Corte di Appello di Trento, Sez. Pen., 18 marzo 2011 - Lavori di intonacatura e caduta dall'alto





 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI TRENTO

SEZIONE PENALE




composta dai signori magistrati:

Dott. CARMINE PAGLIUCA - PRESIDENTE

Dott. MARIANO ALVIGGI - CONSIGLIERE

Dott. MICHELE MARIA BENINI - CONSIGLIERE

ha pronunciato in Camera di Consiglio la seguente

SENTENZA

 



nei confronti di

E.R. nt. ***



Non sofferta carcerazione preventiva



LIBERO - NON COMPARSO



IMPUTATO

Per i reati di cui all'art. 590 c.p. e 2087 c.c., perché nella sua qualità di Socio legale Rappresentante e Direttore Tecnico della D. di E.V. e C. S.n.c., con sede in ***, con negligenza, imprudenza ed imperizia, colposamente cagionava al proprio dipendente V.F., una lesione personale consistente in "trauma cranico commotivo con frattura sottodurale acuto - frattura I costa dx" le quali avevano postumi permanenti al 100% con "deterioramento mentale grave - monoparesi arto superiore sx con compromissione dei movimenti fini - anacusia dx". Commettendo il fatto violando anche le norme di sicurezza di cui agli artt. 8 co. 9 D.P.R. 547/55, 16 D.P.R. 164/56, 4 co. 5 lett. f) e 35 co. 1 e 2 D.Lgs. 626/94, in quanto mentre il lavoratore si trovava intento nel lavoro di intonacatura in quota di pareti, con l'ausilio di un ponteggio, presso il cantiere edile di ***, precipitava a terra procurandosi le gravissime lesioni summenzionate. Il lavoro consisteva nell'intonacatura della parte superiore di una parete anche in corrispondenza di un'apertura di una porta con pericolo di caduta verso l'interno. Il lavoro, svolto ad un'altezza superiore ai 2 metri, veniva eseguito dal lavoratore infortunato con l'ausilio di un ponteggio inadeguato ai fini della sicurezza in quanto privo di parapetto su tutti i quattro i lati, un adeguato piano di calpestio e tavola fermapiede che avrebbero protetto il lavoratore dal pericolo di caduta dall'alto. Lavoratore che al momento della caduta risultava privo del casco protettivo e che andava a sbattere con il proprio capo su di un laterizio presente sul pavimento.



Colposamente l'imputato

- non adottava, nei lavori eseguiti ad un'altezza superiore ai 2 metri, seguendo lo sviluppo dei lavori stessi, adeguate impalcature o ponteggi od idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone dall'alto. In particolare al momento dell'evento infortunistico il lavoro veniva effettuato ad un'altezza superiore ai 2 metri su di un ponteggio privo di parapetti e tavola fermapiede, anche verso l'interno, considerando che le operazioni erano svolte in vicinanza all'apertura di una porta con pericolo di caduta anche verso l'interno;

- non provvedeva a sgomberare il pavimento degli ambienti di lavoro che presentavano pericoli per i lavoratori. In particolare al momento dell'evento infortunistico il pavimento del cantiere, nelle vicinanze del ponteggio interno e del luogo dell'evento, non era stato idoneamente sgomberato da materiali che potevano mettere a rischio la sicurezza dei lavoratori quali tra l'altro un laterizio, ove il lavoratore, nella caduta del ponteggio, probabilmente sbatteva il capo;

- ometteva di verificare l'osservanza, da parte del lavoratore, delle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro e di uso dei D.P.I. In particolare al momento dell'infortunio il lavoratore, durante i lavori eseguiti in quota, non indossava il casco di protezione;

- ometteva di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero adatte a tali scopi e idonee ai fini della sicurezza, non attuando inoltre misure tecnico organizzative per impedire che dette attrezzature fossero utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non erano adatte, qual era il ponteggio risultato inidoneo ai fini della sicurezza.



APPELLANTE



L'imputato avverso la sentenza del Tribunale di Trento sezione distaccata di Cles in composizione monocratica n. 74/09 del 07/12/2009 che 1) dichiarava l'imputato colpevole del reato ascritto e riconosciuta l'attenuante del risarcito danno equivalente alle contestate aggravanti, lo condannava alla pena di mesi 1 gg. 10 di reclusione e, sostituita la pena detentiva in pecuniaria, lo condannava complessivamente alla pena di Euro 1.520 di multa 2) spese e tasse a carico;



Udita la relazione della causa fatta in Camera di Consiglio dal Consigliere Dott. Mariano Alviggi



Sentito il Procuratore Generale dr. Stefano Diez che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.



Sentito il difensore di fiducia avv. P.R., di Trento anche in sostituzione del codifensore avv. B.A. di Trento che chiede l'accoglimento dei motivi d'appello.



 

Fatto

 



E.R., socio legale rappresentante e direttore tecnico della "D. di E.V. e C. S.n.c.", è stato giudicato colpevole dal Tribunale di Trento, Sezione Distaccata di Cles, con sentenza 7.12.2009, di aver provocato per colpa lesioni personali gravissime (con postumi permanenti al 100%) al lavoratore dipendente V.F. in occasione di un incidente occorso il 27.6.2006 all'interno di un cantiere edile sito in ***, e conseguentemente condannato, con l'attenuante del risarcimento del danno stimata prevalente sulle contestate aggravanti, alla pena di mesi 1 e giorni 10 di reclusione, sostituita con Euro 1.520,00 di multa.



Pacifica la ricostruzione della dinamica dell'incidente operata dal primo giudice sulla scorta delle risultanze in atti, essendo invero da queste emerso che nella data di cui innanzi il V., mentre era impegnato nell'effettuazione, ad oltre due metri dal terreno, dei lavori di intonacatura di un tramezzo interno stando su di un ponteggio privo su tutti e 4 i lati del parapetto, per un motivo non meglio individuato precipitava al suolo sbattendo il capo probabilmente contro un laterizio rinvenuto in loco, così riportando le lesioni in rubrica meglio descritte.



Altrettanto pacifica, a detta sempre del primo giudice e sulla base appunto delle risultanze processuali, la sussistenza degli addebiti mossi all'E. nel capo d'imputazione, e precipuamente inerenti la violazione fra gli altri dell'obbligo di cui all'art. 16 D.P.R. n. 164/56, evidenti essendo invero:

a) la mancata adozione delle particolari misure antinfortunistiche previste in caso di lavori del genere di quello in esame, il mancato sgombero del pavimento del cantiere da materiali idonei a mettere a rischio la sicurezza dei lavoratori, la mancata messa a disposizione di questi ultimi delle attrezzature adeguate al lavoro da svolgere, il mancato controllo altresì in ordine all'utilizzo da parte degli anzidetti lavoratori delle misure di protezione individuali (v. quel casco protettivo nell'occasione non rinvenuto e non a disposizione della parte offesa);

b) il nesso di causalità fra le condotte contestate e l'infortunio, che sicuramente non si sarebbe verificato in presenza di un ponteggio adeguato;

c) la riferibilità infine all'imputato delle condotte omissive di cui innanzi, quale datore di lavoro del V. e quindi onerato di una posizione di controllo con riguardo alla sicurezza sul lavoro.



Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputato, in via esclusiva chiedendone l'assoluzione con formula ampia sotto i profili:

- dell'insussistenza della violazione dell'art. 16 D.P.R. 164/56 posto che, in virtù di una più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione diversa ed opposta rispetto a quella richiamata in sentenza dal primo giudice, tale norma opera nella sola ipotesi in cui la caduta si verifichi da un'altezza di almeno 2 metri, laddove nel caso di specie il piano di calpestio si trovava a metri 1,91 da terra;

- della mancanza di prova in ordine all'essere avvenuto l'impatto contro il laterizio menzionato in sentenza;

- dell'avvenuta verifica in realtà da parte dei Carabinieri e dell'Ispettorato del lavoro dell'esistenza di tutti i necessari D.P.I.;

- della pacifica esperienza professionale del Vi., con conseguente non necessità dunque di controlli in ordine all'impiego da parte sua dei d.p.i. messigli a disposizione;

- dell'esistenza infine di quel responsabile della sicurezza ing. B. che liberava l'imputato da ogni responsabilità in ordine all'accaduto.



 

Diritto

 



La pretesa assolutoria dell'imputato è infondata e va respinta, per le ragioni che seguono (esposte seguendo lo stesso schema argomentativo di cui all'atto d'appello).



Sul ponteggio.

La mancata ottemperanza al precetto di cui all'art. 16 D.P.R. 164/56 è stata correttamente affermata dal primo giudice, e merita quindi di essere qui ribadita, in linea con consolidata giurisprudenza di legittimità in ordine alla circostanza che deve essere inteso detto precetto (ed in particolare il suo riferimento a lavori da eseguirsi ad altezza superiore a 2 metri dal suolo) avendosi riguardo all'altezza alla quale il lavoro viene eseguito (v. nel caso di specie m. 3,80) e non già invece, come si sostiene da parte dell'appellante, a quella minore in cui si trova il lavoratore (v. sempre nel caso di specie m. 1,91, corrispondente al piano di calpestio del ponteggio in questione).

Né vale poi a giustificare diverse conclusioni il richiamo difensivo a quella più recente pronuncia 9.10.2008, n. 47374, della Suprema Corte che, lungi dall'aver espressamente affermato un principio diverso ed opposto rispetto appunto a quello che precede (come nell'atto d'appello prospettato), solo si è in realtà limitata a rimarcare l'irrilevanza, rispetto alla decisione della specifica vicenda sottoposta all'attenzione della Corte stessa, della problematica a tal riguardo sollevata dalla difesa dell'imputato di essa protagonista (e qui altresì ripresa dalla difesa dell'E.) per la semplice ragione che, essendosi sicuramente verificata in quel caso la caduta della parte offesa da un'altezza di almeno due metri, era comunque pacifica l'operatività del D.P.R. del 1956.

Ditalchè il profilo di colpa in esame quale già affermato dal Tribunale va pertanto, in definitiva, qui ribadito.



Sul laterizio rinvenuto a terra.

Solo si limita ad assumere la difesa a tal proposito che il laterizio de quo non avrebbe in realtà "svolto alcun rapporto causale nel determinismo dell'evento", non essendovi prova alcuna infatti "che il V. sia caduto battendo il capo sul laterizio" stesso.

Tale tesi è peraltro all'evidenza smentita dalle stesse risultanze a disposizione di questo giudice, avendo infatti il lavoratore K.J., unico testimone oculare delle modalità di accadimento dell'evento lesivo, in data 27.6.2006 dichiarato ai CC. di ***, in sede di s.i.t. (v. il relativo verbale in atti), che "il medesimo (ovvero il V. aveva sbattuto la testa su un mattone ivi presente, quale evidentemente poi da qualcuno spostato e "trattato" successivamente all'evento sì da venir invero rinvenuto dai CC. in un punto "non prossimo al corpo della p.o. e privo di tracce ematiche"(v. sent). Le valutazioni e conclusioni del primo giudice vanno quindi confermate.



Sull'uso di D.P.I.

Se è vero quanto deduce la difesa a proposito del fatto che il casco protettivo era stato in realtà messo a disposizione del Vi., è altresì innegabile tuttavia che questi in concreto non lo adoperava al momento del sinistro, ditalchè risulta del tutto giustificato a questo punto l'addebito mosso all'imputato di non aver posto in essere le dovute verifiche tese a garantire appunto, tra l'altro, che le disposizioni impartite in tema di utilizzo dei dpi venissero dai lavoratori puntualmente rispettate.

Sull'esperienza del lavoratore infortunato.

Nel porre l'accento sulla esperienza trentennale della parte offesa V. nulla ha in realtà controdedotto la difesa dell'appellante all'osservazione in motivazione formulata dal primo giudice (in risposta ad analogo rilievo difensivo di quel giudizio) a proposito della circostanza che "l'essere esperto (riferito al lavoratore) ha proprio l'effetto di una falsa consapevolezza di gestire ogni situazione sicché questo elemento, pacifico in atti, non esonera il datore dal controllo e dalla conseguente responsabilità ".

Osservazione, questa che precede, in linea di fatto e di diritto senz'altro esatta e condivisibile, ed alla quale non resta pertanto in questa sede che riportarsi in assenza appunto, come detto, di precise repliche e/o rilievi critici difensivi specificamente tesi a confutarla.



Sulla presenza di un responsabile della sicurezza.

Dell'esistenza infine di un "responsabile alla sicurezza" nella persona dell'ing. B.R. avrebbero dato atto a dire della difesa, la quale a tal fine richiama quanto a loro volta riferito dagli ispettori del lavoro della provincia di Trento con la nota 24.1.2008 in atti, i dipendenti della ditta D. snc nell'ambito delle sommarie informazioni a detti ispettori rese nel dicembre 2007 (ovvero ad un anno e mezzo dai fatti) e di cui ai verbali allegati alla nota succitata.

Sennonché in tali verbali non è dato in realtà rinvenire alcun specifico riferimento al ruolo ricoperto dal professionista suddetto, per incarico della D. snc e/o di altri soggetti, in relazione ai lavori svolti nel cantiere ove si verificava l'evento lesivo, avendo infatti il V. genericamente parlato di un "coordinatore della sicurezza" (senza saperne peraltro indicare appunto i compiti e/o le mansioni effettivamente svolte) da lui visto solo due volte alla settimana ma non meglio identificato, il K.J. accennato ad un "tecnico" da lui visto qualche volta in cantiere mentre parlava con l'E. e di cui peraltro non conosceva pur egli le generalità e le mansioni, il K.S. nulla dichiarato a tal riguardo, il B.S. precisato infine di nulla sapere a tal riguardo ed a proposito sempre del succitato B.

Di fatto, quello che unicamente emerge dagli atti, ed in particolare dal contenuto della produzione documentale della parte offesa, è che detto professionista veniva nominato ed indicato alle autorità competenti dal committente R.C. quale coordinatore per la progettazione e coordinatore per l'esecuzione, ex artt. 4-5 D.P.R. n. 494/96, in riferimento ad un'opera (v. appunto la nuova casa di costruzione e falegnameria in cui avveniva l'evento lesivo) prevedente l'impiego e la presenza in loco di più ditte esecutrici, di talché è evidente a questo punto l'impossibilità innanzitutto di accedere alla tesi difensiva dell'esistenza di un "responsabile della sicurezza" per la D. snc altro e diverso rispetto a quell'imputato che ufficialmente rivestiva appunto, all'epoca dei fatti, una tale qualifica, con conseguente asserita esclusione dunque di ogni responsabilità di quest'ultimo in ordine all'incidente occorso al V.; ciò in particolare ove si consideri che:

- in nessun atto ufficiale antecedente alla surrichiamata nota del 2008 (rubricata a foglio 286 del fascicolo del P.M.), e quindi neppure nella loro iniziale relazione senza data sull'infortunio in esame, a sua volta fascicolata a fogli 36/39 del fascicolo suddetto, i medesimi ispettori del lavoro davano mai atto dell'esistenza della figura di cui innanzi e di un asserito ruolo nella vicenda in esame dell'ing. B. (del quale ultimo peraltro neppure nel 2008 in alcun modo individuano esattamente, sulla base di personali verifiche, eventuali incarichi ufficialmente e/o di fatto ricoperti per la D. snc e/o per altri soggetti, con eventuali relative responsabilità), solo essendosi infatti sempre limitati essi a far riferimento all'imputato nella sua qualità di legale rappresentante, direttore tecnico nonché responsabile per la sicurezza della società suddetta;

- a sua volta, e sentito dagli ispettori del lavoro in sede di interrogatorio delegato, lo stesso E.R. nulla dichiarava nel novembre 2008 in ordine appunto all'esistenza di altro soggetto comunque da lui delegato ad espletare i compiti connessi alla propria posizione di garanzia, nessun riferimento operando tra l'altro alla persona del già citato B.;

- nulla in tal senso risulta del resto in quelle visure concernenti la ditta D. snc dalle quali per converso pacificamente emerge il ruolo in essa avuto, come detto, all'epoca del fatto dall'attuale appellante, quale suo legale rappresentante (e quindi datore di lavoro dell'infortunato), direttore tecnico nonché anche "responsabile per la salute e la sicurezza in azienda";

- assolutamente nulla in atti risulta infine, in aggiunta alle autocertificazioni e dichiarazioni dello stesso E. in relazione all'accettazione degli incarichi di cui innanzi, a proposito appunto di un'analoga ed ufficiale nomina di altro soggetto, ed in particolare dell'ing. B., nel ruolo di responsabile della sicurezza della D. di E.V. e C. Snc, e/o comunque a proposito di un'avvenuta delega di funzioni in tale settore, fra l'altro alle condizioni e con i requisiti richiesi dalla legge e dall'elaborazione giurisprudenziale (v. fra l'altro i requisiti del delegato, la sua autonomia di spesa, la sua accettazione ecc.).

Al contempo, ed in secondo luogo, non pare dubitabile poi che l'avvenuta nomina ad opera del committente di un coordinatore per l'esecuzione, nella persona dell'ing. B., in nessun modo possa condurre al risultato auspicato dall'appellante, solo potendo eventualmente la responsabilità di detto coordinatore per la non ottemperanza da parte sua del dovere di "alta vigilanza" consegnatogli dal succitato art. 5 D.P.R. 494/1996, quale in qualche modo connessa ai profili di colpa addebitati all'imputato, concorrere appunto (v. fra le altre Cass. 13.5.2010 C., n. 18149) con quella di quest'ultimo, principale soggetto tenuto tanto a garantire, quale legale rappresentante della ditta esecutrice dei lavori, e quindi anche datore di lavoro del Vi. e soggetto onerato di una posizione di garanzia nei confronti del medesimo, la messa a sua disposizione di attrezzature adeguate al lavoro da svolgere nonché idonee ai fini della sicurezza (v. ponteggio avente le caratteristiche di legge), quanto pure a richiedere, ed a svolgere la debita vigilanza a tal riguardo, l'osservanza da parte del medesimo e degli altri lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di utilizzo dei dpi messi a loro disposizione.

In tal modo ribadito dunque il giudizio di colpevolezza dell'appellante in ordine al reato ascrittogli, non resta a questo punto che integralmente confermare la decisione gravata, con relativa condanna dello stesso imputato al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio.

Termine infine di giorni 60 per il deposito della sentenza.

 



P.Q.M.

 



La Corte d'Appello di Trento, Sezione Penale;

visto l'art. 599 del Codice di Procedura Penale;

conferma la sentenza impugnata e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali.

Fissa il termine di giorni 60 per il deposito della sentenza.

Così deciso in Trento, il 4 febbraio 2011.

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2011.