Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 marzo 2011, n. 12458 - Caduta dall'alto e misure di sicurezza: responsabilità


 

Responsabilità di un datore di lavoro, di un preposto e di un coordinatore per la sicurezza per l'infortunio di un lavoratore: quest'ultimo, mentre era intento all'allestimento del ponteggio in un cantiere edile, cadeva da un altezza di circa 10 metri poichè il pannello su cui si trovava era agganciato da una parte sola del ponteggio e dunque era instabile tanto da fargli perdere l'equilibrio e precipitare nel vuoto; si accertava inoltre che il ponteggio in quel punto era privo di parapetto e che agli operai non era stata neppure fornita la cintura di sicurezza.

Ricorrono tutti in Cassazione - I ricorsi, afferma la Corte, devono essere dichiarati inammissibili per la manifesta infondatezza dei motivi dedotti, essendo stata la responsabilità dei prevenuti correttamente apprezzata.

Risulta incontestabilmente accertato che "l'infortunio si è svolto nel mentre il lavoratore L. , da pochi giorni assunto, stava lavorando su un ponteggio privo di parapetto, senza essere assicurato con l'apposta cintura di sicurezza. Tanto premesso sui fatti di causa, deve altresì rilevarsi che la responsabilità degli imputati è fondata su corretti e pacifici principi giudici collegati alle rispettive posizioni di garanzia degli imputati, di datore di lavoro, preposto e coordinatore per la sicurezza, anche esse puntualmente messe in evidenza dal giudice di appello, posizioni che fanno carico a ciascuno di essi di predisporre gli opportuni presidi (e dunque ponteggi a norma e pertanto dotati di parapetto) e di fornire al lavoratore i necessari strumenti (nella specie cinture di sicurezza per lavorare a 10 mt. da terra), senza che l'inosservanza da parte di ciascuno ai propri obblighi possa comportare il venire meno della concorrente responsabilita' degli altri."


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

1) C. A. N. IL (OMESSO);

2) G. L. N. IL (OMESSO);

3) D. C. M. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 141/2007 CORTE APPELLO di CAMPOBASSO, del 18/03/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BIANCHI Luisa;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per la inammissibilita' del ricorso;

Udito il difensore Avv. Piunno Angelo del Foro di Campobasso.

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Campobasso, per quanto qui rileva, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città con cui G. L., D. C. M. e C. A. sono stati ritenuti responsabili di lesioni colpose in danno del lavoratore L. F., in relazione all'infortunio avvenuto il (Omissis); mentre era intento all'allestimento del ponteggio in un cantiere edile di Campobasso, alle dipendenze del G. L., il L., cadeva da un altezza di circa 10 metri poichè il pannello su cui si trovava era agganciato da una parte sola del ponteggio e dunque era instabile tanto da fargli perdere l'equilibrio e precipitare nel vuoto da circa 10 metri di altezza; si accertava che il ponteggio in quel punto era privo di parapetto e che agli operai non era stata neppure fornita la cintura di sicurezza e si riteneva che dell'incidente fossero responsabili i tre imputati, G. L. nella qualità di datore di lavoro, D. C. M. in quanto preposto e C. A. coordinatore per la sicurezza.

 

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore degli imputati.

Deduce violazione e falsa applicazione di legge in ordine all'accertamento del nesso di causalità; in particolare sostiene, con riferimento alla posizione di G. L., che tutti i testi avevano riferito che il cantiere era fornito di sistemi di sicurezza a disposizione degli operai tra cui anche le cinture di sicurezza; che inoltre il G. aveva fatto redigere un piano per la sicurezza con contestuale nomina del responsabile ad hoc, ed aveva investito un preposto, cosi' assolvendo a tutti gli obblighi previsti dalla normativa antinfortunistica.

Quanto a C. A., responsabile per la sicurezza, era stato accertato che si recava periodicamente presso il cantiere per verificare se veniva rispettato il piano di lavoro da lui stesso elaborato, essendo evidentemente assurdo e illogico ipotizzare che potesse essere sempre presente a fianco di ogni operaio.

Quanto ancora a D. C. M. , solo trovatosi sul posto dell'incidente nel momento in cui è avvenuto il fatto, avrebbe potuto evitarlo, dato che il lavoratore infortunato stava svolgendo un lavoro all'interno per il quale non era necessaria la cintura di sicurezza, e solo a seguito di una sua autonoma ed estemporanea decisione si sporgeva per superare una impalcatura in costruzione e cadeva al suolo; si è trattato di un comportamento del tutto autonomo del lavoratore ed imprevedibile che avrebbe dovuto portare all'assoluzione degli imputati come già avvenuto per G.V..

Con un secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 192 c.p.p. perchè i giudici di merito hanno posto a fondamento della decisione la testimonianza della persona offesa, ignorando quanto invece riferito da tale A., compagno di lavoro dell'infortunato, nonostante si trattasse di un teste indipendente.

3. Nell'interesse della parte civile è stata presentata una memoria con la quale si rileva l'inammissibilità del ricorso.

 

Diritto

 

1. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per la manifesta infondatezza dei motivi dedotti, essendo stata la responsabilità dei prevenuti correttamente apprezzata.

 

2. Occorre in primo luogo ricordare che nell'attuale codice di procedura penale la valutazione delle risultanze processuali è rimessa unicamente al giudice di merito e che, per espresso dettato normativo, è consentito alla Corte di Cassazione effettuare il controllo sulla motivazione del provvedimento impugnato solo nei limiti di quanto risulta dal testo medesimo, sempre che la motivazione risulti mancante o manifestamente illogica; è esclusa invece ogni possibilità di censurare il contenuto di tale decisione.

E' infatti pacifico che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se essi abbiano dato adeguatamente conto, attraverso l'iter logico-argomentativo seguito, delle ragioni che li hanno indotti ad emettere la decisione (S.U. 29.1.96, n. 22 Clarke); altrettanto autorevolmente essendosi altresì affermato (S.U. 2.7.97, n. 6402 Dessimone rv. 207944) che "L'indagine di legittimita' sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali".

 

Da tali principi deriva l'inammissibilità delle censure dedotte nella misura in cui le stesse sono rivolte a contestare il merito della impugnata sentenza sostenendosi in particolare che vi è stato un comportamento dell'infortunato assolutamente abnorme e imprevedibile sotto il profilo che quel giorno egli non avrebbe dovuto lavorare sul ponteggio, in quanto era stato ordinato di lavorare all'interno dell'edificio in costruzione. Ciò contrasta con l'accertamento in fatto effettuato dalla Corte di appello che ha escluso l'esistenza di una tale tassativa disposizione ed ha rilevato come fosse assolutamente credibile la persona offesa che aveva riferito, con dichiarazioni inizialmente confermate anche dal collega A. (sulla cui indipendenza di giudizio la Corte di appello solleva dubbi in relazione alla perduranza del rapporto di lavoro), che dovevano proprio lavorare in quel punto del ponteggio, per completarlo.

 

Risulta dunque incontestabilmente accertato che l'infortunio si è svolto nel mentre il lavoratore L. , da pochi giorni assunto, stava lavorando su un ponteggio privo di parapetto, senza essere assicurato con l'apposta cintura di sicurezza. Tanto premesso sui fatti di causa, deve altresì rilevarsi che la responsabilità degli imputati è fondata su corretti e pacifici principi giudici collegati alle rispettive posizioni di garanzia degli imputati, di datore di lavoro, preposto e coordinatore per la sicurezza, anche esse puntualmente messe in evidenza dal giudice di appello, posizioni che fanno carico a ciascuno di essi di predisporre gli opportuni presidi (e dunque ponteggi a norma e pertanto dotati di parapetto) e di fornire al lavoratore i necessari strumenti (nella specie cinture di sicurezza per lavorare a 10 mt. da terra), senza che l'inosservanza da parte di ciascuno ai propri obblighi possa comportare il venire meno della concorrente responsabilita' degli altri.

 

2. Il ricorso è dunque inammissibile, limitandosi a sollevare questioni che trovano già risposta nella sentenza impugnata. Dalla dichiarazione di inammissibilità deriva l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, in considerazione dei motivi dedotti, stimasi equo fissare, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 186 del 2000, in euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonche' al versamento di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.