Cassazione Penale, Sez. 6, 10 maggio 2011, n. 18078 - Lavoratore irregolare autore di un infortunio e responsabilità addossata ad altro lavoratore: responsabilità datoriale


 

 

Responsabilità di un datore di lavoro per aver indotto un proprio lavoratore ad addossare la responsabilità del proprio infortunio ad un operaio innocente invece che ad altro operaio, effettivamente colpevole, non messo in regola.
Il lavoratore ingiustamente accusato, in forza delle pressioni del datore di lavoro, si era addirittura autodenunciato del reato di lesioni colpose.

 

Ricorso - Inammissibile.

 

La sentenza impugnata, afferma la Corte, ha ravvisato che, da un canto, era acquisito che il lavoratore accusato ingiustamente non era sul posto di lavoro al momento dell'incidente, sia perchè quest'ultimo, nel corso di una telefonata, registrata, aveva ammesso di essersi falsamente addossato la colpa su richiesta del datore di lavoro, sia perchè la narrazione dei fatti offerta dallo stesso datore era incongrua ed attestava che egli, a sua volta, non aveva assistito ai fatti, che gli erano stati raccontati dallo stesso operaio ferito che aveva esplicitamente indicato altro operaio, irregolare, quale autore dell'infortunio. 

 

 

Nella specie, continua la Corte, il giudice distrettuale ha espresso un iter argomentativo completo e privo di salti logici, con valutazione assolutamente corretta, del tutto quindi sottratta all'invocato sindacato.

 

Anche il lavoratore ingiustamente accusato ha proposto ricorso, denunciando illogicità e contraddittorietà della sentenza, sotto il profilo dell'erronea interpretazione di una conversazione telefonica avuta con la vittima, basata su supposizioni - La Corte annulla senza rinvio con la assoluzione dello stesso perchè il fatto non sussiste.

 

La Corte di Genova, afferma la Suprema Corte, pur dando atto che l'autore della macchinazione era il datore di lavoro, non ne trae, poi, le dovute conclusioni in tema di dolo.

Invero, l'individuazione del richiesto dolo, nel caso della fattispecie di cui all'art. 369 c.p., è evidenziato, di norma, dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l'azione criminosa, dalle quali, per processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto agente.

Tale accertamento, nella specie, è stato affidato alle risultanze di una conversazione telefonica, intercettata fra il lavoratore accusato ed il ferito, da cui è dato desumere al contrario che l'imputato non si era affatto spontaneamente determinato a denunciare un fatto diverso da quello accaduto, ma aveva preso atto che il datore di lavoro, forte della sua posizione di preminenza, lo aveva artatamente indicato quale responsabile nella denuncia amministrativa presso l'Inail, costringendolo in pratica a non smentirlo nelle successive fase dell'inchiesta e quindi anche innanzi ai C.C..


Ma tanto non basta per integrare l'atteggiamento psichico, indicativo della esistenza di una voluta rappresentazione del fatto, di cui all'art. 369 c.p., proprio perchè il M. - e sul punto si è formato il giudicato - era vittima del delitto di cui all'art. 611 c.p. commesso dal datore di lavoro. L'accertamento della violenza subita si riverbera sulla sua cosciente volontà, minata alla base dalla coartazione e dalla rappresentazione per c.d. formale dell'incidente sul lavoro, orchestrata dal datore di lavoro.

 


 

 

 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente
Dott. AGRO' Antonio S. - Consigliere
Dott. SERPICO Francesco - Consigliere
Dott. GRAMENDOLA Francesco Paolo - Consigliere
Dott. FAZIO Anna Maria - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso proposto da:
C.F. e M.A.;
avverso la sentenza del 20 maggio 2010 della Corte di Appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fazio Anna Maria;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
uditi il difensore della parte civile A.S., che si è associato alle richieste del PG ed il difensore del C., avvto Tonnarelli che si è riportato ai motivi ed ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

 


Fatto

 

 

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Genova confermava la responsabilità di C.F. per i delitti di cui all'art. 611 c.p. in danno del dipendente A. e del delitto di cui all'art. 368 c.p. in danno di altro dipendente, certo M., e di quest'ultimo per il delitto di autocalunnia.
Il C., secondo la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale di Chiavari, con sentenza del 10/10/2007, e condivisa dal giudice di appello, avrebbe indotto il primo ad attribuire la responsabilità per le lesioni subite a seguito di un incidente sul lavoro, provocate dall'operaio F.F., non messo in regola, al M. nei cui confronti aveva anche sporto denuncia per il reato di lesioni colpose dinanzi al Commissiariato di PS di Rapallo.
Il M., su cui il C. aveva esercitato pressione, in forza della sua posizione di datore di lavoro, inoltre,si era autodenunciato del reato di lesioni colpose.

2. Ricorre il C. e deduce con il primo motivo violazione di legge. All'udienza fissata per il dibattimento in appello, il difensore aveva presentato certificazione medica attestante il suo impedimento, che era stata disattesa dalla Corte, illegittimamente; il successivo rinvio ad udienza fissa non gli era stato notificato, sicchè la pronuncia della sentenza avvenuta in sua assenza era nulla, per violazione del contraddicono.

3. Con il secondo motivo, lamenta che la corte in modo illogico e contraddicono ha valutato le risultanze dibattimentali che invece dimostravano come esso avesse visto il M. colpire con il martello l' A. e che era effettivamente l'operaio che aveva una regolare posizione assicurativa, circostanza che rendeva privo di movente il delitto di calunnia.

4. Anche il M. ha proposto ricorso, denunciando illogicità e contraddittorietà della sentenza, sotto il profilo dell'erronea interpretazione di una conversazione telefonica avuta con l' A., basata su supposizioni, e sulla asserta irregolarità della posizione lavorativa del F., che escluderebbe la falsità della autocalunnia.

 

Diritto

 

 


1. Il ricorso proposto dal C. è da dichiarare inammissibile.
2. Risulta dagli atti che effettivamente il giorno 10 dicembre 2009, il C. addusse un certificato di impedimento fisico a presenziare alla udienza (sindrome influenzale con rialzo febbrile) che la Corte ha disatteso, ritenendolo inconsistente e tuttavia rinviando ad una successiva udienza, senza compiere alcuna attività.

3. Tale situazione di fatto esclude che si sia verificata una lesione del diritto di presenziare alla udienza, sanzionata da invalidità, ai sensi dell'art. 185 c.p.p., di tutti gli atti successivi sino alla sentenza impugnata; infatti, in primo luogo a fronte della motivata ordinanza del giudice distrettuale, cui è rimesso l'apprezzamento della causa della mancata comparizione e della sua natura ed efficacia impeditivi, il C. non ha specificato, come era suo onere, quale fosse il punto di erroneità.

4. A tale constatazione, è da aggiungere un ulteriore ordine di ragioni di manifesta infondatezza; invero, nel caso di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento dell'imputato, da luogo ad una nullità a regime intermedio, da dedurre nei termini stabiliti dall'art. 182 c.p.p., comma 2, l'omessa notifica all'imputato della data di fissazione della nuova udienza, qualora sia stato ritualmente e validamente notificato allo stesso il decreto di citazione a giudizio; pertanto, anche ammesso in via di ipotesi, l'errore della Corte, la nullità si sarebbe sanata, non risultando che all'udienza successiva il difensore abbia eccepito alcunchè; ancora, poichè il rinvio venne comunque disposto e non si espletò alcuna attività processuale, la erronea dichiarazione di contumacia, non comporta una violazione del diritto di difesa, e quindi non da luogo a nullità ex art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto, comunque, il principio invocato deve essere armonizzato con l'ulteriore principio della effettiva violazione del diritto di difesa, cui è collegato l'interesse ad impugnare.
Ed infatti, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10372 del 27.9.1995 dep. il 10/1995 Rv. 202269) "la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell'impugnante".
Pertanto, nel caso di specie, per quanto sopra emerso in punto di fatto, nessun pregiudizio ha ricevuto l'imputato dal mancato accoglimento dei motivi dell'istanza di rinvio proposta dal difensore per legittimo impedimento dell'imputato, avendo comunque la Corte disposto il rinvio della trattazione del processo.

1.  Quanto ai motivi in tema di responsabilità, il ricorrente si limita a censure di merito, invocando una diversa (quanto peraltro non compiutamente spiegata) lettura delle risultanze processuali, ed una ricostruzione dei fatti diversa da quella resa dai giudici di appello.

2. La sentenza impugnata ha ravvisato che da un canto era acquisito che il M. non era sul posto di lavoro al momento dell'incidente, sia perchè quest'ultimo, nel corso di una telefonata, registrata, aveva ammesso di essersi falsamente addossato la colpa su richiesta del C., sia perchè la narrazione dei fatti offerta dallo stesso C. era incongrua ed attestava che egli, a sua volta, non aveva assistito ai fatti, che gli erano stati raccontati dallo stesso operaio ferito, l' A., che aveva esplicitamente indicato il F. quale autore dell'infortunio. 

1. Tanto premesso, va ribadito che "l'ordinamento non conferisce alla Corte di cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende per cui si è proceduto, nè alcun potere di riconsiderazione delle stesse, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice di merito. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro di carattere negativo, il cui possesso rende l'atto insindacabile: 1) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l'assenza nel testo dell'esposizione di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

2. Nella specie, il giudice distrettuale ha espresso un iter argomentativo completo e privo di salti logici, con valutazione assolutamente corretta, del tutto quindi sottratta all'invocato sindacato.

1. A diverse conclusioni deve pervenirsi in ordine alla posizione del M., di cui ai sensi dell'art. 129 c.p.p. deve pronunciarsi assoluzione con la formula perchè il fatto non costituisce reato.

2. La Corte di Genova, pur dando atto che l'autore della macchinazione era il C., il quale aveva esercitato violenza sul ferito perchè attribuisse al M. la responsabilità dell'infortunio ed anche su quest'ultimo, tant'è che costui aveva assunto la posizione di autore delle lesioni e si era auto-incolpato, per le pressioni esercitate, non ne trae, poi, le dovute conclusioni in tema di dolo.

1. Invero, l'individuazione del richiesto dolo, che è coscienza della lesività in concreto del fatto auto-attribuitosi, nel caso della fattispecie di cui all'art. 369 c.p., è evidenziato, di norma, dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l'azione criminosa, dalle quali, per processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto agente.

2. Tale accertamento, nella specie, è stato affidato alle risultanze di una conversazione telefonica, intercettata fra il M. ed il ferito, l' A., da cui è dato desumere al contrario che l'imputato non si era affatto spontaneamente determinato a denunciare un fatto diverso da quello accaduto, ma aveva preso atto che il datore di lavoro, forte della sua posizione di preminenza, lo aveva artatamente indicato quale responsabile nella denuncia amministrativa presso l'Inail, costringendolo in pratica a non smentirlo nelle successive fase dell'inchiesta e quindi anche innanzi ai C.C..


3. Ma tanto non basta per integrare l'atteggiamento psichico, indicativo della esistenza di una voluta rappresentazione del fatto, di cui all'art. 369 c.p., proprio perchè il M. - e sul punto si è formato il giudicato - era vittima del delitto di cui all'art. 611 c.p. commesso dal C. ed avente ad oggetto l'autocalunnia. L'accertamento della violenza subita si riverbera sulla sua cosciente volontà, minata alla base dalla coartazione e dalla rappresentazione per c.d. formale dell'incidente sul lavoro, orchestrata dal datore di lavoro.

4. In conclusione la impugnata sentenza è da annullare nei confronti del M. con la assoluzione dello stesso perchè il fatto non sussiste.

5. Consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del C. la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende. Inoltre egli è tenuto a rifondere le spese sostenute dalla parte civile A.S., che si liquidano in complessivi Euro 2000,00 oltre IVA, CPA e spese generali.

 

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso di C.F. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile A.S., liquidate in complessivi Euro 2000,00 oltre IVA, CPA e spese generali.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M. A. perchè il fatto non costituisce reato.