Cassazione Penale, Sez. 4, 11 aprile 2011, n. 14527 - Autogrù e Responsabilità del direttore di cantiere


 

Responsabilità del direttore del cantiere nonchè responsabile della sicurezza della ditta C. perchè, consentendo che l'autogrù mod. PH 45, venisse utilizzata in modo non rispondente alle sue caratteristiche, nonchè non adottando le necessarie misure per assicurare la stabilità del mezzo e del suo carico, cagionava la morte di S. A. che, nell'espletamento della sua attività lavorativa presso il cantiere della ditta C. (ove erano in corso lavori di proseguimento della strada a scorrimento veloce), rimaneva travolto dal ribaltamento del predetto mezzo dovuto al fatto che, per le cause sopradette, andava fuori portata, determinando altresì a F. A. lesioni personali dalle quali derivava una malattia della durata superiore a 40 giorni.

Ricorso in Cassazione - Respinto.

Afferma la Corte che "vanno premessi principi affermati da questa Corte assolutamente pacifici e da questo collegio condivisi, in punto di area di operatività della normativa antinfortunistica: principi in base ai quali, da un lato, la posizione di garante della sicurezza, che l'ordinamento addossa all'imprenditore, non è operativa nei soli confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 3, comma 2), ma si estende alle persone estranee all'ambito imprenditoriale che possano, comunque, venire a contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità (confl. Cass. pen., sez. 4A, 4 febbraio 2004, n. 31303); dall'altro, l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che possono derivare da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario del presidio, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale viene attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confl. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).

Nel caso in esame, come ben messo in evidenza dalla sentenza impugnata, il ruolo del M., gli avrebbe imposto di verificare il corretto utilizzo del mezzo trasportatore della pesante trave da utilizzare nel cantiere di cui era responsabile quale rappresentante del datore di lavoro. Il ricorrente, fra l'altro, confonde la posizione di direttore del cantiere e quella di direttore tecnico, sostenendo di rivestire la seconda qualifica che, ai sensi della Legge n. 55 del 1990, articolo 18, comma 8, gli conferirebbe il potere e la relativa responsabilità della sola osservanza del piano di sicurezza del cantiere stesso, e non anche dei piani di sicurezza delle singole imprese operanti nel cantiere stesso. Viceversa, come ben posto in luce con la sentenza impugnata, il M. risponde del reato ascrittogli quale direttore del cantiere, e non direttore tecnico, per cui a nulla rileva la suddetta norma richiamata dal ricorrente, che si riferisce, appunto alla figura del direttore tecnico. La qualifica di direttore del cantiere deriva da quella di rappresentante del datore di lavoro che non è contestabile essendo l'imputato la figura di maggior livello della ditta appaltante. Conseguentemente infondato è pure l'assunto, compreso, in particolare, nel primo motivo di ricorso, secondo cui la responsabilità sarebbe da individuare nel direttore tecnico del cantiere dell'impresa affidataria R., per il medesimo motivo per cui la figura del direttore tecnico è estranea all'imputazione ed alla relativa affermazione di responsabilità."


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) M. L. M. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 109/2009 CORTE APPELLO di Cagliari SEZ. DIST. di SASSARI, del 23/03/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito il P.G. in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) Pierguido del foro di Bologna che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;

udito per le parti civili l'avv. Lucentini Marco del foro di Roma che si è associato alla richiesta del P.G..

 

Fatto

 



Con sentenza del 23 marzo 2010 la Corte d'Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, per quanto rileva in questa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M. L. M. in ordine al reato ascrittogli per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.

Il M. era imputato del reato di cui all'articolo 589 c.p., u.c. in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articoli 168 e 169 perchè, per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, ed in particolare nella sua qualità di Direttore del Cantiere e responsabile della sicurezza ex lege n. 55 del 1990 della ditta C., consentendo che l'autogrù mod. PH 45, targata (Omissis) di proprietà della ditta F. R. di. P. R. s.a.s. venisse utilizzata in modo non rispondente alle sue caratteristiche (e in particolare per sollevare una trave del peso di 77,5 tonnellate avendo il braccio di estensione di circa m. 11 con un'inclinazione rispetto all'orizzontale di 41 ed un corrispondente raggio di azione di m. 6,20 ed avendo quindi in realtà, in quelle condizioni, la portata utile di sole 20 tonnellate), nonchè non adottando le necessarie misure per assicurare la stabilità del mezzo e del suo carico (e in particolare utilizzandolo con gli stabilizzatori sul lato sinistro solo parzialmente estesi), cagionava la morte di S. A. che, nell'espletamento della sua attività lavorativa presso il cantiere della ditta C. sito in località (Omissis) (ove erano in corso lavori di proseguimento della strada a scorrimento veloce (Omissis)), rimaneva travolto dal ribaltamento del predetto mezzo dovuto al fatto che, per le cause sopradette, andava fuori portata, determinando altresì a F. A. lesioni personali dalle quali derivava una malattia della durata superiore a 40 giorni; fatto avvenuto nel Comune di (Omissis).

In presenza della parte civile costituita la Corte territoriale ha motivato comunque la responsabilità del M. in ordine al reato ascrittogli considerando la sua qualità di direttore del cantiere rappresentante del datore di lavoro, e responsabile della sicurezza del lavoro, con conseguente compito del continuo controllo del rispetto della normativa antinfortunistica di tutti coloro che operano nel cantiere ivi compresi i dipendenti delle ditte subappaltatrici. Nel caso in esame, il M. era assente alle operazioni di scarico della trave nel corso delle quali è avvenuto l'incidente in questione, ponendo in tal modo in essere una condotta negligente che si pone in diretto rapporto di causalità con l'evento in quanto, se presente, l'imputato avrebbe potuto verificare lo stato della gru e l'irregolare utilizzo della stessa che ha portato a sopportare un carico superiore a quello della portata consentita, come accertato dalla CTU espletata.



Il M. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza lamentando, con il primo motivo, difetto di motivazione in ordine alla sua affermata posizione di garanzia per la tutela delle condizioni di lavoro, in quanto detta posizione, in relazione all'operazione che ha causato l'incidente, avrebbe dovuto cercarsi nell'ambito della ditta R. appaltatrice del servizio di trasporto delle travi.

Con il secondo motivo si lamenta omessa motivazione in ordine alla nullità della sentenza per mancanza di correlazione fra imputazione contestata e sentenza. In particolare si rileva che la Corte territoriale avrebbe omesso di rispondere al motivo di appello relativo al profilo di condotta omissiva non compresa affatto nell'imputazione.

Con il terzo motivo si deduce erronea applicazione di norme in ordine alla qualifica prevenzionistica e alla posizione di garanzia dell'imputato. In particolare si assume che la figura del M. sarebbe limitata a quella di Direttore Tecnico di cantiere Legge n. 55 del 1990, ex articolo 18, comma 8 e, come tale, egli avrebbe dovuto limitarsi a coordinare le imprese operanti nel cantiere e la sua responsabilità sarebbe limitata al solo rispetto del piano da parte delle imprese impegnate nell'esecuzione dei lavori.

Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge in ordine alla valutazione del nesso causale. In particolare si deduce che, dalle risultanze istruttorie, sarebbe emerso che, sebbene il carico della gru fosse indubbiamente superiore alla sua portata, il ribaltamento sarebbe comunque avvenuto ugualmente stante il sovraccarico degli stabilizzatori malfunzionanti, da distinguere dal sovraccarico della gru.

Con il quinto motivo si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nel punto in cui definisce l'imputato quale rappresentante del datore di lavoro, mentre l'incidente è avvenuto nell'ambito dell'organizzazione di lavoro della vittima dell'infortunio, per cui la Corte d'Appello avrebbe equivocato fra la figura del Direttore tecnico di cantiere interessato all'attività della vittima, e la figura del Direttore tecnico esterno prevista dall'articolo 18 citato, e che sarebbe tenuto al solo coordinamento dell'attività delle imprese operanti nel cantiere.

Con il sesto motivo si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'affermazione per cui l'imputato non era neppure presente in cantiere al momento dell'incidente, quando la eventuale negligenza, nei reati contravvenzionali omissivi, deve essere valutata con la verifica dell'adempimento del dovere di attivazione imposto dalla legge, e non con la verifica della materiale presenza sul posto.

Con il settimo motivo si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova in merito alla effettiva causa dell'incidente dovuto, in realtà, all'inefficienza strutturale e manutentiva che ha portato alla rottura del giunto a snodo dello stabilizzatore, vera causa dell'incidente, ed indipendente dal carico eccessivo della gru.

Con l'ottavo motivo si lamenta la nullità della sentenza per mancanza di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza. In particolare la qualità dell'imputato e la sua affermata posizione di garanzia, non sarebbero comprese nell'imputazione, per cui l'imputato stesso non avrebbe avuto modo di difendersi su tale punto ritenuto decisivo ai fini dell'affermazione della sua responsabilità.

Diritto

 


Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.



Il primo, terzo e quinto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente riferendosi tutti alla posizione di garanzia rivestita dall'imputato.

Vanno premessi principi affermati da questa Corte assolutamente pacifici e da questo collegio condivisi, in punto di area di operatività della normativa antinfortunistica: principi in base ai quali, da un lato, la posizione di garante della sicurezza, che l'ordinamento addossa all'imprenditore, non è operativa nei soli confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati (Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 3, comma 2), ma si estende alle persone estranee all'ambito imprenditoriale che possano, comunque, venire a contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità (confl. Cass. pen., sez. 4A, 4 febbraio 2004, n. 31303); dall'altro, l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che possono derivare da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario del presidio, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale viene attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (confl. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.). Nel caso in esame, come ben messo in evidenza dalla sentenza impugnata, il ruolo del M., gli avrebbe imposto di verificare il corretto utilizzo del mezzo trasportatore della pesante trave da utilizzare nel cantiere di cui era responsabile quale rappresentante del datore di lavoro. Il ricorrente, fra l'altro, confonde la posizione di direttore del cantiere e quella di direttore tecnico, sostenendo di rivestire la seconda qualifica che, ai sensi della Legge n. 55 del 1990, articolo 18, comma 8, gli conferirebbe il potere e la relativa responsabilità della sola osservanza del piano di sicurezza del cantiere stesso, e non anche dei piani di sicurezza delle singole imprese operanti nel cantiere stesso. Viceversa, come ben posto in luce con la sentenza impugnata, il M. risponde del reato ascrittogli quale direttore del cantiere, e non direttore tecnico, per cui a nulla rileva la suddetta norma richiamata dal ricorrente, che si riferisce, appunto alla figura del direttore tecnico. La qualifica di direttore del cantiere deriva da quella di rappresentante del datore di lavoro che non è contestabile essendo l'imputato la figura di maggior livello della ditta appaltante. Conseguentemente infondato è pure l'assunto, compreso, in particolare, nel primo motivo di ricorso, secondo cui la responsabilità sarebbe da individuare nel direttore tecnico del cantiere dell'impresa affidataria Ru. , per il medesimo motivo per cui la figura del direttore tecnico è estranea all'imputazione ed alla relativa affermazione di responsabilità.

Nessuna confusione, d'altra parte, può essere operata fra la posizione dell'imputato e quella del responsabile della ditta R. affidataria, in quanto, per il principio più sopra affermata, la responsabilità del rappresentante della ditta appaltante si estende alle persone estranee all'ambito imprenditoriale che possano, comunque, venire a contatto o trovarsi ad operare nel campo di loro funzionalità. Mentre il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicchè non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore (Cass. 20 novembre 2009 n. 1490), ma, nel caso in questione, non potrebbe neppure ipotizzarsi la totale autonomia del lavoro di trasporto e scarico di pesanti travi nel lavoro di costruzione di un viadotto autostradale.


Il secondo e l'ottavo motivo di ricorso si riferiscono entrambi all'asserito difetto di correlazione fra imputazione e sentenza. La giurisprudenza di questa Corte afferma costantemente che, in tema di reati colposi, può ritenersi violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza solo quando la causazione dell'evento venga contestata in riferimento ad una singola specifica ipotesi colposa e la responsabilità venga invece affermata in riferimento ad un'ipotesi differente. Se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (e cioè si faccia riferimento alla colpa generica), la violazione suddetta non sussiste. è consentito, infatti, al giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa, a tutela del quale la normativa è dettata (Cass. 19 giugno 2007 n. 35666). Nel caso in esame all'imputato è stata addebitata la colpa per l'incidente e la conseguente morte di un lavoratore, e l'imputato ha avuto modo di difendersi su tutti gli elementi relativi a tale incidente; a tal fine è irrilevante la citazione di un precedente giurisprudenziale citato nella motivazione della sentenza, al fine di determinare la corrispondenza in questione. Mentre il Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articoli 168 e 169 che disciplinano i mezzi ed apparecchi di sollevamento e di trasporto, e la stabilità del mezzo e del carico sono quelli che concretamente rilevano ai fini della fattispecie in esame, e sono correttamente riferiti all'imputato in funzione della posizione di garanzia da lui rivestita e di cui si è detto.

Il quarto ed il settimo motivo fanno riferimento alla causazione dell'evento. Le relative censure non sono consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, nonchè l'apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da censure logiche, perchè basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.

Come è noto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997).

Più specificamente "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone).

Il riferimento dell'articolo 606 c.p.p., lettera e) alla "mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato" significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla valutazione del testo impugnato.



D'altronde, la Corte di merito richiama le risultanze istruttorie in modo sufficientemente compiuto e logico richiamando, in particolare, le risultanze della espletata consulenza tecnica d'ufficio. In questa sede può solo ricordarsi che, anche a voler individuare in un motivo diverso dal carico fuori portata la causa dell'evento, il peso di gran lunga eccessivo è stato comunque concausa dell'evento stesso, e su tale evenienza, per quanto sopra detto, l'imputato avrebbe avuto l'obbligo di vigilare, essendo tale carico eccessivo strettamente legato alle esigenze della ditta appaltatrice di cui il Ma. era rappresentante.

Per quanto riguarda il sesto motivo relativo alla contestata assenza del M. dal cantiere, va considerato che l'imputato, come detto, era Capo cantiere e, in quanto tale era obbligato ad essere presente durante i lavori che si svolgevano nel cantiere stesso. Le considerazioni svolte dal ricorrente relative all'impossibilità concreta della continua presenza "giuridicamente rilevante", ed alla presenza virtuale, si riferisce evidentemente a figure apicali di ditte con vari cantieri operanti contemporaneamente, e non al capo cantiere, figura specifica dell'attuale ricorrente, e che è responsabile del singolo cantiere a cui è preposto.


Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ed alla rifusione delle spese di giudizio in favore della costituita parte civile liquidate in dispositivo.



P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi euro 2.800,00 oltre accessori come per legge.