


All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell'imputato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di due mesi di reclusione.

Nel ricostruire le modalità dell'incidente, il tribunale ha rilevato che l'infortunio si era verificato benchè la macchina fosse stata munita, proprio al fine di evitare infortuni, di barriere metalliche idonee a segregare la linea di lavorazione della pressa, che avrebbero potuto essere aperte solo con una chiave inserita nel quadro di comando. In particolare, il sistema prevedeva che, nel caso fosse stato necessario aprire le barriere, l'operatore avrebbe dovuto estrarre la predetta chiave ruotandola dalla posizione "automatico" a quella "manuale"; tale manovra poneva in sicurezza la macchina, arrestandola, mentre con la stessa chiave si poteva poi procedere all'apertura delle barriere. Di fatto, era invece accaduto, secondo il primo giudice, che la macchina, al momento dell'incidente, era in funzione benchè le protezioni fossero state aperte; ciò perchè era intervenuta una prassi in base alla quale gli operai, allo scopo di guadagnare tempo, allorchè la pressa si incagliava - ciò che accadeva spesso in occasione del cambio della sagoma o del tipo di lamiera da lavorare, invece di prendere la chiave dal quadro di comando, aprire le barriere, disincagliare la lamiera e riavviare la macchina, per potere intervenire tempestivamente, lasciavano aperta la cancellata, con la macchina in movimento, riuscendo, in tal guisa, a ridurre i tempi di intervento a scapito, tuttavia, della sicurezza.


Lo stesso giudice ha ritenuto di rinvenire profili di colpa a carico dell'imputato nell'avere egli quantomeno tollerato una prassi consolidata e pericolosa che prevedeva l'accesso alla linea di produzione, superando le protezioni, con la macchina in movimento.
L'infortunio, quindi era stato causato dalla condotta negligente ed imprudente dell'imputato e dalla violazione, da parte dello stesso, degli obblighi che gravavano su di lui in ragione del ruolo ricoperto all'interno dello stabilimento.

In specie dalla violazione del dovere di vigilanza, non essendo emerso che egli si fosse attivato per assicurarsi che le disposizioni impartite fossero realmente osservate, in tal guisa avendo consentito l'instaurarsi di una prassi lavorativa ad alto rischio.

 

2- Su appello proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Perugia, con sentenza del 1 dicembre 2009, ha confermato la decisione impugnata.
I giudici del gravame hanno, quindi, ribadito la sussistenza di precisi profili di colpa a carico del P. posto che egli, fosse stato o meno consapevole della prassi invalsa nel reparto, aveva comunque violato il dovere, derivante dalla qualifica ricoperta, di controllare che le attività lavorative si svolgessero in assoluta sicurezza e nel rispetto delle direttive impartite;
controlli in realtà mai svolti dall'imputato, secondo la corte territoriale, tanto che lo S. neanche lo conosceva. Se tali controlli avesse effettuato, hanno ancora sostenuto i giudici del gravame, l'imputato avrebbe preso coscienza di quella prassi ed avrebbe potuto intervenire adottando le più opportune misure.

 

3- Avverso tale sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, il P., che deduce:
a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della contraddittorietà e della manifesta illogicità, in punto di affermazione della responsabilità. Rileva il ricorrente che la macchina alla quale era addetto lo S. era certamente idonea sotto il profilo della sicurezza, essendo dotata di barriere, che impedivano all'operatore di accedere alla zona a rischio, la cui apertura avveniva solo attraverso un meccanismo che portava all'arresto dell'impianto. Appositi cartelli prevedevano, inoltre, l'espresso divieto di rimuovere le protezioni e di operare su organi in movimento. Divieto ben noto ai lavoratori, e dunque anche allo S., al quale dovrebbe attribuirsi l'esclusiva responsabilità dell'infortunio, avendo egli agito in violazione delle disposizioni impartite dall'azienda. L'imputato, d'altra parte, della prassi richiamata dai giudici del merito non aveva avuto alcuna consapevolezza, anche in considerazione delle dimensioni dell'azienda e dell'elevato numero dei dipendenti;
b) Violazione o erronea applicazione dell'art. 2087 cod. civ. Sostiene il ricorrente che attribuire all'imputato la responsabilità dell'infortunio sulla base della violazione del generico dovere di vigilanza, malgrado egli avesse adottato tutte le cautele imposte dalla normativa in materia, contrasterebbe con la corretta applicazione della predetta norma, alla luce delle emergenze probatorie dalle quali è emerso che l'imputato aveva adottato tutte le misure idonee a scongiurare il pericolo di infortuni; misure non osservate dal lavoratore;
c) Inosservanza o erronea applicazione dell'art. 590 cod. pen. in materia di accertamento del nesso di causalità, laddove il giudice del gravame non avrebbe considerato che, a dispetto di qualsiasi controllo, il lavoratore avrebbe potuto continuare ad affidarsi alla prassi e ad operare in spregio alle direttive ricevute e che, in realtà, la condotta dello S. si è posta quale fattore sopravvenuto idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento;
d) Inosservanza o erronea applicazione dell'art. 41 cpv. cod. pen., laddove il giudice del gravame non ha ritenuto l'anomala condotta dell'imputato quale causa sopravvenuta autonoma da sola sufficiente a determinare l'evento;
e) Inosservanza o erronea applicazione dell'art. 27 Cost., comma 1, laddove l'imputato è stato ritenuto responsabile dell'infortunio occorso allo S. sulla base di un'omessa attività di controllo e vigilanza che nella sostanza giunge ad attribuire tale responsabilità sulla base del mero rapporto di causalità materiale, in violazione della citata norma costituzionale.
Conclude, quindi, il ricorrente, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

 

4- Il ricorso è infondato.

 

In realtà, del tutto insussistenti sono i vizi denunciati dal ricorrente, peraltro generalmente ripetitivi di tematiche già sottoposte, con i motivi d'appello, all'esame della corte territoriale e da questa puntualmente esaminate e confutate.

Detta corte, invero, in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, ha legittimamente ribadito la responsabilità dell'imputato, adeguatamente e coerentemente motivando le ragioni del proprio dissenso rispetto alle doglianze prospettate nell'atto d'appello.

In particolare, con riguardo al tema della responsabilità, i giudici del gravame, rilevato che il P., nella qualità di responsabile per la sicurezza, ricopriva all'interno dell'azienda una precisa posizione di garanzia, hanno confermato che l'infortunio di cui è rimasto vittima lo S. doveva ricondursi alla negligenza dell'imputato che, violando gli obblighi che su di esso gravavano in ragione della richiamata qualifica, non aveva adeguatamente vigilato affinchè fossero realmente rispettate le procedure di sicurezza, avendo in tal guisa quantomeno tollerato l'instaurarsi tra i lavoratori di una pericolosa prassi operativa che prevedeva rischiosi interventi sulla macchina in movimento. Prassi, che prevedeva l'elusione, in vario modo, del sistema di sicurezza, divenuta consolidata e protratta nel tempo poichè consentiva di agire in tempi più rapidi e funzionali alla produzione, oltre che più comodi per l'operatore.
Nè dubbi hanno avuto i giudici del merito nell'individuazione di tali anomale modalità d'intervento. A tale proposito, invero, essi hanno richiamato le deposizioni rese dallo stesso S. e dal teste T., compagno di lavoro dell'operaio infortunato e, dopo averle complessivamente valutate, anche alla luce delle osservazioni proposte dall'imputato nei motivi d'appello, hanno ritenuto, con motivazione del tutto congrua e coerente sul piano logico, che l'esistenza della richiamata prassi fosse emersa in maniera del tutto pacifica, ad onta dei formali divieti. Non hanno, peraltro, omesso gli stessi giudici di valutare la credibilità dei testi escussi; valutazione positivamente risoltasi sul rilievo che nessuno di essi aveva interesse o ragioni particolari per evidenziare inesistenti negligenze nella gestione dello stabilimento; neanche l'operaio infortunato, che era stato interamente risarcito dei danni subiti, tanto da avere revocato la costituzione di parte civile già in avvio del dibattimento di primo grado, prima ancora che avesse inizio l'istruttoria dibattimentale e che si procedesse all'esame dei testi.
Legittimamente, dunque, ed in piena coerenza rispetto alle emergenze probatorie in atti, la corte territoriale ha ribadito la responsabilità dell'imputato, avendo ritenuto la sussistenza dei profili di colpa individuati a carico dello stesso, rappresentati dalla violazione dei suoi doveri di vigilanza e di controllo del reale e costante rispetto, da parte dei lavoratori, delle norme di sicurezza, nonchè di intervento per impedire il formarsi ed il consolidarsi di sistemi lavorativi che mettevano a repentaglio l'incolumità degli operai. Doveri la cui violazione non potrebbe essere giustificata dalle dimensioni dell'azienda nè dal numero dei lavoratori impiegati posto che, attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme.
Peraltro, a fronte delle precise e coerenti argomentazioni poste dalla corte territoriale a sostegno della propria decisione, il ricorso ripropone censure e doglianze che, oltre ad essere infondate, si presentano talvolta del tutto aspecifiche rispetto a quelle argomentazioni.
Così, nulla rileva, ai fini della tesi difensiva, il sostenere che il macchinario sul quale l'operaio infortunato lavorava era adeguato sotto il profilo della sicurezza, così come non rileva il richiamare la presenza nello stabilimento di numerosi cartelli che vietavano ai lavoratori interventi su organi in movimento. All'imputato, invero, si è fatto carico non dell'inadeguatezza della macchina sotto il profilo della sicurezza, nè dell'assenza di specifiche prescrizioni circa le modalità di utilizzo della stessa, bensì di non avere vigilato per assicurare il rispetto di quelle prescrizioni, se non di avere quantomeno tollerato una pericolosa prassi aziendale.
Nè è possibile dubitare, sotto il profilo causale, che l'infortunio sia stato determinato dalla violazione dei richiamati obblighi, essendo del tutto evidente che proprio il mancato rispetto degli stessi ha causato l'infortunio.
D'altra parte, hanno ancora giustamente osservato i giudici dell'impugnazione, il rapporto causale tra tale rischiosa prassi e l'infortunio patito dallo S. non può ritenersi interrotto dalla condotta, pur imprudente, del lavoratore. A tale proposito, del tutto infondata appare la tesi del ricorrente che attribuisce ad una condotta del tutto anomala del dipendente l'esclusiva responsabilità dell'incidente, laddove, in realtà, in vista della richiamata prassi lavorativa, tale condotta non può certo ritenersi quale fatto eccezionale e sopravvenuto, di per sè solo idoneo a cagionare l'evento.
Ciò alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, ovvero il suo preposto, è esonerato da responsabilità solo allorchè il comportamento del lavoratore si presenti del tutto abnorme, dovendosi in tal guisa definirsi quello che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate ovvero, seppure in esso rientrante, sia consistito in qualcosa radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzabili scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro;
ipotesi che, per le ragioni sopra esposte, deve ritenersi del tutto estranea al caso di specie.
Ugualmente ingiustificati sono i richiami del ricorrente all'art. 27 Cost., comma 1, laddove si consideri che la responsabilità del P. non è stata certo affermata a titolo di responsabilità oggettiva, essendo stata la stessa ricondotta ad un suo comportamento negligente ed omissivo.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 


P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2011