Categoria: Cassazione civile
Visite: 16880

Infortunio sul lavoro – Responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – Sussiste – Onere della prova
“… La responsabilità del datore di lavo per violazione dell’obbligo di sicurezza sancito dall’art. 2087 c.c. non ha natura oggettiva e pertanto l’onere della prova del nesso causale tra danno ed inadempimento (nel caso di specie mancanza delle misure di sicurezza) resta a carico del lavoratore, mentre il datore di lavoro può liberarsi solo dimostrando la non imputabilità dell’evento.
… Pertanto, ove risulti accertata la mancanza delle misure di sicurezza, tocca al datore di lavoro provare, ai sensi degli articoli 1218, 1176 e 2087, la propria mancanza di colpa”

Infortunio sul lavoro – Responsabilità contrattuale del datore di lavoro – Concorso di colpa del lavoratore – Presupposti
“… In materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali si ha concorso di colpa del lavoratore quando lo stesso abbia concorso a cagionare l’evento con comportamenti negligenti o imprudenti ulteriori rispetto a quelli, appartenenti al rischio professionale, le cui conseguenze pregiudizievoli le norme sulla prevenzione infortuni intendono prevenire, con precetti rivolti al datore di lavoro e la cui osservanza è ad esso rimessa”

Infortunio sul lavoro – Responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – Risarcimento del danno morale soggettivo e del danno biologico – Sussiste
“… Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 cod. pen., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale
… In presenza di una fattispecie contrattuale che, come nell’ipotesi del contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica e psichica dell’altro (ai sensi dell’art. 2087 c.c.), non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale (…e del danno biologico…), siccome la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c.”

Infortunio sul lavoro – Responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. – Risarcimento del danno derivante da perdita di chance – Presupposti
“… Il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione, di cui l’interessato ha l’onere di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.
… L’illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona può dar luogo a due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica; pertanto il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito”

Massime a cura della redazione di Olympus


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

SENTENZA 10 gennaio 2007, n. 238

(Presidente Senese – Relatore De Matteis)

Svolgimento del processo

Il sig. G. Massimiliano, assunto con contratto di formazione e lavoro dalla s.n.c. Scatolificio Artigiano di P. Carlo e S. Attilia, ha subito il 19 aprile 1989 infortunio sul lavoro (mentre provvedeva alla pulizia della macchina di stampa con i rulli in movimento, rimaneva imprigionato con l’avambraccio sinistro nella macchina, da cui derivava schiacciamento della mano e dell’avambraccio medesimo, con gravi postumi permanenti).

Con ricorso del 27 febbraio 1998 egli ha proposto nei confronti dei sigg. Carlo P. e S. Attilia, in qualità di ex soci ed ex amministratori della società, domanda di danno differenziale, rispetto a quello indennizzato dall’Inail, chiedendo le seguenti voci di danno: danno biologico per inabilità temporanea, danno biologico per inabilità permanente, danno morale, danno psichico, danno alla capacità lavorativa specifica e perdita di chances, rimborso spese mediche.

Il primo giudice ha accolto parzialmente la domanda, escludendo il danno morale, avendo ritenuto la relativa azione prescritta nel termine quinquennale; il danno psichico; quello alla capacità lavorativa specifica ed il rimborso spese mediche, ritenuti non provati.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza 283/03, ha emesso le seguenti statuizioni:

1. ha dichiarato la competenza funzionale del giudice del lavoro a conoscere della domanda di danno differenziale;

2. ha dichiarato la legittimazione passiva degli ex soci convenuti;

3. ha dichiarato la colpa esclusiva del datore di lavoro nella causazione dell’infortuno, perché i microinterruttori che avrebbero dovuto impedire il movimento dei rulli della macchina tipografica che il lavoratore stava pulendo erano stati disattivati;

4. ha ritenuto il danno morale, richiesto per colpa contrattuale ex articolo 2087 c.c., soggetto alla prescrizione decennale e pertanto nella fattispecie non prescritto,

5. ha negato il danno per perdita di chance,

6. nonché quello per la perdita di capacità lavorativa specifica,

7. e per il danno biologico di natura psichica;

8. ha quantificato il danno in Euro 91.314,55, di cui 11.134,61 per danno biologico relativo alla invalidità temporanea; 53.453,29 per danno biologico relativo alla invalidità permanente; 26.726,65 per danno morale;

9. ha dichiarato la legittimazione passiva degli ex soci ad agire contro la compagnia assicuratrice della società in nome collettivo, ora in liquidazione, ed ha condannato la Winterthur assicurazioni, chiamata in causa su richiesta del P. e della S. a tenerli indenni dalle conseguenze pecuniarie dell’infortunio, nei limiti del massimale di polizza.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione il P. e la S., con undici motivi.

Si sono costituiti con controricorso il G. e la Wintertur; entrambi hanno proposto ricorso incidentale, il primo con sette motivi, la seconda con unico motivo, e con ricorso incidentale condizionato.

Il P. e la S. hanno depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

Gli stessi e la Winterthur hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Sul ricorso principale P. e S..

I primi sei motivi riguardano la posizione G., gli altri quattro il rapporto con la Winterthur, l’undicesimo è non pertinente.

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1176 e 1218 c.c. (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per avere affermato il principio che il datore di lavoro, debitore dell’obbligo di sicurezza, avesse l’onere, ex articolo 1218 c.c., di provare la non imputabilità dell’adempimento. Contestano al giudice d’appello di avere omesso di considerare che l’articolo 1176 c.c. limita la responsabilità del debitore alla ordinaria diligenza e cioè, per le obbligazioni di mezzi e non di risultato come quella dell’articolo 2087 c.c., solo al necessario, e non anche al possibile.

Il motivo à infondato.

L’articolo 1176 c.c., con l’imporre al debitore la diligenza del buon padre di famiglia, fotografa in maniera icastica qual è la diligenza che avrebbe dovuto avere il datore di lavoro, nel caso di specie, nei confronti di un giovane assunto con contratto di formazione e lavoro, controllando che i congegni di sicurezza non fossero manomessi.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto ripetutamente affermato in subiecta materia da questa Corte, secondo cui la responsabilità del datore di lavoro per violazione dell’obbligo di sicurezza sancito dall’articolo 2087 c.c. non ha natura oggettiva e pertanto l’onere della prova del nesso causale tra danno ed inadempimento (nel caso di specie, mancanza delle misure di sicurezza) resta a carico del lavoratore, mentre il datore di lavoro può liberarsi solo dimostrando la non imputabilità dell’evento.

Pertanto, poiché risulta accertato, attraverso la ctu svolta nel processo penale e legittimamente acquisita al presente processo civile (ex plurimis Cassazione 8096/06), la mancanza delle misure di sicurezza, tocca al datore di lavoro di provare, ai sensi degli articoli 1218, 1176 e 2087, la propria mancanza di colpa (ex plurimis Cassazione 3162/02 cit. nella sentenza impugnata, Cassazione 13887/04, 12863/04).

Avendo la sentenza impugnata accertato in positivo la colpa del datore di lavoro, consistente nella negligenza per avere tollerato che i microinterruttori fossero disattivati, con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 2087, 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto provata la colpa del datore di lavoro.

Ma trattasi di accertamento di fatto che risulta congruamente motivato.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 2056, 2059, 2087, 2104, c.c.; 6 e 392 Dpr 547/55, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il concorso di colpa del lavoratore.

Anche qui trattasi di un accertamento di fatto, che però svolge una questione di diritto, relativa alla identificazione del tipo di colpa del lavoratore rilevante per escludere o ridurre la colpa del datore di lavoro.

Dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi, da ultimo, Cassazione 5493/06) è desumibile il principio di diritto secondo cui in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali si ha concorso di colpa del lavoratore quando lo stesso abbia concorso a cagionare l’evento con comportamenti negligenti o imprudenti ulteriori rispetto a quelli, appartenenti al rischio professionale, le cui conseguenze pregiudizievoli le norme sulla prevenzione infortuni intendono prevenire, con precetti rivolti al datore di lavoro e la cui osservanza è ad esso rimessa. Anche tale motivo deve essere pertanto rigettato.

Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2059, 2087, 2946 e 2947 c.c.; 185 cod. pen. (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per avere riconosciuto il danno morale soggettivo, mentre il danno non patrimoniale è risarcibile solo nei casi di responsabilità extracontrattuale da fatti illeciti costituenti reato. Al riguardo è sufficiente notare che il danno differenziale presuppone il fatto reato del datore di lavoro, accertato anche in sede civile. Nel caso di specie il procedimento penale si è concluso con sentenza dibattimentale 2 ottobre 1995/8 marzo 1996 di non doversi procedere per estinzione del reato.

Peraltro la prospettazione dei ricorrenti, e la giurisprudenza citata a supporto, risulta datata, ed in contrasto con l’innovativo orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale ha rilevato, a partire dal 2003, che il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’articolo 185 cod. pen., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della Legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale (Cassazione, 8827 e 8828/03).

Evoluzione del Pensiero giuridico prontamente recepita dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza 233/03).

Un altro recente arresto fondamentale è che alla risarcibilità del danno non patrimoniale ex articoli 2059 c.c. e 185 cod. pen. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come nel caso di cui all’articolo 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato (anche questo orientamento, inaugurato da Cassazione 7282/03 risulta confermato in seguito; da ultimo Cassazione 15044/05).

L’estensione consequenziale di tali principi alla responsabilità presuntiva ex articolo 2087 c.c., raccomandata dalla dottrina, è stata operata da Cassazione 4184/06, la quale ha tratto la conseguenza che in presenza di una fattispecie contrattuale che come nell’ipotesi del contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica e psichica dell’altro (ai sensi dell’articolo 2087 c.c.), non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la fattispecie astratta di reato é configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall’articolo 1218 c.c..

Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 2059, 2087, 2697 c.c. ; articolo 18 5 c. p. ; 115 e 116 c.p.c. (articolo 3 60, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per avere sottoposto il danno morale allo stesso regime di prova del danno biologico.

Anche questo motivo, che appare derivare dalla tesi della riconducibilità del danno morale solo al reato e quindi la non applicabilità del criterio di ripartizione valida per la responsabilità contrattuale, è doppiamente infondato: perché basato su giurisprudenza (Cassazione 15133/02) che si deve ritenere superata dall’evoluzione sopra cennata, e perché la sentenza impugnata è basata datore sull’accertamento positivo della colpa del datore di lavoro.

Con il sesto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2087, 2059, 2697 c.c.; 414 n. 5 e 416 c.p.c. (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato il danno biologico per invalidità temporanea in euro 11.134, sul presupposto, erroneo, che i controricorrenti non avessero impugnato la valutazione del primo giudice. Riportano il passo del ricorso in appello, pag. 21, par. 22, nel quale essi deducono: "quanto al danno biologico da inabilità temporanea, lo stesso, in caso di sussistenza anche di inabilità permanente, rientra nella prima. In ogni caso, lo stesso non è stato quantificato dalla ctu".

Affermano inoltre che la prima sentenza aveva quantificato il danno in misura inferiore.

Anche questo ultimo motivo (per la posizione G.) non è fondato. Esso è inconferente, oltre che erroneo, nella parte in cui pretende l’assorbimento del danno biologico da temporanea in quello da permanente, mentre per quanto riguarda la determinazione operata dal giudice d’appello, questa riferisce la affermazione della mancata contestazione, che il motivo pretende contraria al vero, al danno da “invalidità temporanea” e non già al danno biologico (v. sentenza pagg. 24 e 25).

Con il settimo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 1223, 1224, 1225, 1227, 1882, 1905, 1917, 2043, 2056, 2059, 2087 c.c.; 112 c.p.c. (articolo 360 n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha limitato la condanna della Winterthur al massimale di polizza, ritenendo il difetto di mala gestio, perché, fino alla decisione del giudizio, era controversa la prescrizione dell’azione.

Il motivo è inammissibile, perché la valutazione del giudice del merito circa la insussistenza della mala gestio costituisce una valutazione di fatto, nella specie correttamente motivata con la controversia circa la prescrizione dell’azione. Peraltro si deve aggiungere la circostanza, non contestata, che la società presentò alla Winterthur una falsa denuncia circa le modalità del sinistro, si da giustificare la iniziale resistenza dell’assicuratore.

La insussistenza della mala gestio comporta il rigetto dei motivi otto e nove.

Con l’ottavo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 1223, 1224, 1225, 1227, 1882, 1905, 1917, 2043, 2056, (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata nella parte in cui non ha condannato la Winterthur a pagare la rivalutazione monetaria, e gli interessi legali, anche ultra vires.

Con il nono i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1882, 1905 e 1917 c.c.; 91 e 112 c.p.c., si dolgono della mancata manleva per le spese processuali in favore del G. che sono stati condannati a pagare.

Infatti la condanna al pagamento del capitale, Euro 91,314, supera largamente il massimale di polizza, pari a 150 milioni per persona, che costituisce il limite del risarcimento del danno per l’assicuratore, sicché è irrilevante la questione degli interessi legali, della rivalutazione monetaria e delle spese legali, perché questi. pur da ritenersi comprese nella domanda originaria, anche se non espressamente formulati, eccedono il massimale, e quindi non sono dovuti per tale motivo, in difetto di mala gestio.

Con il decimo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 112 c.p.c. (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censurano la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciare sulla domanda di condanna della Winterthur a pagare le spese nel rapporto processuale Winterthur - P. e S..

Il motivo è infondato.

E.F corretta la interpretazione della sentenza impugnata operata dalla controricorrente: il giudice d’appello, partendo dall’erroneo presupposto di una disposta (dal Tribunale) compensazione totale delle spese processuali tra convenuti e la terza chiamata, ha inteso confermare detta compensazione anche per il giudizio di secondo grado, là dove ha così statuito: quanto alla liquidazione delle spese, che viene impugnata con antitetici motivi da tutte le parti, questa appare conforme all’esito della causa.

L’undicesimo motivo è inammissibile perché relativo a causa diversa. con ogni evidenza relativo a causa diversa.

2. Sul ricorso incidentale G..

I primi tre motivi del ricorso incidentale del G. attengono alle valutazioni della sentenza impugnata circa la mancanza di carattere interruttivo della lettera il giugno 1990 del G..

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 2943 c.c. (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il contenuto della raccomandata inviata dal medesimo al datore di lavoro in data il giugno l990 con cui egli si riservava di agire per il risarcimento dei danni patiti in seguito all’incidente del 19 aprile 1989 lettera non aveva carattere interruttivo della prescrizione.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 420, comma 4 c.p.c. si duole che il primo giudice abbia ritenuto tardiva la capitolazione della prova relativa alla spedizione della lettera di messa in mora dell’11 giugno 1990.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 2087, 1218, 1223, 1225 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia n. 3 e 5 c.p.c.), censura parte in cui ha ritenuto la sufficiente a provare la non della raccomandata. I tre motivi, da esami connessione, sono inammissibili per difetto di interesse, perché la sentenza impugnata ha ritenuto il diritto non prescritto, in quanto ha applicato alla fattispecie la prescrizione decennale, nella specie non maturata, e ciò indipendentemente dalla interruzione della prescrizione ad opera del G..

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1352, 2697, 2752 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non raggiunta la prova in ordine alla perdita di chance.

In effetti il danno derivante dalla perdita di chance non è una mera aspettativa di fatto, ma una entità patrimoniale a sé stante, economicamente e giuridicamente suscettibile di autonoma valutazione, di cui l’interessato ha l’onere di provare, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita, della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (Cassazione 3999/03, 11340/98, 10748/96).

Nel caso di specie, tuttavia, il motivo, per come prospettato, si risolve nelle conseguenze della riduzione della capacità lavorativa specifica, oggetto del motivo successivo, con cui il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1352, 2697, 2725 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice ha ritenuto non raggiunta la prova in ordine alla perdita della capacità lavorativa specifica.

Ricorda che la ctu ha riconosciuto l’incidenza di postumi sulla capacità lavorativa specifica del 20%, e che a seguito dell’ infortunio il G. è stato assunta dalla s.p.a. Beretta nella categoria protetta degli invalidi del lavoro. Sarebbe dunque evidente che egli non potrà mai più svolgere l’attività processionale per la quale aveva inseguito specifica qualificazione e sulla base della quale stava lavorando con contratto di formazione e lavoro. Il motivo è fondato, sia sotto il profilo del danno patrimoniale, sia di quello biologico.

L’illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona può dar luogo a due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica; pertanto il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito (Cassazione 4020/06).

La stessa sentenza impugnata ha accertato, oltre i danni estetici, quelli funzionali, consistenti nella riduzione dei movimenti di estensione e prosupinazione del gomito e limitazione di circa 2/3 dei movimenti di flessione, abduzione e adduzione del primo dito della mano; ridotta anche la formazione del pugno, con deficit complessivo di forza prensile e del movimento a pinza del pollice con la altre dita.

È interesse del ricorrente offrire, in sede di rinvio, la prova più precisa della entità del danno patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica, ma questo è già di per sé presumbile dalla descrizione della sentenza impugnata sopra riportata e dalla circostanza di lavorare con collocamento obbligatorio presso altra ditta.

Con il sesto motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 1223, 1225, 2697, 2087 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360, nn. 3 e 5 c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha ritenuto il danno di natura psichica esistenziale quale voce autonoma.

Il motivo non è fondato, in quanto i riflessi di natura psichica-esistenziale sono già compresi nella voce di danno di cui al motivo che precede.

Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c. (articolo 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto corretta la liquidazione delle spse processuali operata dal primo giudice, nonostante le specifiche critiche dell’atto di appello.

Il motivo non è fondato.

In tema di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può limitarsi ad una globale determinazione, in misure inferiori a quelle esposte, dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, i n relazione alla inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell’articolo 24 della legge 794/42 (Cassazione 11483/02, 10864/98).

Dalla finalità sopra precisata deriva che la parte che si dolga in Cassazione della mancata motivazione, ha l’onere di precisare se e in che misura siano stati violati i minimi tariffari.

3. Sul ricorso incidentale Winterthur.

Con unico motivo di ricorso incidentale la soc. Winterthur, deducendo nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 81 c.p.c., 2312, 2304, 2298 e 2310 c.c. (articolo 360, n. 31 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la legittimazione attiva del P. e della S. a far valere giudizialmente la garanzia assicurativa prestata dalla Compagnia in favore della società in nome collettivo.

Rileva che le società di persone non si estinguono in seguito alla formale cancellazione dal registro delle imprese.

Il motivo è infondato.

La stessa Winterthur riconosce, nella memoria ex articolo 378, che la polizza garantisce la responsabilità patrimoniale dei soci quale conseguenza della loro partecipazione a società di persone. Legittimato a far valere la garanzia è il beneficiario, cioè l’assicurato, e non solo lo stipulante.

Va infine respinto il ricorso incidentale della Winterthur condizionato all’accoglimento di motivi, che sono stati invece respinti.

Provvedimenti consequenziali come in dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale della Winterthur, accoglie il quinto motivo del ricorso incidentale del G., respinti gli altri, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma il 26 settembre 2006.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 10 gennaio 2007.