T.A.R. Basilicata, Sez. 1, 31 agosto 2011, n. 456 - Provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale per impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria (art. 14, D.Lgs. 81/08)


 

 

 

N. 00456/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00568/2009 REG.RIC.


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA



sul ricorso numero di registro generale 568 del 2009, proposto da:
L. Vito, nella sua qualità di titolare della Ditta Individuale “A.”, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Petrone e Giovanni Salvia, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Potenza, al corso XVIII Agosto, 2;


contro

Direzione Regionale del Lavoro di Potenza e Direzione Provinciale del Lavoro di Potenza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria per legge, in Potenza, al corso 18 Agosto 1860;


per l'annullamento

-del provvedimento 12 ottobre 2009, n.1 di sospensione dell’attività imprenditoriale ex art. 14, comma 1, d.lgs n. 81/2008 adottato dagli Ispettori del lavoro della Direzionale provinciale di Potenza;

-della decisione di rigetto del ricorso gerarchico adottata dal Direttore regionale del lavoro di Potenza in data 23 novembre 2009;

-di ogni altro atto preordinato, connesso, consequenziale;




Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Direzione Regionale del Lavoro di Potenza e della Direzione Provinciale del Lavoro di Potenza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 maggio 2011 il magistrato Paola Anna Gemma Di Cesare e uditi i difensori: Avv. Luigi Petrone, per la parte ricorrente; Avv. Domenico Mutino, per le Amministrazioni dello Stato resistenti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




 

Fatto



1.- Con provvedimento 12 ottobre 2009, n.1, la Direzione provinciale del lavoro di Potenza ha disposto la sospensione dell’ attività imprenditoriale del sig. Vito L. di rivendita di autovetture usate, in applicazione dell’art. 14, comma 1, d.lgs 9 aprile 2008, n. 81, poiché a seguito di sopralluogo nei locali dell’azienda in data 9 ottobre 2009 gli ispettori del lavoro accertavano l’impiego di personale (Pietro U. e Gerardo M.) “non risultante dalle scritture o da altra documentazione contabile obbligatoria, in misura pari o superiore al 20 per cento (n.2) del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro occupati dalla ditta medesima…(n.2)”.



2.- Avverso tale provvedimento di sospensione dell’attività Vito L. proponeva ricorso gerarchico alla Direzione regionale del lavoro a norma dell’art. 14, comma 9, del d.lgs. n. 81 del 2008, deducendone la illegittimità:

- perché gli Ispettori avrebbero apoditticamente qualificato Pietro U. e Gerardo M. come lavoratori dipendenti, senza alcun accertamento in ordine all’attività espletata dagli stessi;

- perché, con specifico riferimento a Pietro U., la sussistenza di un rapporto di pubblico impiego con la Asl di Muro Lucano avrebbe reso impossibile la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato con Vito L. datore di lavoro;

- perché, quanto a Gerardo M., la sua presenza nei locali dell’azienda era stata richiesta “per mera compagnia e cortesia”, non avendo lo stesso mai espletato attività lavorativa per conto della “A.”; comunque, anche qualora volesse astrattamente ipotizzarsi l’impiego del M., chiarita la inconfigurabilità di un rapporto di impiego tra “A.” e Pietro U. dipendente pubblico, la sua presenza non sarebbe comunque sufficiente ad integrare il presupposto per la sospensione dell’attività imprenditoriale, che a norma dell’art. 14, comma 11 bis, del citato d.lgs n.81 del 2008 non opera nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l’unico occupato nell’impresa.

Il ricorso gerarchico era rigettato con decisione della Direzione regionale del lavoro di Potenza in data 23 novembre 2009, sull’assunto che l’effettivo espletamento di prestazioni di lavoro per Vito L. era emerso dalle dichiarazioni spontanee rese da Pietro U. e Gerardo M..

3.- Con ricorso notificato in data 17 dicembre 2009 alla Direzione provinciale e alla Direzione regionale del lavoro di Potenza e depositato in data 29 dicembre 2009 il sig. Vito L., titolare dell’impresa individuale “A.”, ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale e della decisione di rigetto del ricorso gerarchico, deducendo la illegittimità del primo per le medesime censure formulate con il ricorso gerarchico, e la illegittimità della seconda per difetto di motivazione sia perché non confuterebbe i motivi posti alla base del ricorso gerarchico sia per il generico riferimento alle “altre circostanze” in cui Pietro U. e Gerardo M. avrebbero sostituito il titolare della ditta “A.” dalle quali è desunta la non estraneità degli stesso alla sua organizzazione aziendale, senza però che né dal verbale di accesso né dal provvedimento di sospensione dell’attività né infine nella decisione del ricorso amministrativo risultasse accertata la natura dell’attività posta in essere dagli stessi.

4.- Si sono costituiti per resistere al ricorso sia la Direzione regionale del lavoro di Potenza sia la Direzione provinciale del lavoro di Potenza, eccependo, in via preliminare, la parziale inammissibilità del ricorso per non aver il ricorrente dedotto, con il ricorso gerarchico, tutte le censure mosse avverso il provvedimento degli ispettori del lavoro e, nel merito, la infondatezza.

5.- Con ordinanza 29 gennaio 2010, n. 32, la domanda cautelare è stata accolta.

6.- All’udienza pubblica del 26 maggio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

 

 

Diritto


Oggetto del ricorso è il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale irrogato al ricorrente titolare dell’attività di rivendita di auto usate, nonché il provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso il provvedimento interdittivo.

1.- In via preliminare va disattesa l’eccezione di parziale inammissibilità del ricorso con riferimento al provvedimento adottato dagli Ispettori del lavoro poiché, contrariamente a quanto asserito dalle amministrazioni intimate, l’impugnativa di detto provvedimento riproduce esplicitamente le medesime censure formulate con il ricorso gerarchico, essendo incentrata sul difetto di istruttoria dovuto al mancato accertamento della natura e delle modalità di svolgimento dell’attività svolta dai signori M. e U. e senza che, con riferimento a quest’ultimo, fosse preso in considerazione il suo rapporto di impiego pubblico con la Azienda sanitaria locale.



2.- Nel merito, il ricorso è fondato.

Occorre premettere che il provvedimento di sospensione gravato è stato adottato in applicazione dell’art. 14 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, recante disposizioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro, che attribuisce agli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il potere di adottare provvedimenti di sospensione dell’attività imprenditoriale in due ipotesi: 1) quando riscontrano l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro (ipotesi riscontrata dall’amministrazione intimata nel caso che ci occupa); 2) in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro.

La norma ha una evidente finalità cautelare e sanzionatoria, in quanto mira a contrastare il lavoro irregolare, favorendone l’emersione e a reprimere le situazioni di effettivo rischio e pericolo per i lavoratori, assicurando il rispetto delle regole di prevenzione nei luoghi di lavoro, attraverso l’attribuzione di un potere repressivo e sanzionatorio agli organi di vigilanza del Ministero del lavoro, che sono tenuti a certificare nel verbale di sopralluogo le anomalie riscontrate al fine dell’eventuale adozione da parte della Direzione provinciale del lavoro del provvedimento di sospensione dall’attività imprenditoriale, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali e amministrative vigenti.

3.- Con riferimento all’ipotesi di impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, da una lettura sistematica della disciplina recata dal d.lgs n. 81 del 2008 recante norme in materia di tutela e sicurezza del lavoro è possibile evincere quali sono i presupposti che giustificano il legittimo esercizio del potere di sospendere l’attività imprenditoriale.

Innanzitutto, occorre tener presente che il potere di sospensione, di natura discrezionale, è attribuito dal legislatore al fine di prevenire situazioni di rischio e pericolo per i lavoratori e di contrastare il fenomeno del c.d. “lavoro nero”.

A ciò aggiungasi che ai fini dell’applicazione del provvedimento della sospensione dell’attività imprenditoriale è da considerare lavoratore irregolare, a norma dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2008, la “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”.

Non rileva quindi la tipologia di contratto di lavoro stipulato che, pertanto, può essere di natura subordinata, autonoma, parasubordinata oppure di lavoro autonomo occasionale con rapporto non genuino.

3.1.- Ciò premesso, agli organi di vigilanza del Ministero del lavoro spetta l’onere di accertare la presenza di indizi ed elementi presuntivi che depongono in favore della presenza di un lavoratore impiegato “in nero”, quali ad esempio: l’ assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro; la natura continuativa del rapporto di lavoro; l’osservanza di un orario di lavoro fisso; l’ esclusività del rapporto di lavoro; la volontà effettiva delle parti (presunto datore di lavoro e presunti lavoratori “in nero”), arguibile dalle dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’accesso ispettivo; la struttura retributiva; i compensi versati.

Una volta accertata la sussistenza di elementi idonei a comprovare l’impiego irregolare di lavoratori, la direzione provinciale del lavoro può legittimamente esercitare il potere di sospendere l’attività imprenditoriale, al fine di far emergere le situazioni di lavoro sommerso e irregolare.

Il procedimento volto all’irrogazione del provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale trova i suoi presupposti e la sua disciplina speciale nell’ art. 14 del d.lgs. n.81 del 2008, ma resta pur sempre assoggettato ai principi e alle regole della legge sul procedimento amministrativo (l. 7 agosto 1990, n.241), come sancito dalla Corte costituzionale con sentenza 05 novembre 2010 , n. 310, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 97, primo comma, e 113 Cost., l'art. 14, comma 1, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, nella parte in cui, stabiliva la non applicabilità delle disposizioni di cui alla legge n. 241 del 1990 ai provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale.

Ne consegue che gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro sono tenuti a condurre una adeguata istruttoria di cui deve esser dato conto poi nella motivazione che, sulla base delle risultanze dell'istruttoria stessa deve estrinsecare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione.

3.2.- Ciò premesso, nella specie, merita accoglimento la dedotta censura di difetto di istruttoria, poiché né dal verbale di accertamento redatto dagli ispettori del lavoro né dal provvedimento di sospensione né dalla documentazione ad essi allegata risultano acquisiti elementi idonei ad accertare che Gerardo M. e Pietro U. fossero effettivamente dei lavoratori “in nero” utilizzati stabilmente dal ricorrente a servizio della sua attività di rivendita di auto usate.

In buona sostanza, gli organi di vigilanza del Ministero del lavoro avrebbero dovuto, come minimo, reperire elementi inequivocabilmente diretti a comprovare lo svolgimento da parte dei signori U. e M. di un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione dell’attività del ricorrente.

Invece- come riportato testualmente nel verbale di accesso ispettivo del 9 ottobre 2009 - i funzionari si sono limitati ad accertare che il sig. Gerardo M. “si trovava nel box adibito ad ufficio dietro la scrivania mentre parlava con un signore” e che Pietro U. “si trovava nel box adibito ad ufficio mentre vi erano altre persone”.

Non si comprende quindi in base a quali accertamenti i funzionari abbiano dedotto l’impiego irregolare per effetto della mera presenza di Gerardo M. e di Pietro U. nei locali della auto-rivendita del ricorrente.

Né la sussistenza di un rapporto di lavoro “in nero” era in alcun modo arguibile dalle dichiarazioni rese ai funzionari nell’immediatezza dell’accesso ispettivo.

Il sig. Gerardo M. chiariva, infatti, di essersi recato nei locali dell’autorivendita “a titolo di amicizia”, precisando, altresì, di recarsi “ogni tanto” in azienda a titolo di cortesia nei confronti del titolare.

Anche il sig. Pietro U. affermava di recarsi in azienda saltuariamente e a titolo di amicizia, senza ricevere alcuna retribuzione, chiarendo, peraltro, di essere dipendente dell’Azienda sanitaria locale, il che, peraltro, avrebbe quantomeno richiesto un accertamento dell’amministrazione del lavoro in ordine alla compatibilità di tale rapporto di pubblico impiego con l’inserimento stabile dello stesso nell’organizzazione dell’attività del ricorrente.

Da tali dichiarazioni era possibile evincere solo la occasionalità della presenza in azienda e la sostituzione temporanea del titolare a titolo di cortesia, sicché, in assenza di ulteriore documentazione e accertamenti atti a verificare la sussistenza di indici rivelatori della sussistenza di un rapporto di lavoro “in nero” e di uno stabile inserimento dei signori U. e M. nell’organizzazione della “A.”, le stesse dichiarazioni non erano sufficienti a fondare né il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale né a ritenere sufficientemente motivata la successiva decisione di rigetto del direttore regionale del lavoro, che fa, invece, illogicamente derivare da tali dichiarazioni la conseguenza che U. e M. stessero svolgendo prestazioni lavorative per la ditta “A.”.

Alla luce di tutte le considerazioni svolte, assorbita ogni altra doglianza, il ricorso è accolto e per l’effetto va annullato sia il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, in quanto illegittimo per il dedotto vizio di difetto di istruttoria, sia la decisione della Direzione regionale del lavoro, in quanto illegittima per il dedotto vizio di difetto di motivazione.

4.- Le spese, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.



Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna le amministrazioni intimate al pagamento in solido delle spese di lite in favore del ricorrente liquidate nella somma complessiva di Euro 2000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge e alla rifusione delle spese per il contributo unificato nella misura versata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:



Michele Perrelli, Presidente

Antonio Ferone, Consigliere

Paola Anna Gemma Di Cesare, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/08/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)