REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido

- Presidente

Dott. BANDINI Gianfranco

- Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe

- Consigliere

Dott. ZAPPIA Pietro

- Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa

- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14481-2009 proposto da:
F.E., A.G , F.M. , elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BENACO 5, presso lo studio dell'avvocato MORABITO MARIA CHIARA, rappresentati e difesi dall'avvocato BOTTANI GIORGIO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
F. -. C.N.I. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell'avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUCIANO SPAGNUOLO VIGORITA, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
T.C. S.P.A.;
- intimata -
nonché da:
T.C. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTIO CALVINO 33, presso lo Studio dell'avvocato CANNAS LUCIANA, rappresentata e difesa dall'avvocato BATINI GIUSEPPE, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
F. -. C.N.I. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell'avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUCIANO SPAGNUOLO VIGORITA, giusta delega in atti;
- controricorrente al ricorso incidentale -
e contro
F.M., F.E., A.G.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1074/2008 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 21/04/2008 r.g.n. 1392/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
Udito l'Avvocato LUCIANO VIGORITA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione del ricorso principale, assorbito l'incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

in una causa in cui gli eredi di F.G., morto per mesotelioma pleurico, hanno chiesto la condanna delle società epigrafate, per responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per tutti i danni patrimoniale e non, sia iure proprio che iure successionis, la Corte di Appello di Milano, con sentenza resa il 21.4.2008, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che non potesse essere considerato responsabile della malattia professionale la committente F. spa, perché i lavori erano stati appaltati alla T.C. spa di cui era dipendente il F. e che agiva con propria autonomia.
Doveva, quindi, valutarsi soltanto la eventuale responsabilità dell'appaltatore, che in questo caso non doveva rispondere, atteso che in relazione all'epoca di probabile insorgenza della malattia - 30 o 40 prima del 1993, epoca in cui la stessa era stata diagnosticata - era noto soltanto che vi era un lontano pericolo di malattia professionale unicamente se le fibre di amianto fossero state consistenti e ad alta concentrazione.
Ne conseguiva che nel caso in esame non poteva addebitarsi alla suddetta società né una colpa generica extracontrattuale ex articolo 2043 c.c. - non essendo richiesta all'epoca alcuna specifica misura di sicurezza oltre quelle di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956 -, né altri obblighi di legge o di comportamento essendo imposti da conoscenze scientifiche, perché solo dagli anni 1980 doveva ritenersi acquisita la consapevolezza della pericolosità anche della inalazione di minime fibre aerodisperse e della accertata pericolosità dell'amianto.
La Corte territoriale, rigettava, inoltre, la domanda dalla F. spiegata nei riguardi della spa A.G. per averla chiamata in giudizio con un'azione di rivalsa.
Contro tale sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi F. con quattro motivi cui resistono sia la T. che la F. spa, la quale ha depositato, altresì, controricorso in relazione ai ricorso incidentale condizionato. Tali società hanno, poi, depositato memorie illustrative ai sensi dell'articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, devono essere riuniti, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c., i ricorsi proposti avverso la stessa sentenza.
Quanto all'ammissibilità dell'impugnazione principale, deve osservarsi che l'identificazione dei mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale e la valutazione della sua ammissibilità deve essere fatta in base al principio dell'apparenza, e cioè con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione proposta effettuata dal giudice "a quo", sia essa corretta o meno, e a prescindere dalla qualificazione che ne abbiano dato le parti (cfr. tra le altre, Cass. 14 maggio 2007 n. 11012). Nella specie il termine per l'impugnativa risulta coerente con decisione della causa da parte del giudice civile con riferimento all'azione risarcitoria connessa al danno subito dai ricorrenti iure proprio.
Con il primo motivo del ricorso principale gli eredi di F.G. deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in relazione agli articoli 2087 e 2043 c.c. e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articoli 18, 19 e 21 osservando che, essendo già noto a partire dagli anni sessanta la pericolosità dell'amianto, il dovere di protezione anche generico previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 21, doveva essere interpretato anche come obbligo di salvaguardia contro i pencoli di inalazione per sostanze non conosciute o anche scarsamente percepite come dannose.
Con il secondo motivo, denunziano sostanzialmente che la legislazione del 1956 (Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articoli 18, 19 e 21) imponeva al datore di lavoro di adottare misure idonee di abbattimento delle polveri di qualsiasi matura presenti nell'area e comunque di dotare i lavoratori di protezioni idonee contro le loro inalazioni.
Con il terzo motivo lamentano, ancora, la contraddittorietà ed insufficienza della motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5) in relazione alla esclusione del nesso concausale tra comportamento continuato ed evento, la falsa applicazione di legge in relazione agli articoli 2087 e 2043 c.c. e articolo 41 c.p. (articolo 360 c.p.c., n. 3), rilevando che non si era da parte della Corte territoriale considerato che, non essendo certo il periodo di insorgenza della malattia, doveva tenersi conto anche che per essere dopo gli anni 1980 sicura la esistenza della pericolosità dell'amianto come causa della malattia professionale, sì da imporsi a livello normativo le dovute precauzioni ed avendo dopo tali anni il lavoratore continuato a lavorare, si sarebbe dovuto accertare se l'esposizione nella parte finale della sua attività lavorativa avesse operato come causa unica o quanto meno come concausa della malattia.
I primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, e possono accogliersi per i motivi che si vanno ad esporre.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'articolo 2087 c.c., come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore (Cass. 18 novembre 1976, n. 4318, Cass., sez. lav., 9 maggio 1998, n. 4721 Cass., sez, lav., 23 maggio 2003, n. 8204, Cass. civ. Sez. Lav., 14 gennaio 2005, n. 644).
E a nulla rileva che il rapporto di lavoro si sia svolto in periodo anche antecedente al 1980, in riferimento al quale è stata ravvisata l'insorgenza della patologia, manifestatasi, dopo un lungo periodo di latenza, solo nei 1993, mentre specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto sono state introdotte per la prima volta col Decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 1982, n. 15. Invero, la pericolosità della lavorazione dell'amianto era nota da epoca ben anteriore all'inizio del rapporto di lavoro de quo. Come evidenziato già da questa Corte, con articolata ricostruzione della normativa in materia (Cass. 30 giugno 2005 n. 14010) il Regio Decreto 14 giugno 1909, n. 442 che approvava il regolamento per il TU. della Legge per il lavoro delle donne e dei fanciulli, all'articolo 29, tabella B n. 12, includeva la filatura e tessitura dell'amianto tra i lavori insalubri o pericolosi nei quali l'applicazione delle donne minorenni e dei fanciulli era vietata o sottoposta a speciali cautele, con una specifica previsione dei locali ove non sia assicurato il pronto allontanamento del pulviscolo. Analoghe disposizioni dettava il regolamento per l'esecuzione della legge su lavoro delle donne e dei fanciulli, emanato con D.Lgt. 6 agosto 1916 n. 1136, articolo 36, tabella B, n. 13 e il Regio Decreto 7 agosto 1936, n. 1720 che approvava le tabelle indicanti i lavori per i quali era vietata l'occupazione dei fanciulli e delle donne minorenni, prevedeva alla tabella B s lavori pericolosi, faticosi ed insalubri in cui è consentita l'occupazione delle donne minorenni e dei fanciulli, subordinatamente all'osservanza di speciali cautele e condizioni e, tra questi, al n. 5, la lavorazione dell'amianto, limitatamente alle operazioni di mescola, filatura e tessitura. Lo stesso Regio Decreto 14 aprile 1927, n. 530, tra gli altri agli articoli 10, 16, e 17, conteneva diffuse disposizioni relative alla aerazione dei luoghi di lavoro, soprattutto in presenza di lavorazioni tossiche. D'altro canto, l'asbestosi, malattia provocata da inalazione da amianto, era conosciuta fin dai primi del 900 e fu inserita tra le malattie professionali con la Legge 12 aprite 1943, n. 455. In epoca più recente, oltre alla Legge Delega 12 febbraio 1955, n. 52 che, all'articolo 1, lettera F, prevedeva di ampliare il campo della tutela, al Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 e alle visite previste da Decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1956 n 648, si deve ricordare il regolamento 21 luglio 1960 n. 1169 ove all'articolo 1 si prevede specificamente, che la presenza dell'amianto nei materiali di lavorazione possa dar luogo, avuto riguardo alle condizioni delle lavorazioni, ad inalazione di polvere di silice libera o di amianto tale da determinare il rischio; può infine ricordarsi che il premio supplementare stabilito dal Testo Unico n. 1124 del 1965, articolo 153 per le lavorazioni di cui all'allegato n. 6, presupponeva un grado di concentrazione di agenti patogeni superiore a determinati valori minimi. D'altro canto l'imperizia, nella quale rientra la ignoranza delle necessarie conoscenze tecnico- scientifiche, è uno dei parametri integrativi al quale commisurare la colpa, e non potrebbe risolversi in esimente da responsabilità per il datore di lavoro Da quanto esposto discende che anche all'epoca di svolgimento del rapporto di lavoro del dante causa dei ricorrenti era ben nota l'intrinseca pericolosità delle fibre dell'amianto tanto che l'uso di materiali che ne contengono era sottoposto a particolari cautele, indipendentemente dalla concentrazione di fibre (Cass. Cit. 30 giugno 2005 n 14010, cui adde, nei medesimi termini, Cass. 1 febbraio 2008 n. 2491).
Si imponeva, quindi, il concreto accertamento della adozione di misure idonee a ridurre il rischio connaturale all'impiego di materiale contenente amianto, in relazione alla norma di chiusura di cui all'articolo 2087 c.c. ed al Decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, articolo 21 ove si stabilisce che nei lavori che danno normalmente luogo alla formazione di polveri di qualunque specie, il datore di lavoro è tenuto ad adottare provvedimenti atti ad impedire o ridurre, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione nell'ambiente di lavoro" soggiungendo che "le misure da adottare a tal fine devono tenere conto della natura delle polveri e della loro concentrazione", cioè devono avere caratteristiche adeguate alla pericolosità delle polveri.
Devono, altresì, esser tenute presenti altre norme dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, ove si disciplina il dovere dei datore di lavoro di evitare il contatto dei lavoratori con polveri nocive: cosi l'articolo 9, che prevede il ricambio d'aria, l'articolo 15, che impone di ridurre al minimo il sollevamento di polvere nell'ambiente mediante aspiratori, l'articolo 18, che proibisce l'accumulo delle sostanze nocive, l'articolo 19, che impone di adibire locali separati per le lavorazioni insalubri, l'articolo 20, che difende l'aria dagli inquinamenti con prodotti nocivi specificamente mediante l'uso di aspiratori, l'articolo 25, che prescrive, quando possa esservi dubbio sulla pericolosità dell'atmosfera, che i lavoratori siano forniti di apparecchi di protezione (Cfr., in tali termini, Cass. Cit. 30 giugno 2005 n. 14010).
L'impugnata sentenza omette ogni indagine circa la presenza di amianto ne materiale lavorato, la concentrazione di amianto che lo caratterizza, la facilita o meno di produrre polveri nelle lavorazioni effettuate, onde il giudizio circa la presenza di polveri tali da suggerire specifiche cautele si appalesa del tutto arbitrario. Quanto sinora detto porta all'accoglimento dei primi tre motivi del ricorso ed all'assorbimento del quarto motivo con il quale il ricorrente principale addossa anche alla F. la responsabilità della malattia nonché all'assorbimento del ricorso incidentale della società T., che invece patrocina la responsabilità del committente. Si impone, in conclusione, la cassazione dell'impugnata sentenza con rinvio, per nuovo esame ad altro giudice in grado di appello che si designa come in dispositivo. Detto Giudice, avuto riguardo ai principi di diritto enunciati nelle massime ufficiali estratte dalle sentenze sopra richiamate e avuto altresì riguardo alla normativa del pari richiamata da cui si evince che la pericolosità dell'amianto era ben nota già all'inizio del rapporto di lavoro de quo e comunque esisteva una speciale normativa per la difesa dalle polveri, dovrà provvedere ad una approfondita indagine circa i punti sopra enunciati. Appare opportuno demandare a detto giudice anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie i primi tre motivi del ricorso principale e dichiara assorbito il quarto motivo del ricorso principale nonché il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.