Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2011, n. 22178 - Lavori di riparazione delle lastre in fibro-cemento di copertura di un capannone e caduta dall'alto


 


 

 

Responsabilità di tre legali rappresentanti per aver consentito al dipendente Be. Co. di effettuare senza alcuna preparazione professionale lavori di riparazione delle lastre in fibro-cemento di copertura di un capannone, ciò in violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera e) laddove fa obbligo al datore di lavoro di adottare le misure appropriate affinchè soltanto i lavoratori adeguatamente istruiti siano esposti a rischi gravi e specifici, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 70 laddove impone specifiche misure di sicurezza a garanzia dell'incolumità delle persone addette all'esecuzione di lavori sui tetti, in tal modo cagionando, per il dedotto comportamento colposo, la caduta dall'alto del lavoratore in seguito allo sfondamento con il proprio peso delle lastre in fibro-cemento, con conseguente morte avvenuta per "gravissimo trauma cranico da precipitazione".

 

Ricorrono tutti in Cassazione - Inammissibile.

 

La Corte afferma che le discusse prove testimoniali, possono ritenersi anche irrilevanti ai fini dell'affermazione della responsabilità degli imputati: anche in mancanza di queste infatti si sarebbe comunque potuta configurare una responsabilità in capo al datore di lavoro, sia per non avere verificato la regolare manutenzione dell'immobile, sia, con specifico riferimento al profilo di colpa contestato, per non avere impartito disposizioni in materia e per non avere informato i dipendenti circa la pericolosità del tetto in quanto non calpestabile. Le dichiarazioni contestate forniscono solo un ulteriore profilo di responsabilità, secondo la chiara motivazione della sentenza della Corte territoriale, riconducibile al comportamento consistito nell'avere ordinato, o comunque consentito, l'effettuazione di un'operazione ad alto rischio, senza dare indicazioni sulle modalità di esecuzione e senza mettere a disposizione strumenti idonei, tanto che la vittima si fece sollevare sul tetto con una pala di un escavatore.


 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) CH. BR. , N. IL (Omissis);

2) CH. FR. , N. IL (Omissis);

3) C. D. , N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 578/2009 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 05/05/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. Esposito Orazio del foro di (Ndr.: testo originale non comprensibile) del Friuli che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

 

 

Fatto



Con sentenza del 5 maggio 2010 la Corte d'Appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone del 20 novembre 2008 con la quale Ch. Br. , Ch. Fr. e C. D. sono stati condannati alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ciascuno perchè dichiarati responsabili del reato di cui all'articolo 589 c.p. per avere, in qualità di legali rappresentanti dell' Az. Ag. Ch. , consentito al dipendente Be. Co. di effettuare senza alcuna preparazione professionale lavori di riparazione delle lastre in fibro-cemento di copertura del capannone facente parte dell'unità produttiva dell'azienda sita in (Omissis), ciò in violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera e) laddove fa obbligo al datore di lavoro di adottare le misure appropriate affinchè soltanto i lavoratori adeguatamente istruiti siano esposti a rischi gravi e specifici, e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 70 laddove impone specifiche misure di sicurezza a garanzia dell'incolumità delle persone addette all'esecuzione di lavori sui tetti, in tal modo cagionando, per il dedotto comportamento colposo, la caduta dall'alto del lavoratore in seguito allo sfondamento con il proprio peso delle lastre in fibro-cemento, con conseguente morte avvenuta per "gravissimo trauma cranico da precipitazione"; fatto avvenuto in (Omissis).

 

La Corte territoriale ha preliminarmente rigettato l'eccezione di nullità della sentenza per mancata notifica agli imputati, non dichiarati contumaci, dell'ordinanza con cui si disponeva il rinvio del processo ad altra data a seguito dell'astensione dei difensori dalle udienze, trattandosi di nullità di carattere relativo che doveva essere eccepita subito dopo il compimento dell'atto, e quindi alla prima udienza a cui il processo era stato rinviato. In ordine alla responsabilità la Corte territoriale ha motivato tale sentenza sulla base delle risultanze istruttorie e, in particolare, delle testimonianze acquisite e della relazione della ASL sull'incidente.

La Corte d'Appello ha ritenuto credibile la testimonianza della teste Po. che, in un primo tempo, aveva dichiarato che la vittima era salita di propria iniziativa sul tetto del capannone da cui è poi precipitata, per poi modificare la propria versione dei fatti dichiarando che i datori di lavoro, successivamente imputati, avevano dato incarico alla vittima di provvedere alla riparazione del tetto indicendo la teste, nell'immediatezza del fatto, a fornire la prima versione. La Corte d'Appello, a tale riguardo, ha considerato la deposizione di un'altra teste intervenuta sul posto poco dopo l'incidente, e che ha assistito all'incontro della prima teste, moglie della vittima, con i datori di lavoro poi imputati. In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha considerato il comportamento processuale degli imputati che hanno tentato di indurre la moglie della vittima a fornire una versione per loro favorevole, e la gravità della violazione delle norme antinfortunistiche contestate, ai fini della negazione delle attenuanti generiche e del giudizio di sub valenza dell'attenuante del risarcimento del danno rispetto all'aggravante contestata.



Gli imputati propongono ricorso per cassazione avverso tale sentenza lamentando, con il primo motivo, difetto di motivazione rispetto alle doglianza difensive mosse con l'atto di appello; illogicità e vizio della motivazione in ordine alla valutazione sulla ricostruzione del fatto, in ordine all'attendibilità della deposizione dei testi moglie e figlio della vittima e della teste intervenuta sul posto nell'immediatezza del fatto, riguardo alle modalità della sua assunzione.

Con secondo motivo si deduce mancata assunzione di una prova decisiva in ordine alla mancata audizione dei testi della difesa sulla circostanza della presenza della teste Le. sul posto al momento dell'intervento dei verbalizzanti.

Con terzo motivo si lamenta violazione di legge con riferimento all'articolo 484 c.p.p., articolo 174 c.p.p., lettera e) e articolo 179 c.p.p. in relazione al rigetto dell'eccezione di nullità della sentenza sollevata in appello per l'omessa notifica agli imputati, non dichiarati contumaci, dell'ordinanza con cui il giudice di primo grado, alla prima udienza, ha disposto il rinvio ad altra udienza per effetto dell'adesione all'astensione dalle udienze da parte del difensore.

Con quarto motivo si lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla causa della morte del Be. risultante dal certificato medico sottoscritto dal dottore del servizio 118 intervenuto sul posto.

Con quinto motivo si lamenta violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 69 e 133 c.p. e vizi della motivazione della sentenza per avere contraddittoriamente formulato un giudizio di prevalenza dell'aggravante speciale di cui all'articolo 589 c.p., comma 2 sulla riconosciuta attenuante del risarcimento del danno di cui all'articolo 62 c.p., n. 6.

Con sesto motivo si deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla mancata riduzione della pena.

Diritto



I ricorsi sono manifestamente infondati e, come tali, inammissibili.



I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente riguardando entrambi l'assunzione e la valutazione delle prove testimoniali. Va al riguardo considerato che la Corte territoriale ha dettagliatamente ed approfonditamente esaminato le prove testimoniali assunte valutando anche l'attendibilità delle deposizioni sia dei testi parenti della vittima, sia della teste Le. intervenuta nell'immediatezza dell'incidente mortale. La valutazione di tali prove è motivata accuratamente con logicità e sfugge ad ogni censura di legittimità. Tuttavia deve considerarsi anche che dette prove testimoniali, possono ritenersi anche irrilevanti ai fini dell'affermazione della responsabilità degli imputati, come pure espressamente affermato dalla sentenza impugnata, con considerazione del tutto logica, secondo cui, anche in assenza della deposizione della teste Po. , moglie della vittima, si sarebbe comunque potuta configurare una responsabilità in capo al datore di lavoro, sia per non avere verificato la regolare manutenzione dell'immobile, sia, con specifico riferimento al profilo di colpa contestato, per non avere impartito disposizioni in materia e per non avere informato i dipendenti circa la pericolosità del tetto in quanto non calpestabile. Le dichiarazioni contestate forniscono solo un ulteriore profilo di responsabilità, secondo la chiara motivazione della sentenza della Corte territoriale, riconducibile al comportamento consistito nell'avere ordinato, o comunque consentito, l'effettuazione di un'operazione ad alto rischio, senza dare indicazioni sulle modalità di esecuzione e senza mettere a disposizione strumenti idonei, tanto che la vittima si fece sollevare sul tetto con una pala di un escavatore.

 

Riguardo al terzo motivo va osservato che la motivazione della sentenza sul punto in relazione ad analogo motivo di appello, è corretta. Infatti, premesso che la dichiarazione di contumacia non poteva essere validamente pronunciata senza che il giudice sentisse preliminarmente le parti sulla regolarità della costituzione del rapporto processuale (Cass. 19 maggio 2009 n. 25675), la mancata comunicazione del rinvio dell'udienza costituisce effettivamente motivo di nullità a regime intermedio che deve essere eccepita dal difensore presente immediatamente dopo secondo il disposto dell'articolo 182 c.p.p., comma 2. Il vizio in questione è stato conseguentemente sanato all'udienza successiva del 6 febbraio 2007 in cui è stata dichiarata la contumacia degli imputati senza alcun rilevo da parte del difensore.



Il quarto motivo di ricorso è generico e, comunque, anche a voler ritenere, per assurdo, che il Be. sia deceduto per causa diversa da quella facilmente individuata dal CTU, sussisterebbe ugualmente la responsabilità del datore di lavoro per la caduta del lavoratore i relazione ai profili di colpa considerati.

Il quinto ed il sesto motivo possono pure essere trattati congiuntamente riguardando entrambi il trattamento sanzionatorio.

La Corte territoriale ha adeguatamente motivato il giudizio di sub valenza dell'attenuante del risarcimento del danno rispetto all'aggravante contestata, come anche l'esclusione delle attenuanti generiche, con il comportamento degli imputati che hanno tentato di indurre la moglie della vittima a fornire una versione dei fatti a loro favorevole e non veritiera, e, soprattutto, con la gravità delle violazioni delle norme antinfortunistiche che hanno portato la gravissima conseguenza della morte di un dipendente, e con i precedenti penali risultanti dal contesto della stessa sentenza impugnata, motivi logicamente ampiamente sufficienti a giustificare la mancata riduzione della pena, anche a non voler considerare il citato comportamento processuale. A tale proposito, va pure considerato l'irrilevanza della dedotta differenziazione delle posizioni degli imputati in quanto la loro responsabilità deriva dalla posizione di datori di lavoro in seno all'azienda di cui erano tutti indistintamente legali rappresentanti.


Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1.000,00 ciascuno a titolo di sanzione pecuniaria.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.